Fonte: ilfattoquotidiano.
Una raccolta di aforismi e riflessioni ancora molto attuali: "M'indigno molto meno di un tempo. Mi sono assuefatto allo sfascio e al ridicolo". E ancora: "Mai dato un colpo al cerchio e uno alla botte. Il pubblico dei miei spettacoli, lo dico con orgoglio, è vario".
Esce oggi “Quando parla Gaber, pensieri e provocazioni per l’Italia di oggi” (editore Chiarelettere) a cura di Guido Harari, critico musicale e tra i più grandi fotografi italiani. Qui di seguito il primo capitolo e una selezione delle “provocazioni” di Gaber.
Secondo me gli italiani e l’Italia hanno sempre avuto un rapporto conflittuale, ma la colpa non è certo dell’Italia, ma degli italiani, che sono sempre stati un popolo indisciplinato, individualista, se vogliamo un po’ anarchico e ribelle, e troppo spesso cialtrone.
Secondo me gli italiani non si sentono per niente italiani, ma quando vanno all’estero, li riconoscono subito.
Secondo me gli italiani sono cattolici e laici, ma anche ai più laici piace la benedizione del papa. Non si sa mai.
Secondo me gli italiani sono poco aggiornati e un po’ confusi, perché non leggono i giornali. Figuriamoci se li leggessero.
Secondo me non è vero che gli italiani sono antifemministi. Per loro la donna è troppo importante, specialmente la mamma.
Secondo me gli italiani hanno sempre avuto come modello i russi e gli americani. Ecco come va a finire quando si frequentano le cattive compagnie. (Brano dello spettacolo “Un’idiozia conquistata a fatica”, l’ultimo del Teatro Canzone, portato in scena da Gaber tra il 1998 e il 2000).
Secondo me gli italiani sentono che lo Stato gli vuol bene, anche perché non li lascia mai soli.
Secondo me gli italiani sono più intelligenti degli svizzeri, ma se si guarda il reddito medio pro capite della Svizzera, viene il sospetto che sarebbe meglio essere un po’ più scemi.
Secondo me gli italiani sono tutti dei grandi amatori, peccato che nessuna moglie italiana se ne sia accorta.
Secondo me gli italiani al bar sono tutti dei grandi statisti, ma quando vanno in parlamento sono tutti statisti da bar.
Secondo me un italiano, quando incontra uno che la pensa come lui, fa un partito. In due è già maggioranza.
Secondo me gli italiani sono i maggiori acquirenti di telefonini, e non è vero che tutti quelli che hanno il telefonino sono imbecilli. È che tutti gli imbecilli hanno il telefonino.
Secondo me gli italiani non sono affatto orgogliosi di essere italiani, e questo è grave. Gli altri sono invece orgogliosi di essere inglesi, tedeschi, francesi e anche americani, e questo è gravissimo.
Secondo me gli italiani sono i più bravi a parlare con i gesti, e quando devono pagare le tasse fanno [gesto dell’ombrello].
Secondo me gli italiani e l’Italia hanno sempre avuto un rapporto conflittuale. Ma la colpa non è certo degli italiani, ma dell’Italia che ha sempre avuto dei governi con uomini incapaci, deboli, arroganti, opportunisti, troppo spesso ladri, e in passato, a volte, addirittura assassini. Eppure gli italiani, non si sa con quale miracolo, sono riusciti a rendere questo paese accettabile, vivibile, addirittura allegro. Complimenti.
