di Giorgio Cremaschi (Liberazione del 3 febbraio 2011)
Il massacro di 100 cani husky in Canada è una rappresentazione del capitalismo selvaggio di oggi. Anche il Corriere della Sera titola in prima pagina “Il massacro dei cani disoccupati”, dando così una dimensione sociale collocata nell’attuale sistema economico. Il bell’articolo dell’etologo Danilo Mainardi coglie soprattutto l’aspetto della ferocia dell’uomo verso il suo migliore amico animale, ma tralascia la dimensione umana che pure è nel titolo.
La storia è questa. Una delle attività collaterali, l’indotto, delle Olimpiadi canadesi era costituita dal portare in giro i turisti in slitta. I cani husky erano il motore. Finito il successo dell’iniziativa, l’imprenditore, un giovane rampante di 29 anni, si è trovato con 100 bocche canine improduttive da sfamare.
Il massacro di 100 cani husky in Canada è una rappresentazione del capitalismo selvaggio di oggi. Anche il Corriere della Sera titola in prima pagina “Il massacro dei cani disoccupati”, dando così una dimensione sociale collocata nell’attuale sistema economico. Il bell’articolo dell’etologo Danilo Mainardi coglie soprattutto l’aspetto della ferocia dell’uomo verso il suo migliore amico animale, ma tralascia la dimensione umana che pure è nel titolo.
La storia è questa. Una delle attività collaterali, l’indotto, delle Olimpiadi canadesi era costituita dal portare in giro i turisti in slitta. I cani husky erano il motore. Finito il successo dell’iniziativa, l’imprenditore, un giovane rampante di 29 anni, si è trovato con 100 bocche canine improduttive da sfamare.
Allora ha deciso di liquidare l’investimento e ha affidato al suo dipendente, che era anche l’allevatore a cui i cani erano affezionati, il compito di ucciderli tutti. Puntando al massimo risparmio, visto che una puntura per una morte dolce costa 100 dollari a cane, e usando tutta la sua autorità imprenditoriale sul suo dipendente, ha quindi imposto un barbaro massacro. Gli husky sono stati così uccisi a coltellate e la notizia si è saputa perché il loro carnefice non ha retto agli incubi successivi e ha chiesto i danni per lo stress psicologico.
Sono sicuro che adesso ci diranno che riflettere su questo terribile episodio significa abbandonarsi alle solite generalizzazioni dei comunisti, che vedono profitto e mercato dappertutto. Il problema è che profitto e mercato sono davvero dappertutto e hanno trasformato tutto in merce, anzi, in merce usa e getta. I cani sono stati soppressi perché improduttivi, nel civilissimo Canada, uno degli otto paesi più ricchi al mondo.
Naturalmente adesso si dirà che quello è un caso estremo, ma la misura della produttività della natura, degli animali, delle persone, non è forse il criterio guida di ogni scelta economica e sociale oggi? Non vorrete mica paragonare i cani alle persone, immagino ci si dica. Eppure, se le persone, come alla Fiat e in tante altre aziende, vengono costrette a uno sfruttamento che le rende rapidamente improduttive, perché non domandarsi che fine faranno? Certo, per gli esseri umani ci sono lo stato sociale, la cassa integrazione e l’indennità di disoccupazione, ma non sentiamo dire che tutto questo costa troppo? Cosa succederà il giorno in cui ci diranno che il debito pubblico e il profitto privato non possono più permettersi di mantenere assenteisti, improduttivi, persone che comunque non fanno guadagnare il dovuto?
Ebbene sì, abbiamo associato il massacro dei cani all’omelia terribile del vescovo di Munster, raccontata da Paolini in un suo bellissimo spettacolo. Quel vescovo, durante il nazismo, ebbe il coraggio di alzare una voce contro il massacro dei disabili che il nazismo praticava nel nome della selezione della specie. Quel vescovo disse che non si può uccidere un essere umano solo perché improduttivo. Quanto è avvenuto in Canada, ha avuto tanto scalpore non solo per la crudeltà del fatto in sé, ma perché ha smosso una paura riposta nella nostra coscienza profonda. I cani uccisi sono stati in fondo umanizzati, tanto quanto è stato bestiale l’atto umano che li sopprimeva. E’ la rottamazione di esseri viventi nel nome della produttività di mercato che ci colpisce e ci fa sentire quel massacro come un monito alla nostra umanità.
