Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

venerdì 23 aprile 2010

Prima Assemblea Nazionale di Alternativa

Prima Assemblea Nazionale di Alternativa. 17 Aprile 2010
Relazione introduttiva al dibattito.
di Giulietto Chiesa.
Fonte MegaChip
Per prima cosa vorrei cercare di definire dove ci troviamo.
Lo farò con un piccolo apologo.
Immaginiamo di trovarci su un aereo di linea a 10mila metri di altezza. Fino a poco fa tutto andava per il meglio, ma da qualche minuto il velivolo ha cominciato a sobbalzare violentemente; sembra precipitare, poi si innalza, poi torna a volare normalmente per qualche attimo, ma sobbalza ancora. I passeggeri gridano di paura, allacciano la cintura. Ma non c'è nessuno che dia informazioni,

le hostess sono sparite, il comandante tace, anzi dal microfono vengono strani rumori. Che fare? Vi alzate a fatica e correte verso la cabina di pilotaggio. Forzate la porta chiusa e... scoprite che al posto del pilota c'è una scimmia.

Un rapido calcolo vi dice che le probabilità che questo aereo atterri regolarmente sono nulle. Tornereste al vostro posto, tranquilli, stringendo la cintura? No credo. Anche se non sapete guidare l'aereo la prima cosa da fare - e la farete – sarà di cacciare via la scimmia dal posto di guida e provare a guidare l'aereo. Sarà sempre meglio della scimmia.
Ebbene, io credo che noi ci troviamo esattamente in questa situazione: con la scimmia al comando. Se siamo qui riuniti, io credo, è perché pensiamo che, in queste condizioni, un atterraggio morbido è impossibile. Qui c'è già una differenza netta e sostanziale, tra l'approccio di Alternativa e quello della galassia, per ora dispersa, dei gruppi e dei movimenti che cercano di promuovere il cambiamento e che si battono per la giustizia e la democrazia.
Questa differenza concerne l'interpretazione della crisi mondiale. Si può dire subito che la sinistra, mondialmente parlando, è stata completamente spiazzata, in tutte le sue componenti (da quelle socialiste e socialdemocratiche a quelle più radicali) dalla mancata comprensione delle cause profonde della crisi mondiale. Non è un caso se il punto di origine più genuino della critica dello sviluppo capitalistico fu esterno al corpo della sinistra e provenne da un gruppo di scienziati senza connotazioni ideologiche di sorta.
Mi riferisco al Club di Roma. Furono loro a individuare il nucleo di una insanabile contraddizione – che in linguaggio vetero-marxista dovremmo definire oggettiva: la questione dei “limiti dello sviluppo”. Eresia passibile di ogni anatema perché il capitalismo, liberistico o neo-liberistico che sia, è incompatibile strutturalmente con ogni idea di limite. Esso non può che crescere, e crescere esponenzialmente. Quando smette di crescere, collassa. Questo è avvenuto, come sappiamo, ciclicamente nel corso del XX secolo. Il collasso non si è verificato per una serie di cause, diverse e interconnesse (ben spiegate nel libro di Guido Cosenza “La transizione” che vi ho consigliato di leggere non a caso). Queste cause e concause, tra le quali sono da annoverare i sistemi di controllo sociale offerti ai poteri mondiali dalle nuove tecnologie informativo-comunicative, hanno consentito al capitalismo, ogni volta, di rimettere in moto la sua crescita esponenziale. Fino alla fase attuale, che costituisce un capolinea invalicabile. Le rotaie si fermano qui, pressappoco, decennio più, decennio meno. Siamo già in overshooting da circa 40 anni: tutti i limiti si manifestano ora simultaneamente. Energia, clima, acqua, cibo: tutti gli equilibri sono in forse. Quella che emerge è una sentenza definitiva: “una crescita indefinita in un sistema finito di risorse è impossibile”.

Ovvero: una crescita ulteriore in base ai criteri del mercato è insostenibile. Protrarre l'illusione significa preparare una catastrofe certa. È la scimmia al comando. La quale, da ogni finestra comunicativa, ci ripete ossessivamente che possiamo, e dobbiamo, crescere, come stiamo facendo da oltre 200 anni. A questa illusione non si sono sottratti neppure i partiti di massa del secolo XX, neppure quelli a vocazione anti-capitalista. Perché? Perché tutti erano all'interno dell'idea della crescita indefinita.

La crescita del Prodotto Interno Lordo ebbe come fratello gemello il Piano Quinquennale sovietico. Entrambi non prevedevano limiti. Nel 1990 è crollata l'Unione Sovietica, gemello più cagionevole. Nel 2010 stiamo assistendo all'inizio del crollo dello sviluppo del PIL. Che, come stiamo vedendo, sarà travagliato e contraddittorio; potrà avere alti temporanei e bassi più o meno prolungati. Si accompagnerà (come vediamo, si accompagna anche adesso) al persistere dell'ideologia precedente, quella del suo trionfo, che verrà ripetuta e ripetuta ossessivamente, fino a che la realtà non l'avrà definitivamente consunta. E questo aggraverà la catastrofe lasciando milioni di individui impreparati ad affrontarla e ancora conviti di poter continuare come se nulla fosse accaduto: proprio perché nulla sanno di ciò che è già accaduto.

Il crollo e la resa finale della sinistra – che in Italia ha assunto le vesti più miserabili della farsa – ha come punto di origine la mancanza di visione del limite allo sviluppo. Cancellata l'alternativa sovietica, che non era un'alternativa, le sinistre hanno finito per accettare l'unica narrazione rimasta del mondo. E si sono arrese. Una narrazione sempre più potente, sempre più unica. Non intendo ripetere quello che ho già detto nel saggio “Fine della corsa”. Qui voglio solo ribadire quello che Badiale e Bontempelli hanno bene illustrato: la politica di cui dispone la sinistra, i suoi ceti politici, sono l'espressione di dinamiche storiche fondamentali; non sono effetto soltanto di errori politici, o di tradimenti. Sono i frutti di una evoluzione inevitabile. In questo senso sono necessari, funzionali. E, aggiungo, irreversibili. Ecco perchè non possiamo più perdere tempo con queste élites della sinistra. Una volta accettata la narrazione dell'avversario, cioè una volta accettata la subalternità, ne seguono tutti i corollari:

Cessa ogni ricerca autonoma.
L'orizzonte culturale e intellettuale si restringe.
Si afferma l'idea della TINA (There Is Not Alternative).

Si accettano le soluzioni istituzionali dell'Egemone, la prima delle quali dice che la democrazia non è più necessaria, il governo è esecuzione della necessità, come tale non è contestabile.
Le forme della politica si semplificano e si banalizzano; nuove leggi elettorali; sempre maggioritarie; tutto il potere all'esecutivo; mercantilizzazione della politica; etc...
Ovviamente anche il modello economico dell'avversario viene sussunto come inevitabile. Si privatizza, si liberalizza, si deregola. Si annienta lo stato. Si accetta che il lavoro diventi una variabile disorganizzata delle volontà padronali e perda ogni carattere di continuità etc.Tutte cose déja vues in Italia, su cui ormai è inutile sia piangere che stupirsi. Ma su cui occorre lavorare molto perché molti (anche tra quelli che perseguono scopi di cambiamento, di giustizia, di democrazia) continuano a non capire, a non vedere, ad affidarsi in sostanza alla scimmia più compassionevole. Come se questa potesse sapere come far atterrare l'aereo.
Una delle cartine di tornasole da cui emerge bene questa evoluzione-involuzione è stata rappresentata dal paradigma 11 settembre.