Come recuperare la fiducia nel senso collettivo? La disfunzione dello Stato è la disfunzione dei partiti. La Rai è piena di funzionari di Stato, e chi li muove più da lì? Il discorso allora si fa burocratico, il che è gravissimo. Gli ospedali fanno schifo, è roba dello Stato. L’Inps è una vergogna, è roba dello Stato. Scusate, ma io non ne sento parlare, né da Berlusconi, né da nessun altro. Perché? (1995) (pagina 14)
Oggi non c’è nessuno che dica che in un terzo dell’Italia non c’è lo Stato: da Frosinone in giù lo Stato non esiste. Mi hanno raccontato che, per portare via i rifiuti dal Napoletano con destinazione Germania, un treno è stato fatto partire di notte, per non farsi vedere dalla camorra. Lo Stato è dunque clandestino, mentre la camorra è ufficialità. Poi si parla dei grandi progetti per il Mezzogiorno, dei grandi risultati ottenuti grazie ai pentiti, della mafia che è stata sconfitta. Intanto lo Stato non c’è, o è allo sfascio e si fa finta che basti un attimo a rimettere tutto a posto. In realtà non è così, grazie a un’inamovibile burocrazia. In tutto questo io mi sento un perdente comunque. Ma chi ha vinto, mi chiedo? (2001) (p. 15)
Avere un presidente del Consiglio che ha sei televisioni mi sembra una cazzata. Possiede anche dei giornali? Una cazzata. Ogni apporto alla mia conoscenza è in realtà viziato da un gioco di parte, il che mi fa dire che la mia speranza, questo mio sogno collettivo, non è nel gioco dei partiti, nel gioco del potere, ma è nel gioco di un movimento in cui le idee circolino liberamente, sottraendosi a questo ricatto costante dello schieramento. (1995) (pagina 15)
Credo che ognuno di noi sarebbe interessato a pensare a cose anche più sue, e invece siamo costretti a pensare ad altro, distratti non certo da grandi pensieri, ma da come si amministrano le cose, da come funziona lo Stato. Credo di essere, anche mio malgrado, costretto a intervenire su questioni che mi interessano molto relativamente. (1993) (p.27)
Non ho mai dato un colpo al cerchio e uno alla botte. Il pubblico dei miei spettacoli, lo dico con orgoglio, è certamente vario: operai, studenti, impiegati, professionisti, intellettuali e intellettualoidi che tuttavia, se questi ultimi in particolare hanno orecchie buone per sentire, sono sicuramente dei masochisti a rimanere in sala fino alla fine. (1975) (pagina 47)
M’indigno molto meno di un tempo. Mi sono assuefatto allo sfascio e al ridicolo. Quando si sorride per le cose che non vanno, non c’è più spazio per la rabbia, che invece sarebbe ancora tanto utile. Io tifo più per l’autoironia, il guardare se stessi da un’altra angolazione, cercando di capire qualcosa in più di ciò che siamo. L’ironia ci deve coinvolgere, altrimenti si trasforma in sarcasmo, che è un modo ingeneroso di avvicinarsi agli altri. (1992) (pagina 50)
di Giorgio Gaber
Da Il Fatto Quotidiano del 4 maggio 2011
Esce oggi “Quando parla Gaber, pensieri e provocazioni per l’Italia di oggi” (editore Chiarelettere) a cura di Guido Harari, critico musicale e tra i più grandi fotografi italiani. Qui di seguito il primo capitolo e una selezione delle “provocazioni” di Gaber.
Secondo me gli italiani e l’Italia hanno sempre avuto un rapporto conflittuale, ma la colpa non è certo dell’Italia, ma degli italiani, che sono sempre stati un popolo indisciplinato, individualista, se vogliamo un po’ anarchico e ribelle, e troppo spesso cialtrone.
Secondo me gli italiani non si sentono per niente italiani, ma quando vanno all’estero, li riconoscono subito.
Secondo me gli italiani sono cattolici e laici, ma anche ai più laici piace la benedizione del papa. Non si sa mai.
Secondo me gli italiani sono poco aggiornati e un po’ confusi, perché non leggono i giornali. Figuriamoci se li leggessero.
Secondo me non è vero che gli italiani sono antifemministi. Per loro la donna è troppo importante, specialmente la mamma.
Secondo me gli italiani hanno sempre avuto come modello i russi e gli americani. Ecco come va a finire quando si frequentano le cattive compagnie. (Brano dello spettacolo “Un’idiozia conquistata a fatica”, l’ultimo del Teatro Canzone, portato in scena da Gaber tra il 1998 e il 2000).
Secondo me gli italiani sentono che lo Stato gli vuol bene, anche perché non li lascia mai soli.
Secondo me gli italiani sono più intelligenti degli svizzeri, ma se si guarda il reddito medio pro capite della Svizzera, viene il sospetto che sarebbe meglio essere un po’ più scemi.
Secondo me gli italiani sono tutti dei grandi amatori, peccato che nessuna moglie italiana se ne sia accorta.
Secondo me gli italiani al bar sono tutti dei grandi statisti, ma quando vanno in parlamento sono tutti statisti da bar.
