24 giugno 2013
Un collegio giudicante composto di tre donne, già definite da Berlusconi femministe e comuniste, ha condannato Silvio Berlusconi per concussione (elevata a costrizione) e prostituzione minorile a 7 anni di reclusione più l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, un anno in più dei sei chiesti dall’accusa nella requisitoria finale di Ilda Boccassini, la più femminista e comunista di tutte agli occhi dell’ex premier. Una sentenza del tutto prevedibile data la mole di indizi, testimonianze e intercettazioni a sostegno dell’accusa, quasi tutte peraltro note all’opinione pubblica già prima della celebrazione del processo, e probabilmente foriera di un nuovo allargamento dell’inchiesta giudiziaria, dato il rinvio a riconsiderare le eventuali responsabilità penali dei/delle testimoni della difesa che contiene, e che sembra prendere molto sul serio il giudizio già espresso da Boccassini sull’esistenza ad Arcore di un vero e proprio ”sistema prostitutivo”. Mentre i siti web di tutto il mondo battono la breaking new, mentre piovono le dichiarazioni di Fabrizio Cicchitto sulla fine dello Stato di diritto, di Daniela Santanché sulla sentenza ”vergognosa” di un processo che ”non si doveva nemmeno celebrare”, di Giuliano Ferrara sulla sinistra talebana, mentre l’avvocato Ghedini prova disperatamente ad aggrapparsi agli atti processuali, i commenti politici si spostano già tutti, a destra e a sinistra e al centro, sulle conseguenze della sentenza per il governo: reggeranno le larghe intese, non reggeranno? Berlusconi si metterà a fare l’agitatore extraparlamentale, o farà finta di niente aspettando il secondo e il terzo grado di giudizio? E Letta (Enrico), come gestirà l’incontro di domani sera con l’ex premier? E del Pdl che ne sarà, si compatterà sul suo monarca o si dissolverà? La politica ufficiale è fatta così, getta sempre il cuore oltre l’ostacolo. Svanisce il merito di una vicenda che solo tre anni fa aveva squarciato il velo sulla pasta di cui era fatto il regime di Berlusconi, costringendoci a riflettere non solo su di lui ma su di noi, sul consenso allucinato e complice che più di mezza Italia gli aveva garantito, sulle complicità incoffessabili col suo sistema di valori che l’altra metà aveva interiorizzato. Svanisce il merito di una vicenda tutta politica perché incentrata sul rapporto fra i sessi che è materia politica, una vicenda cominciata ben prima del caso Ruby con la denuncia di Veronica Lario, una vicenda che tuttavia la politica ufficiale, di centrodestra e di centrosinistra, ha preferito considerare materia privata finché, col caso Ruby, non è diventata materia penale, delegabile, per il centrosinistra, a un tribunale. La vera domanda non è sugli effetti politici di questa sentenza giudiziaria; è sulla capacità della politica di sconfiggere Berlusconi e il suo sistema di valori a prescindere dalle e prima delle sentenze giudiziarie. Fin qui non ne è stata capace: è una sentenza giudiziaria, non una sentenza politica, a interdire Berlusconi dai pubblici uffici. Il Pd, as usual, di fronte alla sentenza del Tribunale di Milano «prende atto e rispetta». Il governo delle larghe intese può andare avanti, salvo che sia Berlusconi a farlo saltare.
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