Qui si sono viste molte cose importanti: L'Egemone sapeva molte più cose di tutti, e in anticipo.
Voglio proporvi una citazione assai sorprendente, senza dirvi di chi è, fino alla fine. Ascoltatela, viene dal profondo dei tempi, viene dal 1968:

«La nostra epoca non è soltanto epoca rivoluzionaria. Noi siamo entrati nella fase di una nuova metamorfosi della storia umana. Il mondo è sulla soglia di una una trasformazione che, per le sue conseguenze storiche e umane, sarà più drammatica di quelle prodotte dalle rivoluzioni francese e bolscevica (...). Nel 2000 si penserà che Robespierre e Lenin furono dei riformatori moderati». Sono certo che non indovinate chi parlava. Si chiama Zbignew Brzezinski e stava fondando la Trilaterale su incarico di David Rockfeller.
Le sinistre, che non avevano capito la crisi dei limiti, hanno subìto e taciuto sotto un'offensiva senza precedenti (perché senza precedenti è la crisi).
Non si è capito che stava realizzandosi un punto di svolta epocale: l'Impero stava forgiando sotto i nostri occhi un nuovo nemico mortale (dopo aver distrutto il comunismo).
Il nuovo nemico mortale era un passaggio necessario che serviva a tre scopi essenziali: compattare in anticipo l'Occidente e il mercato mondiale attorno alla leadership dell'Impero, prima che essa cominciasse a traballare per conto proprio. Così la crisi sarebbe stata facilmente attribuibile al nuovo nemico mortale. In secondo luogo rendere meglio spiegabili, meglio digeribili, le limitazioni delle libertà che saranno comunque indispensabili per gestire la fase successiva della crisi. Sarà la lotta contro il terrorismo internazionale a giustificare ogni abuso, in nome della libertà e dei valori occidentali. Lo scontro di civiltà implica la militarizzazione della democrazie. In terzo luogo occorreva dilazionare la crisi per dare tempo all'Impero di escogitare qualche misura di salvaguardia.

La dilazione ha funzionato per sette anni. Le misure di salvaguardia hanno prodotto circa 1000 trilioni di dollari di ricchezza virtuale, nella più grande truffa di tutti i tempi. Alla quale le sinistre mondiali hanno assistito, ebeti, in silenzio, ammutolite dal pensiero unico. E quelle italiane continuano ad assistere ancora più mute delle altre.

In Italia (ma anche altrove) il silenzio vile sull'11 settembre ha significato la prova che la sinistra (tutta) non era più in condizione di capire e ( quelli che avevano capito) di disturbare. Ecco perché sono rimasti tutti in silenzio, accettando il gioco dell'avversario e, infine, subendone tutti gli effetti devastanti. E, quando questi sono arrivati, sul piano sociale, economico e politico, non sono stati capaci di dire e fare assolutamente nulla: non una proposta, non una analisi. E la ragione di questo silenzio è limpida e inequivocabile: non avevano niente da dire. “Si verba non sequentur” la risposta è ovvia: “rem non tenes”.

Se mi sono soffermato a lungo su questi aspetti è perché voglio dare una prima risposta a coloro che obiettano all'idea di Alternativa perché sarebbe "l'ennesimo gruppetto” tra i tanti, impotenti, che già esistono. Quanto detto fin qui smentisce questa tesi. Noi nasciamo perché, e in quanto, portatori di una visione più ampia della crisi rispetto a quelle che circolano anche al di fuori della casta, e che orientano (male, o poco, quando non disorientano) il grande bacino dei “senza rappresentanza”, quella che nell'ormai lontana (e fallita) serie di riunioni fiorentine di due anni fa, io definii la “grande voragine” che si era aperta tra la politica e il paese reale.

Non mi propongo però né di contribuire alle polemiche né di sottolineare le differenze. Voglio solo spiegare perché Alternativa è e sarà indispensabile, non foss'altro perché parte da una piattaforma diversa e – lo dico senza alcuna iattanza – più solida di altre.
E lo dico anche a coloro che, privatamente, scuotendo la testa come già sconfitti, mi hanno invitato a non tentare questa via, definendola perdente in partenza, e invitandomi a mettere le mie idee al servizio di questo o quel comparto delle sinistre in rotta.

Credo che la nostrami risposta sia – sebbene possa apparire il contrario – più realistica della loro. So quanto sarà difficile, ma so anche che l'alternativa che propongo non potrà farsi strada in quei contesti: ormai troppo asfittici, autolimitantisi. Loro sì destinati alla sconfitta certa, perché inevitabilmente marginalizzati dalle loro stesse tare ideologiche, quando non già irrimediabilmente corrotti dalle logiche di un potere antipopolare e antidemocratico.

Queste considerazioni – che motivano la nascita e la necessità di Alternativa – valgono in particolare per una sua caratteristica peculiare: quella di non essere comunista, né socialista, né di sinistra.

Questo ci fa diversi dalla miriade (davvero miriade) di iniziative che zampillano dal vecchio corpo morente della sinistra istituzionale. Ne ho contate, sul web, una trentina solo in questi ultimi due mesi. Ho notato che questo aspetto della mia proposta è stato poco discusso e poco contestato nei commenti arrivati sul sito di Alternativa e nelle lettere che ho ricevuto. Sì, ve ne sono state, ma solo alcune, obiezioni. Quasi che questa parte della proposta fosse considerata scontata, oppure strumentale (dice così, ma è una forma di mascheramento... etc...), oppure non centrale.
Così non è. Al contrario questo è un elemento discriminante, che ci distingue e ci distinguerà nettamente dalla miriade di piccole, disperate iniezioni per rimettere in piedi il cadavere. Con tutte le quali, voglio dirlo subito, con la massima chiarezza, noi intendiamo lavorare, cooperare, nelle quali dobbiamo essere presenti, con le quali dobbiamo essere amici e fratelli e compagni.

Perché non essere di sinistra, o comunisti, non significa essere anti-comunisti, o contro la sinistra. Gran parte di quel patrimonio, di solidarietà, di giustizia sociale, è anche mio, come lo è di quasi tutti noi. E poiché non intendo entrare in conflitto con la mia storia personale, con idee e valori che non ho mai abbandonato, non chiedo a nessuno di farlo. Immagino che la stessa cosa valga anche per molti di voi, probabilmente per la maggioranza di coloro che sono qui riuniti e che hanno aderito ad Alternativa, o che si apprestano a farlo. Ma così come nessuno di noi intende rinunciare a se stesso e alla propria storia, altrettanto deve valere per coloro che giungono da altre storie, da altri percorsi. E tanto più dovrà valere per coloro che, perché più giovani, non hanno nessuna storia. Che avvertono l'inaccettabilità della loro condizione, che si guardano attorno in cerca di idee, oltre che di giustizia; di comprensione e di valori (sebbene nessuno si sia curato di proporglieli).