Secondo me un italiano, quando incontra uno che la pensa come lui, fa un partito. In due è già maggioranza.
Secondo me gli italiani sono i maggiori acquirenti di telefonini, e non è vero che tutti quelli che hanno il telefonino sono imbecilli. È che tutti gli imbecilli hanno il telefonino.
Secondo me gli italiani non sono affatto orgogliosi di essere italiani, e questo è grave. Gli altri sono invece orgogliosi di essere inglesi, tedeschi, francesi e anche americani, e questo è gravissimo.
Secondo me gli italiani sono i più bravi a parlare con i gesti, e quando devono pagare le tasse fanno [gesto dell’ombrello].
Secondo me gli italiani e l’Italia hanno sempre avuto un rapporto conflittuale. Ma la colpa non è certo degli italiani, ma dell’Italia che ha sempre avuto dei governi con uomini incapaci, deboli, arroganti, opportunisti, troppo spesso ladri, e in passato, a volte, addirittura assassini. Eppure gli italiani, non si sa con quale miracolo, sono riusciti a rendere questo paese accettabile, vivibile, addirittura allegro. Complimenti.
Come recuperare la fiducia nel senso collettivo? La disfunzione dello Stato è la disfunzione dei partiti. La Rai è piena di funzionari di Stato, e chi li muove più da lì? Il discorso allora si fa burocratico, il che è gravissimo. Gli ospedali fanno schifo, è roba dello Stato. L’Inps è una vergogna, è roba dello Stato. Scusate, ma io non ne sento parlare, né da Berlusconi, né da nessun altro. Perché? (1995) (pagina 14)
Oggi non c’è nessuno che dica che in un terzo dell’Italia non c’è lo Stato: da Frosinone in giù lo Stato non esiste. Mi hanno raccontato che, per portare via i rifiuti dal Napoletano con destinazione Germania, un treno è stato fatto partire di notte, per non farsi vedere dalla camorra. Lo Stato è dunque clandestino, mentre la camorra è ufficialità. Poi si parla dei grandi progetti per il Mezzogiorno, dei grandi risultati ottenuti grazie ai pentiti, della mafia che è stata sconfitta. Intanto lo Stato non c’è, o è allo sfascio e si fa finta che basti un attimo a rimettere tutto a posto. In realtà non è così, grazie a un’inamovibile burocrazia. In tutto questo io mi sento un perdente comunque. Ma chi ha vinto, mi chiedo? (2001) (p. 15)
Avere un presidente del Consiglio che ha sei televisioni mi sembra una cazzata. Possiede anche dei giornali? Una cazzata. Ogni apporto alla mia conoscenza è in realtà viziato da un gioco di parte, il che mi fa dire che la mia speranza, questo mio sogno collettivo, non è nel gioco dei partiti, nel gioco del potere, ma è nel gioco di un movimento in cui le idee circolino liberamente, sottraendosi a questo ricatto costante dello schieramento. (1995) (pagina 15)
Credo che ognuno di noi sarebbe interessato a pensare a cose anche più sue, e invece siamo costretti a pensare ad altro, distratti non certo da grandi pensieri, ma da come si amministrano le cose, da come funziona lo Stato. Credo di essere, anche mio malgrado, costretto a intervenire su questioni che mi interessano molto relativamente. (1993) (p.27)
Non ho mai dato un colpo al cerchio e uno alla botte. Il pubblico dei miei spettacoli, lo dico con orgoglio, è certamente vario: operai, studenti, impiegati, professionisti, intellettuali e intellettualoidi che tuttavia, se questi ultimi in particolare hanno orecchie buone per sentire, sono sicuramente dei masochisti a rimanere in sala fino alla fine. (1975) (pagina 47)
M’indigno molto meno di un tempo. Mi sono assuefatto allo sfascio e al ridicolo. Quando si sorride per le cose che non vanno, non c’è più spazio per la rabbia, che invece sarebbe ancora tanto utile. Io tifo più per l’autoironia, il guardare se stessi da un’altra angolazione, cercando di capire qualcosa in più di ciò che siamo. L’ironia ci deve coinvolgere, altrimenti si trasforma in sarcasmo, che è un modo ingeneroso di avvicinarsi agli altri. (1992) (pagina 50)
di Giorgio Gaber
Da Il Fatto Quotidiano del 4 maggio 2011
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