E’ questo che mette i dubbi anche al Corriere della Sera. Fin dove si spingerà questa logica? Nel medioevo i guerrieri venivano abituati alla crudeltà sugli esseri umani, partendo da quella con gli animali. Chi doveva combattere, fin da piccolo, era educato ad essere feroce senza ragione verso gli animali perché poi lo fosse anche verso i nemici, le loro famiglie, i loro figli. Noi oggi viviamo in una società dell’informazione nella quale però la fisicità del male viene celata. Siamo in guerra, lo vediamo sui telegiornali, ma gli unici morti che vediamo sono quelli celati nelle cerimonie ufficiali. Il sangue, il male, il dolore, non si vedono, tanto è vero che quando riescono ad emergere ne siamo tutti sconvolti. Non sarà allora che ci si vuole riabituare, come nel medioevo, alla inevitabilità della crudeltà per sopravvivere? Non sarà che nel nome della produttività e della selezione sociale e dell’autorità imprenditoriale, un po’ alla volta, ciò che è rimosso dall’informazione riemerge nei nostri comportamenti come ferocia assoluta? La rieducazione alla ferocia oggi non si fa più nel nome di una razza o di un regno, ma semplicemente nel nome del profitto e della produttività. Per questo il massacro degli husky non solo ci indigna, ma ci inquieta, ci spaventa. Ci fa riflettere su questa società mostruosa e sulla mega macchina dello sfruttamento che la muove. Se non proviamo a fermarla essa ci divorerà.
Sono sicuro che adesso ci diranno che riflettere su questo terribile episodio significa abbandonarsi alle solite generalizzazioni dei comunisti, che vedono profitto e mercato dappertutto. Il problema è che profitto e mercato sono davvero dappertutto e hanno trasformato tutto in merce, anzi, in merce usa e getta. I cani sono stati soppressi perché improduttivi, nel civilissimo Canada, uno degli otto paesi più ricchi al mondo.
Naturalmente adesso si dirà che quello è un caso estremo, ma la misura della produttività della natura, degli animali, delle persone, non è forse il criterio guida di ogni scelta economica e sociale oggi? Non vorrete mica paragonare i cani alle persone, immagino ci si dica. Eppure, se le persone, come alla Fiat e in tante altre aziende, vengono costrette a uno sfruttamento che le rende rapidamente improduttive, perché non domandarsi che fine faranno? Certo, per gli esseri umani ci sono lo stato sociale, la cassa integrazione e l’indennità di disoccupazione, ma non sentiamo dire che tutto questo costa troppo? Cosa succederà il giorno in cui ci diranno che il debito pubblico e il profitto privato non possono più permettersi di mantenere assenteisti, improduttivi, persone che comunque non fanno guadagnare il dovuto?
Ebbene sì, abbiamo associato il massacro dei cani all’omelia terribile del vescovo di Munster, raccontata da Paolini in un suo bellissimo spettacolo. Quel vescovo, durante il nazismo, ebbe il coraggio di alzare una voce contro il massacro dei disabili che il nazismo praticava nel nome della selezione della specie. Quel vescovo disse che non si può uccidere un essere umano solo perché improduttivo. Quanto è avvenuto in Canada, ha avuto tanto scalpore non solo per la crudeltà del fatto in sé, ma perché ha smosso una paura riposta nella nostra coscienza profonda. I cani uccisi sono stati in fondo umanizzati, tanto quanto è stato bestiale l’atto umano che li sopprimeva. E’ la rottamazione di esseri viventi nel nome della produttività di mercato che ci colpisce e ci fa sentire quel massacro come un monito alla nostra umanità.
E’ questo che mette i dubbi anche al Corriere della Sera. Fin dove si spingerà questa logica? Nel medioevo i guerrieri venivano abituati alla crudeltà sugli esseri umani, partendo da quella con gli animali. Chi doveva combattere, fin da piccolo, era educato ad essere feroce senza ragione verso gli animali perché poi lo fosse anche verso i nemici, le loro famiglie, i loro figli. Noi oggi viviamo in una società dell’informazione nella quale però la fisicità del male viene celata. Siamo in guerra, lo vediamo sui telegiornali, ma gli unici morti che vediamo sono quelli celati nelle cerimonie ufficiali. Il sangue, il male, il dolore, non si vedono, tanto è vero che quando riescono ad emergere ne siamo tutti sconvolti. Non sarà allora che ci si vuole riabituare, come nel medioevo, alla inevitabilità della crudeltà per sopravvivere? Non sarà che nel nome della produttività e della selezione sociale e dell’autorità imprenditoriale, un po’ alla volta, ciò che è rimosso dall’informazione riemerge nei nostri comportamenti come ferocia assoluta? La rieducazione alla ferocia oggi non si fa più nel nome di una razza o di un regno, ma semplicemente nel nome del profitto e della produttività. Per questo il massacro degli husky non solo ci indigna, ma ci inquieta, ci spaventa. Ci fa riflettere su questa società mostruosa e sulla mega macchina dello sfruttamento che la muove. Se non proviamo a fermarla essa ci divorerà.
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