Non si capisce perché dovremmo chiedere loro, o imporglielo, il pedaggio di scegliere preliminarmente di denominarsi “di sinistra”, senza tenere conto che milioni di giovani, in Italia, la sinistra non l'hanno mai incontrata sul loro percorso. E quel poco che ne conoscono è già indelebilmente sporcato dalle pratiche sconcezze che hanno potuto intravedere. In ogni caso queste generazioni sono state e sono sotto l'influsso potente della narrazione nemica, contro la quale al momento non abbiamo ancora antidoti.

In queste condizioni strana davvero è la pretesa di risalire la corrente avversa aggrappati alla simbologia della falce e martello già travolte dalla corrente della storia. La cosa più probabile è quella di finire a valle insieme ai loro frammenti. In altri termini la mia proposta nasce da una precisa valutazione, realistica e non sentimentale, dei non rappresentati. Certo che là dentro, anzi qua dentro, ci sono ancora i pezzi degli “zoccoli duri” degli ex partiti della sinistra. Ma abbiamo visto quanto pesano. E non mi riferisco solo agli ultimi e penultimi risultati elettorali; mi riferisco al peso reale che esercitano nella società italiana: peso che è ormai praticamente inesistente, come lo è la loro visibilità. Non avendo compreso cosa stava succedendo nel nuovo contesto informativo-comunicativo, sono stati cancellati. Cioè anche se esistono, non si vedono.

L'analisi della “voragine” sarà dunque estremamente importante. È questo il secondo punto del nostro ordine del giorno.

E anch'esso è una specifica caratteristica di Alternativa (perché questa analisi ancora non c'è e va fatta). E si dovrà fare con la massima cura (ecco uno dei compiti analitici che dovremmo affrontare), calandoci al suo interno. Non è analisi che si possa fare in vitro. Ma certo non la si potrà fare con gli strumenti analitici del passato. Scopriremo che la classe operaia, dopo essere stata triturata dagli sconvolgimenti strutturali della globalizzazione e dal martellamento implacabile della comunicazione , oggi vota in maggioranza per la destra berlusconiana, o per la Lega (che non si sa cosa sia peggio).

E potremmo scoprire che non solo – questa classe operaia – non è affatto rivoluzionaria, ma si prepara a divenire la base di massa per una vandea reazionaria. E allora dovremmo affrontare tutta una serie di messe a punto concettuali se vogliamo trovare – supposto che vi siano – le forze motrici del cambiamento. Senza individuare le quali, è ovvio, nessun cambiamento è possibile. Io ritengo che queste forze vi siano ed è in questo senso che ho proposto la lettura del saggio di Badiale e Bontempelli.

Su cui possiamo discutere, e io stesso ritengo che necessiti di alcune precisazioni, ma che mi è parso, tra le tante chiacchiere insulse che si leggono, uno dei contributi più maturi e interessanti a questa riflessione.

Li richiamo sinteticamente qui, entrando nel merito solo di sfuggita, per dire che alle tre aree che loro hanno indicato (area della giustizia sociale, area della legalità e della laicità, area della difesa del territorio) io aggiungerei l'area della pace e contro la guerra. Che non coincide esattamente con nessuna delle tre precedenti, ma che le attraversa. Un'area che si può vedere, investigare, mobilitare solo se si guarda il mondo intero e non solo la provincia italiana. E senza dimenticare che queste aree sono attualmente divise, scarsamente comunicanti tra loro; spesso in contrapposizione.

Se riusciamo a fare questa analisi, e a trasformarla in azione pratica tra i movimenti e tra la gente, avremo fatto un passo avanti. Altrimenti staremo fermi. Ma una cosa è ormai certa: affidarsi a qualcuno degli spezzoni della ca sta è pura illusione. Ciascuna delle questioni che noi dobbiamo affrontare implica uno scontro non solo con i potentati locali, ma anche con i colossali poteri mondiali, in primo luogo con quelli della finanza e militari. Pensare che la casta, inclusa la sinistra istituzionale, sia disposta a muovere una qualsivoglia offensiva in quelle direzioni, o anche soltanto a difendere la dignità e la sovranità nazionale, significa perdere tempo: i loro stipendi dipendono dal loro silenzio. Del resto hanno già ampiamente dimostrato che non sanno come si fa e che non vogliono farlo.

Altra cosa è – dopo aver denunciato i vertici della sinistra istituzionale – il dialogo con la gente che ancora la segue e la vota. Questo è un problema che richiede una attenzione particolare. Nella “voragine” non ci sono soltanto i non più rappresentati in questo sistema politico. Ci sono anche i milioni di elettori del PD che continuano a pensare, oltre ogni evidenza in contrario, che quello sia un partito di sinistra. Per molti si tratta di un legame storico difficile da tagliare. Imbambolati dalle parole non si sono accorti di essere stati trasferiti, in blocco, dalla sinistra al centro. E hanno trasferito al centro, in parte, le loro convinzioni. Che però, in altro contesto, considerano ancora “di sinistra”.
L'operazione Veltroniano-D'alemiana ha funzionato perfettamente. L'unico problema è che essa non può durare più a lungo di questa generazione.

E lo sgretolamento in atto del patrimonio elettorale che fu de PCI dimostra che la disillusione di molti si fa strada, trasformandosi in non voto o emigrando verso il partito di Di Pietro, oppure a destra verso la Lega, perfino nelle antiche roccaforti del PCI. Ma c'è anche il non piccolo fiume di coloro che pensano ancora di liberarsi dal male maggiore votando o sostenendo il male minore. Come se votare la Bonino nel Lazio, o De Luca in Campania, avesse rappresentato il male minore.

È semplicemente un errore di analisi. Mi ci soffermo perché qui è importantissimo capirsi bene. Ho ricevuto una lettera, molto sensata e molto rivelatrice al tempo stesso, del raggruppamento “Verità e Democrazia”, il cui autore annunciava la sua intenzione di essere presente oggi. Spero che ci sia e che intervenga. Ma intanto provo a rispondergli e a chiarire cosa penso e cosa propongo. Prima di tutto: chi sono i nostri alleati? Sono tanti. Sono quelli che noi qui rappresentiamo, ma ce ne sono di “ potenziali, o quantomeno non nemici”. Chi mi ha scritto non condivide il “rifiuto totale delle formazioni politiche attualmente esistenti” contenuto nel saggio di Badiale e Bontempelli. Io condivido la loro analisi, crudissima ed esatta. Se noi non facciamo chiarezza sulla nostra “diversità” rispetto alla politica ufficiale, questa discussione sarà inutile.
Alternativa sarà diversa.

La questione è su cosa significa rifiuto e su come attuarlo. Qui entra in questione la politica da costruire e qui ci viene in aiuto l'arte togliattiana della “distinzione”. L'amico di “Verità e Democrazia” condivide “l'analisi di chi parla di finzione a proposito del sistema politico italiano” ma scrive di “fare parte di quelle persone che non ce la fanno proprio ad andare a votare e a mettere sullo stesso piano tutti i candidati e tutte le coalizioni”.

