Samir Naji al Hasan Moqbel, è prigioniero a Guantanamo dal 2002. Non è mai stato incriminato né processato. Da 70 giorni è in sciopero della fame. Ha raccontato la sua storia, attraverso un interprete arabo, agli avvocati di Reprieve, una ONG che offre assistenza legale a prigionieri che non hanno possibilità di difendersi. La sua testimonianza è stata pubblicata dal New York Times, traduzione italiana di Gennaro Carotenuto.
C’è un uomo qui che pesa solo 35 kg. Un altro 44. L’ultima volta che mi hanno pesato ero 59 kg. Ma è stato oltre un mese fa. Sono in sciopero della fame dal 10 febbraio e credo di aver già perso più di 30 chili. Non mangerò finché non ripristineranno la mia dignità. Sono detenuto a Guantanamo da 11 anni e tre mesi. Non sono mai stato incriminato di alcun delitto. Non sono mai stato processato.
Dovrei essere a casa da anni – nessuno pensa seriamente che io sia una minaccia – ma resto qui. Anni fa i militari [USA] mi dissero che ero una “guardia” di Osama bin Laden. È un’accusa senza senso, una cosa da film americani di quelli che mi piaceva guardare. Neanche loro ci credono. Ma non sono interessati a quanto tempo io debba restare seduto qui.
Nel 2000, a casa mia, nello Yemen, un amico d’infanzia mi disse che in Afghanistan avrei potuto guadagnare meglio dei 50 $ al mese che mi davano in fabbrica, e avrei potuto mantenere la mia famiglia. Non avevo mai viaggiato e non sapevo nulla dell’Afghanistan, ma ho provato.
Ho sbagliato a fidarmi di lui. Non c’era lavoro. Volevo lasciare ma non avevo i soldi per tornare a casa. Dopo l’invasione americana del 2001 sono fuggito in Pakistan come tanti altri. I pakistani mi hanno arrestato mentre cercavo di andare all’ambasciata yemenita. Sono stato inviato a Kandahar e da lì messo sul primo aereo per Gitmo [Guantanamo].
Lo scorso 15 marzo ero ricoverato nell’ospedale della prigione per le mie condizioni a causa dello sciopero della fame. Una squadra di otto agenti della polizia militare in tenuta antisommossa ha fatto irruzione, mi ha legato al letto e mi ha inserito nella mano un ago per alimentarmi forzosamente. Mi hanno lasciato 26 ore legato al letto impedendomi di andare in bagno. Poi mi hanno inserito un catetere. È stato doloroso, degradante e inutile. Mi hanno impedito perfino di pregare.
Non dimenticherò mai la prima volta che mi hanno infilato il sondino nel naso. Non riesco a descrivere quanto sia doloroso essere sottoposto ad alimentazione forzata in questo modo. Appena lo hanno spinto in su volevo vomitare, ma non ci riuscivo. Sentivo ardere il mio petto, la gola e lo stomaco. Non avevo mai provato tanto dolore prima e non vorrei una punizione così crudele su nessuno.
Da allora sono in alimentazione forzata. Due volte al giorno mi legano ad una sedia nella mia cella. Mi bloccano le braccia, le gambe e la testa. Non so mai quando arriveranno. A volte vengono durante la notte, quando sto dormendo. Ci sono così tanti di noi in sciopero della fame che non ci sono abbastanza membri dello staff medico per effettuare le alimentazioni forzate regolarmente. Così lo fanno quando possono.
Durante un’alimentazione forzata l’infermiera ha spinto il tubo di circa 18 pollici nel mio stomaco, facendomi più male del solito perché stava facendo le cose troppo in fretta. Ho chiamato l’interprete per chiedere al medico cosa non andasse. Era così doloroso che ho pregato loro di smettere. L’infermiera ha rifiutato di sospendere l’alimentazione forzata. Mentre stavano finendo, il “cibo” si è versato sui miei vestiti. Ho chiesto loro di cambiarmi, ma la guardia ha rifiutato strappandomi anche quest’ultimo brandello della mia dignità.
Quando vengono, se rifiuto di essere legato, chiamano la squadra antisommossa. Almeno mi resta una scelta. Posso rifiutarmi ed essere picchiato oppure accettare l’alimentazione forzata.
L’unica ragione per la quale mi tengono qui è che il presidente Obama rifiuta di inviare qualsiasi detenuto nello Yemen. Questo non ha senso. Io sono un essere umano, non il mio passaporto, e merito di essere trattato come tale. Io non voglio morire qui ma fino a quando il presidente Obama e il presidente dello Yemen non faranno qualcosa io rischierò di morire qui ogni giorno.
Dov’è il mio governo? Sono disposto a sottomettermi a tutte le “misure di sicurezza” che vorranno pur tornare a casa, anche se sarebbero del tutto inutili. Accetto qualunque cosa pur di uscire da qui. Oggi ho 35 anni. Tutto quello che voglio è rivedere la mia famiglia e iniziarne una mia.
La situazione è disperata ora. Tutti i detenuti qui stanno soffrendo profondamente e almeno 40 di noi sono in sciopero della fame. Ogni giorno ci sono svenimenti. Io vomito sangue. Ma non c’è fine in vista per la nostra prigionia. Rifiutare il cibo e rischiare la morte ogni giorno è la scelta che abbiamo fatto per la nostra dignità. Spero solo che tanto dolore serva a che gli occhi del mondo guardino a Guantanamo prima che sia troppo tardi.