Condivido, in parte. Anch'io, come ho detto pubblicamente, avrei votato Vendola (pur criticando molti aspetti) e non ho votato la Bonino. Distinguo anche io, dunque. E lo faccio per due motivi. Il primo è che anche all'interno delle compagini politiche rimangono persone oneste che può essere opportuno sostenere contro persone disoneste o indecenti. Il secondo è prevalentemente tattico: invitare all'astensionismo può risultare incomprensibile a una grande massa di potenziali alleati, che sono elettori di quei partiti; che non ne sono soddisfatti, ma che non vedono alternative; che ancora considerano (e questo non è un male, affatto) il voto un dovere civico.

Io stesso ho percepito queste difficoltà politiche, psicologiche, umane in molti amici che stimo. E so che queste difficoltà sono presenti anche qui tra noi. È per questa ragione che non ho invitato pubblicamente all'astensione, limitandomi - per onestà e chiarezza – a dire che non avrei votato per la Bonino nel Lazio.
E non credo, personalmente che della linea politica di Alternativa debba far parte la tattica generalizzata dell'astensione, cioè l'astensione come programma. Qui occorrerà saper tenere conto saggiamente anche delle tradizioni e delle sensibilità diverse che albergano nella “voragine” in cui abitiamo. Qui voglio chiarire il mio pensiero anche rispetto al pur pregevolissimo contributo dato da Guido Cosenza. La questione è cruciale e va scandagliata fino alla sua radice.

Noi mettiamo un pilastro centrale a sorreggere tutto l'impianto di Alternativa: la difesa e l'attuazione della Costituzione.

Non è una scelta tattica ma strategica. Ma chi difende la Costituzione non può rigettare una forma di organizzazione della politica basata sui partiti. Dove si collocherebbe altrimenti il processo decisionale democratico? Su questa domanda la confusione è grande anche tra i leader dei movimenti e nella “voragine”. Io credo che affermare di essere per la Costituzione e poi rifiutare la rappresentanza siano due cose che si contraddicono.

Certo non questa rappresentanza. Ma di un'altra rappresentanza noi abbiamo un bisogno vitale. Del resto qui non c'è proprio alcuna alternativa. Poiché l'agorà non esiste in una società di massa, ci deve essere un luogo rappresentativo dove prendere le decisioni. Ovvio che noi lo pensiamo come non in contrasto con la società civile, certamente. Ma senza una rappresentanza che quelle istanze appunto rappresenti, si potranno anche elaborare le migliori proposte, ma poi bisognerà affidarne l'esecuzione proprio a coloro che non vorranno né saranno capaci di attuarle.

Valga per tutti l'esempio dell'acqua: un parlamento di rappresentanti delle istanze popolari e della società civile non avrebbe mai votato la privatizzazione dell'acqua. E questo vale per ogni problema riguardante il patto tra cittadini e loro rappresentanza. E' possibile un parlamento così? Io rispondo: fu possibile un'assemblea costituente che scrisse la nostra Costituzione.
Qui noi non possiamo in alcun senso essere indifferenti al ruolo della rappresentanza. La maniglia che vogliamo costruire per i milioni che la cercano deve servire per realizzare un programma non solo sui libri o nelle piazze, o nei salotti televisivi, ma per i luoghi dove si decide per conto nostro o nell'interesse del Bene Comune.
Ma, ciò detto, non dovremo arretrare su nessuna delle questioni di principio che si presentano e si presenteranno. Sempre per rispondere all'amico di “Verità e Democrazia”, dico che non ho votato Bonino perché la ritengo diretta corresponsabile della prosecuzione della guerra afghana, avendola ascoltata nel Parlamento Europeo sostenere a spada tratta la legittimità delle prime elezioni truffaldine e indecenti che portarono al potere il Quisling Hamid Karzai. Perché la so sostenitrice del neo-liberismo più spinto e, dunque, perché sapevo che non sarebbe stata di alcun giovamento per i “bisogni delle persone in carne ed ossa”, come scrive l'amico di “Verità e Democrazia”. E il fatto che il PD l'abbia candidata, addirittura presentandola come la migliore possibile, conferma la qualità di quel partito come componente integrale del sistema che dobbiamo combattere se vorremo che i nostri figli sopravvivano.

Probabilmente Emma Bonino non ruba, ma questo la qualifica forse per essere la nostra rappresentante nelle istituzioni? E oscura il resto del panorama guerriero e antipopolare che costei rappresenta? Rispondere in un modo o nell'altro a questa domanda significa guardare in un modo o nell'altro alla crisi mondiale. Significa scegliere, qui, nel Lazio tra la pace e la guerra. Ecco una questione di principio per me invalicabile.

E voglio chiarire anche le mie critiche a Vendola, a Claudio Fava, persone rispettabili e di indubbio valore, politico e umano. Ma che sono andati a una sconfitta con Sinistra Arcobaleno, e Sinistra e Libertà nelle politiche e nelle europee perché hanno perduto la bussola e si sono affidati alla narrazione dominante. Il fatto che siano poi cascati nella trappola dell'alleanza con un PD che voleva semplicemente e brutalmente liquidarli è soltanto la ciliegina sulla torta.

Errori non innocenti e invece rivelatori di una visione sbagliata della crisi politica italiana e perfino mondiale. Perché un conto è progettare una coalizione con un partito che ti è vicino, se non proprio fratello; un altro conto è consegnarsi mani e piedi a un avversario che ha una visione antitetica alla tua della democrazia, del potere, dello sviluppo, della guerra.
Per questa via, per “senso di responsabilità” verso il governo, a sua volta tributario dell'Impero, l'intera sinistra istituzionale ha votato la guerra irachena e afghana, ha affossato il grande movimento pacifista, e si è infine suicidata, perdendo la faccia e perfino il consenso dei suoi elettori tradizionali.

Grave errore e ripetuto, perché è lo stesso che ti porta ad abbracciare l'inqualificabile De Luca in Campania anche se poi vinci in Puglia. Ma, se ci mettiamo in questa logica rischiamo di trovarci tra due anni con un Vendola che si candida alle primarie del PD o che fa la ruota di scorta di sinistra di un partito che parla americano e che fa la guerra.
È questa l'alternativa di cui abbiamo bisogno? Non lo penso. Mutatis mutandis l'arte della distinzione deve essere applicata a Di Pietro. Partito che non è un partito, ma che oggi difende la Costituzione; partito che sostiene l'alta velocità (motivo per cui, se fossi stato elettore del Piemonte, non avrei votato la Bresso) e che fu contro la Commissione d'inchiesta sui fatti di Genova; partito dai bassifondi infrequentabili ma che ha De Magistris al suo interno, etc...

E che dire del tentativo di De Magistris di un patto tra partiti e movimenti (da IDV a Grillo, al popolo viola, includendo Ferrero e Vendola)? Di nuovo deve venirci in soccorso l'arte della distinzione. Se questa idea punta alla creazione di una coalizione alternativa al PD, è evidente che essa fallirà per le molte insuperabili contraddizioni che contiene e che è perfino inutile elencare.
Quindi sposarla equivale a farci trascinare in un ennesimo fallimento. Vuol dire che siamo contrari a ogni forma di convergenza con le forze democratiche interne o tangenziali alla casta?

La mia risposta è no. Potrebbe essere necessario muoversi in questa direzione per fronteggiare l'offensiva anti-costituzionale che si annuncia ormai come certa. Sappiamo che il vertice del PD sta trattando con la destra per modifiche liberticide. E non è nemmeno escluso che patti segreti prevedano anche un accordo parlamentare per escludere il referendum popolare previsto dalla Costituzione vigente. Ci servirà dunque una specie di CLN per fronteggiare l'emergenza democratica e informativa. E dobbiamo sapere che i vertici del Partito Democratico saranno il nemico. E dunque dovremo batterli parlando con tutta la franchezza necessaria al loro elettorato.

Quando, prima delle politiche, scrissi un commento su Megachip intitolato: “Tutti contro il PD o la sinistra muore” fui guardato con astio e perfino incredulità non tanto dal PD (che capiva perfettamente che io avevo capito quello che intendevano fare) quanto da tutti gli spezzoni della sinistra istituzionale, che progettavano ancora una volta una coalizione di governo col PD identica a quella in cui erano già finiti maciullati. E che non si accorgevano che era proprio il PD che stava scavando loro la fossa mentre trattava col nemico.
Incredibile errore ripetuto alle ultime europee, quando fu il Pd a sostenere la barriera del 4% (per fare terra bruciata a sinistra) e perfino l'abolizione dei rimborsi elettorali (che avrebbero liquidato e azzerato anche gli apparati dei partitini rimasti). Parlano i dati pubblicati dal Fatto del 10 aprile scorso, in un bell'articolo di Luca Telese, dove si racconta del fallimento di Rinascita e Liberazione, della vendita dei patrimoni immobiliari, della riduzione del numero dei consiglieri regionali da 48 a 16.

Tutto questo per dire alcune cose utili. La disputa, che si è accesa anche nei commenti della pagina di Alternativa, sul votare, astenersi, esprimere voto nullo, è questione secondaria in questo contesto. Temo che, nei prossimi mesi, dovremo andare a votare non per questo o per quel partito, ma per difendere la Costituzione.

Perché l'offensiva che è già stata annunciata sarà scatenata e il suo obiettivo sarà di trasformare l'Italia in uno stato autoritario dove la divisione dei poteri sarà abolita e varrà solo la legge del più forte, fuori da ogni patto sociale. E in cui lo scontro – come ha scritto Eugenio Scalfari – sarà su un ring dove in un angolo siederà Berlusconi, pronto a tutto, mentre sull'altro angolo non ci sarà nessuno (neanche il male minore). Al massimo ci sarà Di Pietro.

E non ci sarà (a differenza di quello che pensa Scalfari) neanche l'arbitro, perché a forza di firmare leggi incostituzionali si sarà già slogato il polso.

Dunque non è il caso di perdere tempo in diatribe su apparentamenti, coalizioni tra noi e i partiti e partitini morenti. E neppure di convergenza tra leader dei movimenti.
Ho ricevuto sollecitazioni in questo senso, certo in buona fede, a cercare contatti in molte direzioni; ad aderire a questo o a quell'altro incontro promosso da questo o quel leader.

Io rispondo così:

a. Alternativa è solo il primo passo e non ha ancora una massa critica per poter essere interessante per chicchessia.

b. Noi dobbiamo andare dovunque si aprano spazi di discussione aperti a convergenze programmatiche

c. Dobbiamo andarci con le nostre idee, via via che riusciamo a precisarle, tenendo presente che noi non siamo alternativi a nessuno, ma vogliamo essere Alternativa di sistema. Esempio: appoggio esplicito e convinto alla battaglia per il referendum contro la privatizzazione dell'acqua. Ma non a quello di Di Pietro che ha offerto un assist al PD (corresponsabile assoluto della privatizzazione, avendola proposta per primo) che lascia aperta la scelta tra gestione pubblica, mista e privata. Ma, altro esempio, portando nel dibattito sull'ambiente, nel grande tema della difesa del territorio, una visione realistica della decrescita, che faccia capire non solo come essa non sarà “felice”, ma soprattutto che essa è incompatibile con il sistema capitalistico e che agitare questa bandiera si può, e si deve, senza però illudersi che essa possa convivere, coesistere pacificamente con esso.

d. Evitando di farci trascinare in iniziative e imprese minoritarie. Il panorama dei movimenti è pieno di gruppi e gruppetti, dove le verità da cercare sono sostituite da dogmi. Certo c'è una spiegazione anche per questo, dopo trent'anni di assenza completa di luoghi dove formare le nuove generazioni - e bisogna essere comprensivi e tolleranti - ma questo non significa che si debba perdere tempo in queste direzioni.

e. Evitando l'errore di rimanere prigionieri della Rete. L'ho scritto sul manifesto preliminare. La Rete va usata perché è indispensabile strumento di organizzazione. Ma la Rete non è il regno della libertà e tanto meno della democrazia. E può trasformarsi nella pericolosissima illusione, o miraggio, di una sostituzione della realtà. Su questo tornerò tra poco, cioè trattando il terzo punto su cui Alternativa si caratterizza rispetto a tutti gli altri laboratori e movimenti e dove potrà portare il proprio peculiare contributo agli altri.

Tutto questo facendoci guidare da una bussola peculiare: la narrazione dominante della società italiana è falsa. Radicalmente falsa. È quella che viene dal mainstream; è parte del “rumore di fondo” che milioni di persone sono costrette ad ascoltare e vedere. È una narrazione che ci descrive un'Italia maggioritariamente berlusconiana, già soggiogata irrimediabilmente. È una narrazione che è stata magistralmente prodotta dal sistema dominante, sotto la forma dell' “eletto dal popolo”.

Ma che è stata accettata senza nemmeno tentare di combatterla, dalla cosiddetta opposizione. Si veda il D'Alema che esortava a pensare che l'Italia è un paese naturalmente conservatore. Questa è la prova provata della fine dell'egemonia culturale della sinistra e dell'avvento dell'egemonia della destra, anzi della complicità della sinistra nel favorire l'egemonia della destra.

Fa parte, come sottoinsieme, dei ragionamenti truffaldini tanto amati dai numerosi intellettuali lottizzati di sinistra. I quali si sono affannati a ripetere, da decenni che non è vero che le televisioni influenzano i comportamenti politici degli elettori. Schermo dietro al quale hanno potuto operare impuniti i manipolatori proprietari dei media e i creatori dei contenuti manipolatori. In realtà le televisioni non solo hanno modificato i comportamenti politici contingenti degli elettori, dei cittadini, ma hanno modificato in profondità la percezione della realtà di milioni di persone; hanno riplasmato la psicologia delle masse; hanno provocato quella che Giovanni Sartori ha giustamente definito una “mutazione antropologica”, il cui sbocco è stato la trasformazione finale in consumatore compulsivo dell'ex cittadino, dell'ex operaio, dell'ex impiegato etc.
Eppure c'era stato un qualche pensatore che aveva visto giusto. Pasolini in Italia. E Guy Debord, che propose una interpretazione straordinariamente precisa dei processi che sarebbero avvenuti trent'anni dopo. Anche lui scriveva, alla fine degli anni '70, che "lo spettacolo è il capitale a un tale grado di accumulazione da divenire immagine", il frutto dello sviluppo del capitale dove "la merce non è più dotata di una valore d'uso reale, come voleva Marx, ma ha raggiunto un grado di astrazione tale da diventare immagine, rappresentazione".