C’è un uomo qui che pesa solo 35 kg. Un altro 44. L’ultima volta che mi hanno pesato ero 59 kg. Ma è stato oltre un mese fa. Sono in sciopero della fame dal 10 febbraio e credo di aver già perso più di 30 chili. Non mangerò finché non ripristineranno la mia dignità. Sono detenuto a Guantanamo da 11 anni e tre mesi. Non sono mai stato incriminato di alcun delitto. Non sono mai stato processato.
Dovrei essere a casa da anni – nessuno pensa seriamente che io sia una minaccia – ma resto qui. Anni fa i militari [USA] mi dissero che ero una “guardia” di Osama bin Laden. È un’accusa senza senso, una cosa da film americani di quelli che mi piaceva guardare. Neanche loro ci credono. Ma non sono interessati a quanto tempo io debba restare seduto qui.
Nel 2000, a casa mia, nello Yemen, un amico d’infanzia mi disse che in Afghanistan avrei potuto guadagnare meglio dei 50 $ al mese che mi davano in fabbrica, e avrei potuto mantenere la mia famiglia. Non avevo mai viaggiato e non sapevo nulla dell’Afghanistan, ma ho provato.
Ho sbagliato a fidarmi di lui. Non c’era lavoro. Volevo lasciare ma non avevo i soldi per tornare a casa. Dopo l’invasione americana del 2001 sono fuggito in Pakistan come tanti altri. I pakistani mi hanno arrestato mentre cercavo di andare all’ambasciata yemenita. Sono stato inviato a Kandahar e da lì messo sul primo aereo per Gitmo [Guantanamo].
Lo scorso 15 marzo ero ricoverato nell’ospedale della prigione per le mie condizioni a causa dello sciopero della fame. Una squadra di otto agenti della polizia militare in tenuta antisommossa ha fatto irruzione, mi ha legato al letto e mi ha inserito nella mano un ago per alimentarmi forzosamente. Mi hanno lasciato 26 ore legato al letto impedendomi di andare in bagno. Poi mi hanno inserito un catetere. È stato doloroso, degradante e inutile. Mi hanno impedito perfino di pregare.
Non dimenticherò mai la prima volta che mi hanno infilato il sondino nel naso. Non riesco a descrivere quanto sia doloroso essere sottoposto ad alimentazione forzata in questo modo. Appena lo hanno spinto in su volevo vomitare, ma non ci riuscivo. Sentivo ardere il mio petto, la gola e lo stomaco. Non avevo mai provato tanto dolore prima e non vorrei una punizione così crudele su nessuno.
Da allora sono in alimentazione forzata. Due volte al giorno mi legano ad una sedia nella mia cella. Mi bloccano le braccia, le gambe e la testa. Non so mai quando arriveranno. A volte vengono durante la notte, quando sto dormendo. Ci sono così tanti di noi in sciopero della fame che non ci sono abbastanza membri dello staff medico per effettuare le alimentazioni forzate regolarmente. Così lo fanno quando possono.
Durante un’alimentazione forzata l’infermiera ha spinto il tubo di circa 18 pollici nel mio stomaco, facendomi più male del solito perché stava facendo le cose troppo in fretta. Ho chiamato l’interprete per chiedere al medico cosa non andasse. Era così doloroso che ho pregato loro di smettere. L’infermiera ha rifiutato di sospendere l’alimentazione forzata. Mentre stavano finendo, il “cibo” si è versato sui miei vestiti. Ho chiesto loro di cambiarmi, ma la guardia ha rifiutato strappandomi anche quest’ultimo brandello della mia dignità.
Quando vengono, se rifiuto di essere legato, chiamano la squadra antisommossa. Almeno mi resta una scelta. Posso rifiutarmi ed essere picchiato oppure accettare l’alimentazione forzata.
L’unica ragione per la quale mi tengono qui è che il presidente Obama rifiuta di inviare qualsiasi detenuto nello Yemen. Questo non ha senso. Io sono un essere umano, non il mio passaporto, e merito di essere trattato come tale. Io non voglio morire qui ma fino a quando il presidente Obama e il presidente dello Yemen non faranno qualcosa io rischierò di morire qui ogni giorno.
Dov’è il mio governo? Sono disposto a sottomettermi a tutte le “misure di sicurezza” che vorranno pur tornare a casa, anche se sarebbero del tutto inutili. Accetto qualunque cosa pur di uscire da qui. Oggi ho 35 anni. Tutto quello che voglio è rivedere la mia famiglia e iniziarne una mia.
La situazione è disperata ora. Tutti i detenuti qui stanno soffrendo profondamente e almeno 40 di noi sono in sciopero della fame. Ogni giorno ci sono svenimenti. Io vomito sangue. Ma non c’è fine in vista per la nostra prigionia. Rifiutare il cibo e rischiare la morte ogni giorno è la scelta che abbiamo fatto per la nostra dignità. Spero solo che tanto dolore serva a che gli occhi del mondo guardino a Guantanamo prima che sia troppo tardi.
Gennaro Carotenuto su http://www.gennarocarotenuto.it
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