Avete mai sentito parlare di queste cose a sinistra? Non potevate, perchè la sinistra stava da un'altra parte e non si era accorta che la lotta di classe si era trasferita tra i chip dei nuovi media. Per questo fondai Megachip, per cercare di spiegarglielo.

Era ovvio che la politica si sarebbe trasformata in spettacolo e che l'intero processo democratico ne sarebbe uscito sconvolto e le stesse regole della democrazia sarebbero state private dei loro contenuti e trasformate in cerimoniale. E mentre tutto ciò accadeva le sinistre e l'intera coorte degli intellettuali democratici ripetevano in coro che non c'era nulla da fare contro la volontà del popolo. Popolo bue, ma popolo sovrano. Cioè un sovrano bue.

Così mentre la democrazia veniva violentata, l'opinione democratica veniva convinta che ciò era del tutto legittimo. Elezioni truffaldine nella sostanza, venivano derubricate come valide e ineccepibili. E le sinistre vi si adattarono ripromettendosi di usare esse stesse, non appena possibile, le stesse tecniche manipolatorie berlusconiano-americane. Cosa che fecero, in effetti, trasformando la televisione pubblica in una copia fedele e subalterna delle tv commerciali private. Senza neppure avvertire che, in tal modo, moltiplicavano e potenziavano la manipolazione inventata dall'avversario.

Fino a che non c'è stato più alcun avversario – come ha ben scritto Gianni Ferrara – e si è approdati al “monopartitismo disgiunto” in cui ci troviamo oggi, in cui (tra le altre nefandezze che stanno producendo un vero e proprio colpo di stato legale) la destra e il centro-sinistra condividono ormai un unico progetto politico che tende a trasformare, con il presidenzialismo plebiscitario, sia la forma di Stato che quella di governo.

Destra e centro-sinistra omologhi nel comprimere la rappresentanza popolare, in gara tra loro nello spartirsi il potere, concordi nel sottrarlo ai legittimi detentori della sovranità: una marcia cominciata con il trionfale passaggio al sistema maggioritario, promosso dal centro-sinistra, fino alla legge elettorale porcata della Lega, fino alla devolution e alla cosiddetta riforma federale, fino al futuro presidenzialismo plebiscitario.

Se la sinistra avesse letto McLuhan, o Debord, o Neil Postman non avrebbe mandato i suoi leader, a cominciare da Bertinotti, nel salotto dell'Insetto a fare da “pietanza” mentre credevano di essere commensali (citazione da Travaglio). Avessero conosciuto la “Società dello spettacolo” di Debord avrebbero capito quello che stava avvenendo, non solo in Italia ma nel mondo intero, a partire dagli anni '70: e cioè che le tecnologie della comunicazione stavano producendo un salto di qualità, diventando esse stesse parte integrante del nuovo meccanismo di produzione, accumulazione, controllo.

Finiva un'epoca e ne cominciava un'altra, in cui il capitalismo non dominava più soltanto la società ma la ristrutturava, mentre ricomponeva l'intera fisionomia delle classi sociali, trasformandole. È accaduto così che le sinistre, non avendo compreso né studiato i mutamenti, continuarono a ripetere i loro cerimoniali, a figurarsi l'esistenza dei loro antichi referenti sociali, mentre questi si dissolvevano e sparivano. Vedi l'esempio già fatto della classe operaia del nord. Così loro combattono – o credevano di combattere – su un campo, mentre la battaglia vera si combatteva su un altro campo, e veniva vinta senza sforzo perché loro non c'erano proprio, a combatterla.

Questo è ciò che è già avvenuto. Eppure, nonostante questo, la narrazione dominante rimane ugualmente falsa. Almeno in Italia, e in Europa. Non in America dove il dominio del sistema ha già definitivamente prodotto la mutazione antropologica. Perché? Perché in Italia la società civile e democratica realizzata dalla Resistenza, la Costituzione che ha suggellato un patto sociale oltremodo solido, hanno costituito un baluardo per ora invalicato.

Non dico invalicabile, perché esso è ormai in più punti lesionato (e vedremo in questo 2010 o 2011 quanto sia ancora resistente). Ma che ha tenuto, entro certi limiti, contro l'offensiva demolitrice del pensiero unico e del consumo forsennato di tutti i valori democratici. È su questa linea Maginot che dobbiamo costruire la contr'offensiva. Ed è questo il terzo argomento cruciale che giustifica l'esistenza di Alternativa come movimento organizzato.

Perché nessuno ha, fino ad ora affrontato la questione di come combattere sul terreno dove il nemico ha stravinto e la società civile e politica è stata assente. Un terreno ancora inesplorato. Da oltre dieci anni con “Megachip – democrazia nella comunicazione”, cerco, senza grande successo, di spiegare che è sul campo della comunicazione che si deve portare la battaglia.

Ma come combattere sul quel campo ancora non sappiamo. A stento cominciamo a capire che è là che si è compiuta la ristrutturazione della società, che sono mutati i rapporti sociali, che si è trasferito il potere, che si è instaurato il controllo. Al punto che, io credo, nessuna battaglia futura potrà essere affrontata con speranza di successo se non la si porterà sul quel campo. Essendo chiaro, in primo luogo che, senza democrazia nella comunicazione non vi può essere più alcuna democrazia. Che, senza invadere e conquistare la comunicazione, non sarà possibile raggiungere masse critiche di consumatori, con i quali cominciare la indispensabile de-manipolazione.

Come realizzare questi obiettivi è materia di alta complessità, che richiederà una riflessione collettiva. E di alta pericolosità, perché è ormai li che abitano i centri del potere e del controllo. Le forme di lotta, anche, dovranno essere immaginate, progettate, sperimentate, perché al momento sono appena abbozzate e perché la discussione è appena cominciata tra un mare di equivoci.
Quale è il ruolo della televisione? Quali sono le caratteristiche della Rete? Qual è il ruolo dell'educazione di massa alla lettura dei media? Per quanto mi riguarda ho sperimentato diverse possibilità, con successi e insuccessi, con pochi mezzi e piccole squadre: NoWarTv , il film Zero, Pandoratv, l'educazione ai media nelle scuole.

Altri (pochi) hanno fatto analoghi tentativi: Arcoiris per esempio. Fino dell'episodio, assai interessante, di "Rai-per-una-notte". Dovremo proseguire e ritentare, insieme ad altri. Penso a una lettera appello a tutti coloro che hanno fatto esperimenti utili in questa direzione.

Ma dobbiamo anche dotarci di un solido programma per il governo della comunicazione pubblica. Fino ad ora è stata la prateria del potere e nessuno ha messo bocca sulle sue scelte. Il PD e i partiti della sinistra istituzionale (ormai extra parlamentare) si sono accontentati delle briciole. Ma anche i movimenti hanno ignorato la questione. Nessuno ha neppure tentato di affrontare i nodi della pubblicità, del costo-contatto, del ruolo della pubblicità, di quello dell'intrattenimento.

Quasi tutti vivono nell'illusione grilliana che la rete risolverà tutto, o quasi: dalla democrazia al controllo degli amministratori pubblici, mentre i controllori del blog di Di Pietro e di Beppe Grillo ci annunciano un futuro a medio termine in cui tutti diventeremo felicemente cittadini di Google: prospettiva perfino più agghiacciante, perché compiutamente orwelliana, di quella in cui ci troviamo attualmente.

Ma questo è terreno di dibattito che dovremmo affrontare, tra noi e all'esterno nei prossimi mesi. Punto di approdo una piattaforma politica di alternativa radicale all'attuale assetto radiotelevisivo pubblico e privato, con cui presentarci al mondo del lavoro, a quello imprenditoriale, ai movimenti, alle forze politiche.

Sarà già tardi quando arriveremo, perché, mentre a migliaia visitiamo facebook e ci trastulliamo su youtube senza avere ancora capito come funzionano, perché esistono, come usarli, il potere disgiunto del monopartitismo ha già privatizzato il digitale e ha messo le sue travi d'acciaio per bloccare i sentieri televisivi dove noi dovremmo passare.
Ma la questione di un programma per il governo democratico della comunicazione è indispensabile risolverla. Ecco – lo ripeto – una delle caratteristiche qualificanti di Alternativa, uno dei nostri obiettivi principali. Su questo tema dobbiamo sviluppare l'iniziativa politica, promuovendo incontri, momenti di chiarificazione, convergenze, alleanze.

Si tratta di approfondire ogni singolo aspetto di una tematica molto complessa e poi produrre proposte: di riforma legislativa degli assetti comunicativi; di lotta per la riconquista della tv pubblica; di lotta per limitare e ridurre l'intensità dei messaggi pubblicitari su tutte le reti televisive, pubbliche e private (sottolineo tutte), definendo regole invalicabili che puntino all'aumento del costo-contatto, mentre dovrebbero privilegiare i produttori nazionali. È un discorso anche questo non ancora tentato, che è destinato nello stesso tempo a colpire al cuore l'interesse dei manipolatori e a migliorare il tenore intellettuale, culturale e etico della maggiore istituzione educativa di un paese moderno; di battaglia culturale per l'educazione ai media; di creazione d strumenti di comunicazione alternativi in grado di fronteggiare l'emergenza che si annuncia a brevissimo termine.

A questo proposito apro un inciso. Riguardante ancora l'evento "Rai- per- una- notte". Qualcuno lo ha definito una “sortita democratica”. Condivido questa definizione. È stata una sortita: bella, imponente, dalla piccola fortezza sbrecciata in cui siamo ridotti.

Milioni di cittadini hanno potuto vedere non tanto ciò che era loro impedito: hanno potuto sperimentare che è possibile (attraverso la multimedialità, in forme di reazione collettiva di una parte importante della società civile) rompere il muro del silenzio imposto dal monopolio della comunicazione in mano al potere.

Fin qui bene, possiamo brindare, ma si è trattato di una sortita, una tantum. Non basta e non ci basterà. Invece l'esperienza di Bologna dice che noi possiamo e dobbiamo fare, tutti insieme, un canale (su più piattaforme, mettendo insieme digitale, reti locali, webtv, blog, streaming) che, ogni sera, anche per un numero limitato di ore, svolga la funzione di agorà per il popolo della democrazia e della Costituzione.

Era questo il progetto di Pandora Tv che non siamo riusciti a realizzare perché non siamo stati capiti e perché non siamo stati capaci. Ma soprattutto perché all'interno della voragine ancora non si è capita la gravità della situazione e i pericoli che corriamo. Ancora non si è capito che, quando scatterà il “nostro 11 settembre” (che potrà assumere forme diverse, non solo quella di un attentato terroristico, ma che sarà l'occasione per l'affossamento finale della democrazia) noi saremo muti , senza strumenti di comunicazione, soverchiati dal frastuono isterico delle televisioni e delle radio di potere.

E non ci sarà nessun blog, di Grillo o di qualcun altro, a dirci cosa dobbiamo fare e a spiegarci cosa sta accadendo. Per questo io propongo che, come suo primo atto pubblico, Alternativa stili una proposta chiara, da indirizzare a tutti i soggetti ricettivi del campo democratico, a cominciare ovviamente da coloro che hanno realizzato e sostenuto "Rai -per -una -notte", invitandoli a riunirsi in vista dell'obiettivo di trasformare quella “sortita” in una organizzazione permanente, in un presidio democratico per fronteggiare l'emergenza, tutti i giorni della settimana, fino a che essa non sarà stata debellata.

Ho già parlato molto ma tante erano le cose da dire dopo aver raccolto il ricco, interessante, civile dibattito che si è sviluppato sul sito di Alternativa. Il dibattito non di una nuova setta nascente ma di persone responsabili, consapevoli del momento in cui vivono. Dobbiamo ora formulare su queste basi, sui punti bene riassunti dall'amico Maurizio Zaffarano , un manifesto più organico e completo di quello con cui abbiamo formato la prima centuria.

Su queste basi dobbiamo procedere (non da soli ma, su ogni tema, producendo convergenze e sinergie con altri, sempre nell'intento di non re-inventare la bicicletta ogni volta) a definire un programma di governo dell'emergenza. Poiché noi sappiamo che non ci sarà un ritorno alla normalità.
Su quali basi?

Accenno qui, per punti, un promemoria.

a) è dal lavoro, dalla sua qualità, dal suo valore sociale e umano che si dovrà ripartire per costruire un'ipotesi alternativa al modello trionfante del lavoro umiliato, privato di diritti, precarizzato, variabile dipendente dell'arbitrio. Se non si ferma questa deriva tutto ciò su cui fondiamo la nostra vita, la nostra democrazia, la nostra sicurezza, il nostro territorio, la nostra natura, l'ambiente in cui viviamo, saranno minacciati.

b) è dalla difesa della giustizia sociale che si dovrà ripartire. Tenendo sempre presente che la giustizia non è solo quella che si esercita nelle nostre vicinanze geografiche. Se non c'è giustizia nel mondo, non ci sarà neanche qui (e infatti non c'è). E non possiamo accettare l'inganno che ci sia data un po' di giustizia sociale in cambio del nostro tacito assenso all'ingiustizia che hanno imposto ad altri, che erano più deboli.

c) è dalla difesa del territorio , contro ogni sopruso esercitato in nome dell'abuso della proprietà privata e della ragione di stato. Vale contro l'alta velocità in Val di Susa, contro le basi e le servitù militari, contro le centrali atomiche e le bombe atomiche. Vale per combattere ogni spinta all'uso della natura come merce; contro ogni riapparire dell'idea insensata della crescita illimitata.

d) è dalla riappropriazione pubblica e sociale del denaro e del controllo sulla sua emissione che si dipana la battaglia contro la devastazione della natura. Questo è un tema che la sinistra ha completamente ignorato ed è una delle prove della sua subalternità. La crescita indefinita è figlia carnale della possibilità illimitata di creazione del denaro. Un sistema economico e sociale alternativo al capitalismo finanziario non può non fondarsi sul controllo pubblico e democratico della emissione monetaria.

e) è la parola d'ordine di “più stato e meno mercato” come strumento indispensabile per gestire con traumi minori la decrescita inevitabile e drammatica che si annuncia.

f) è l'introdurre nelle legislazioni dell'idea che i diritti umani non sono altra cosa rispetto ai diritti della natura. Chi colpisce la natura colpisce la vita e il diritto all'esistenza di ogni essere vivente. Cioè commette un reato contro la natura e contro l'uomo.

g) è il rifiuto della guerra, di tutte le guerre. L'attuale architettura internazionale produce guerre. Dobbiamo modificarla. Il sistema di alleanze in cui ci troviamo è produttore di guerre: dobbiamo uscirne.

h) è un sistema democratico di comunicazione e informazione. E lo metto alla fine non perchè lo consideri meno importante degli altri, ma perchè tutti li riassume.

Tutte queste 8 stelle polari sono dentro la nostra attuale Costituzione, se non tutte nella lettera, sicuramente tutte nello spirito.


Da queste stelle polari discenderanno le misure concrete di cui ci faremo portatori. Ne elenco solo alcune, come corollari indispensabili:
fermare la pratica antipopolare di coprire i deficit di bilancio tassando il lavoro, i redditi fissi, la piccola impresa, il piccolo commerci.



tassare i grandi patrimoni effetto della speculazione finanziaria e di quella immobiliare.
abolire tutte le forme di precariato.
colpire l'evasione fiscale.
eliminare le missioni militari all'estero e ridurre drasticamente le spese militari.
colpire la corruzione e intensificare i sequestri alle mafie impedendo la messa all'asta di quelli effettuati.
tassare la pubblicità e ridurne la quantità.
finanziare con denaro pubblico la produzione comunicativa e informativa proveniente dalla società civile e dalle istituzioni rappresentative.
abrogare la privatizzazione dell'acqua.
cancellare la devolution e attuare rigorosamente la Costituzione nelle parti concernenti i poteri da assegnare alle Regioni. Unificando le leggi elettorali regionali in base ai risultati di una conferenza nazionale delle stesse regioni.
riduzione drastica del numero dei parlamentari per ognuna delle Camere.
ritorno al sistema proporzionale nelle elezioni a tutti i livelli.
È solo una illustrazione sintetica di un'agenda di lavoro che dovremo via via completare e precisare.

Quale organizzazione?

I gruppi regionali.
Tutto quanto detto sarà chiacchiera se non ci organizziamo per farlo. Poiché nulla si realizza da sé e ogni cosa richiederà passaggi organizzativi molto concreti.
Sono cose che si devono imparare, o re-imparare.

Per cui Alternativa sarà anche scuola di organizzazione.

Primo: muoversi secondo le forze di cui si dispone. Abbiamo una distribuzione territoriale molto diseguale. Prevalentemente centro-nord. Dovremo perciò dedicare una speciale cura alla ricerca di quadri per formare gruppi nel sud e nelle isole.
Ma intanto costituiamo i gruppi regionali.
Per ogni regione, o gruppi di regioni, bisognerà individuare un responsabile. E prevedere, entro l'estate una o più riunioni collettive di ogni gruppo o inter-gruppo.

Dallo schema che è stato distribuito emergono i compiti. Le prime attribuzioni degli incarichi si faranno sulla base della disponibilità individuale. Aspetto auto-candidature, ma credo che ogni gruppo regionale (ogni cellula) dovrà individuare il proprio responsabile, e definire il suo programma.

Il proselitismo
Coloro che hanno aderito alla centuria arcobaleno sono 130 circa . Ma basta guardare le cifre sul sito per rendersi conto che il nostro messaggio è arrivato fin'ora soltanto a circa 9000 persone, più o meno. Su questa base è evidente che noi possiamo facilmente moltiplicarci.
Ogni gruppo regionale deve fissare obiettivi e controllarne l'esecuzione. Per esempio raddoppiando i propri effettivi entro la fine di giugno.

Il gruppo centrale
Quando dico centro non intendo Roma. Ma di un gruppo “centrale” non si può fare a meno, nel senso che una direzione di funzioni centrali è indispensabile. Diciamo una segreteria. All'interno della quale dovrà esserci un responsabile dell'organizzazione cioè una persona cui i responsabili delle cellule regionali possano fare riferimento.

Un responsabile delle relazioni pubbliche. Diciamo un portavoce. Ce ne sarà bisogno perché dovremo organizzarci per intervenire e ottenere voce e visibilità. Alla quale io non potrò far fronte da solo per molti, ovvii, motivi, tra cui i numerosi impegni internazionali.
Un responsabile delle finanze (delle entrate di ogni genere), un tesoriere. Alternativa non potrà andare lontano senza prevedere delle entrate. Una forma di tesseramento è indispensabile. Quale forma dobbiamo discutere. Una assemblea come questa, anche a prescindere dal fatto che ognuno di voi è qui a sue spese, costa non poco. Più avanti non potremmo chiedere, a chi di voi assicurerà incarichi, di sobbarcarsi individualmente tutti i costi commessi. Dunque almeno alcune spese dovranno, per forza di cose, essere coperte dall'organizzazione.

I nostri strumenti
Abbiamo, direttamente o indirettamente, accesso a una piccola rete di comunicazione. Il sito giuliettochiesa.it, che in prospettiva dovrà trasformarsi in Alternativa; megachip.info che è, di fatto, e sarà, il nostro “organo di stampa”. PandoraTv che deve diventare (ancora non lo è) la nostra finestra sul web visivo. zerofilm.info che può diventare una fonte di finanziamento. E’ una piccola panoplia, che però è seguita all’incirca da tremila persone ogni giorno.
Due importanti strumenti di moltiplicazione delle nostre tematiche (non nostri, ma vicini) sono Cometa e Antimafia2000.

Occorrerà studiare e organizzare la moltiplicazione multimediale della nostra proiezione esterna. Abbiamo bisogno dunque di un responsabile della comunicazione di Alternativa che dovrà seguire, sviluppare e promuovere le sinergie e, in primo luogo, il rilancio di PandoraTv, ovviamente su basi nuove.

Ovviamente noi siamo una “associazione di fatto” per ora informale. Ma dovremo darci delle regole comuni e condivise.

Non credo che dobbiamo appesantirci troppo, ma un primo passo per definire queste regole mi pare necessario. Alternativa nasce da Giulietto Chiesa ma non deve fermarsi all'atto di nascita. Altri nomi devono emergere in fretta e darle forma e fisionomia. E questo, appunto, richiederà regole democratiche semplici e precise cui attenersi.

Parliamone, e poi al lavoro.
Giulietto Chiesa.

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