Quanta energia critica si disperde di nuovo in questo tentativo di ridar vitalità sociale a un congegno parlamentare partitocratico in fase sempre più senile, e probabilmente terminale!
Ma è possibile che si creda ancora di poter scoprire un nuovo soggetto politico – nel senso di regime – valido per riformare questo tipo di istituzioni? Quando ammetteremo che il regime parlamentare del vecchio stato-nazione novecentesco non serve ormai a nient’altro che mantenere in piedi un’ossatura istituzionale capitalista globale, soprattutto metropolitana, proprio quando i principali valori su cui fa perno – la cosiddetta democrazia, in primo luogo, e persino lo stesso lavorismo cristiano-capitalista – si stanno svuotando di quei fondamenti etici e ideologici alienanti che si pretendeva assoluti e da riprodurre all’infinito?Non c’è più possibilità di una speranza organizzata, come la chiamava Sandro Medici su Il Manifesto, all’interno dei meccanismi politici dell’attuale regime. E anche se si pensasse di averla di nuovo trovata, per un altro tentativo di palazzo, il vecchio stato-nazione novecentesco riuscirebbe sempre ad annullarla con la sua pesantezza, e assorbirla nelle sue inerzie, come ormai avrebbe dovuto insegnarci la storia degli ultimi decenni. Ma soprattutto la nuova fase di centralizzazione del comando istituzionale liberista.
La politica nel regime, e del regime, ciò che stolti – e interessati – si ostinano a chiamare democrazia, non riesce nemmeno più a esercitare quel ruolo di corpo intermedio di cui si parla, ormai totalmente neutralizzata dal potere economico, soprattutto attraverso il controllo finanziario e mediatico globale.
Ma i nostri Donchisciotte insistono, come Medici e tutti gli altri quando affermano la necessità di “riannodare il filo spezzato tra politica e società, e forse costruire una soggettività nuova che si proponga di aprire promettenti prospettive”.
Promettenti per chi e per cosa?
Forse per tentare di reintegrare nei meccanismi di regime quell’altro soggetto politico sempre più reale e importante, nel suo processo di formazione globale, internazionale, che come Occupy WS degli Stati Uniti ha già fissato la nuova scadenza di visibilizzazione, estensione e accumulazione politica per il prossimo 12 di maggio, dopo il successo del mayday?
Com’è possibile pensare che si possano integrare, per esempio in una rinnovata forma-partito, le moltitudini attive che hanno capito che non si tratta più di cambiare regimi politici ma il proprio sistema che li produce?
Tanto più che, se analizziamo le componenti reali di questo movimento tuttavia in costruzione ed espressione incipienti, nei termini classici della politica occidentale, un’altra cosa va sottolineata: è la prima volta nella storia del capitalismo che si assiste alla possibilità di un processo di ricomposizione politica reale della classe antagonista al Capitale. E non stiamo trattando di classi statali o nazionali di lavoratori/impiegati stabili del capitale e dello stato: il processo è globale, a partire dall’emergenza tunisina che si è subito estesa, e sembra proprio lasciar dietro di sé tutte le ideologie lavoriste e di sinistra, nelle metropoli.
Se da un lato non funzionano ormai più – e finalmente! – le tradizionali categorie sociologiche come la rifritta classe lavoratrice novecentesca, con le sue temporanee eccellenze di crescita politica (lavoratore professionale d’inizio secolo, quello del ’17-18, o il lavoratore-massa dei ’60-70) o le maccheroniche “classi medie” occidentali della seconda metà del secolo XX (ed ora cinesi, come cominciano a pretendere alcuni!) che racchiudono in generale vere frazioni capitalizzate dei settori di lavoratori più garantiti, dall’altro lato i nuclei più avanzati del movimento riscoprono una a una tutte le contraddizioni chiave del sistema. E quindi cresce il potenziale protagonista di ogni settore della classe, oltre le sue frazioni stabilmente impiegate, lavoratrici. Precari, migranti e disoccupati in prima fila.
Nello stesso tempo in cui rifiutano o sorpassano le ideologie delle fasi precedenti di lotta sociale aperta, rimettono le ragioni dello scontro sul piano centrale, non solo della legge del valore come le vecchie sinistre radicali, ma proprio sulla contraddizione centrale e generale: beni comuni monopolizzati e alienazione universale, sfruttamento globale del lavoro e delle risorse, questione del benessere comune (Bien Vivir) e dell’equilibrio bioregionale e naturalmente internazionale e planetario.
Allora: non è questa la vera classe operaia – operaio-Gaia – in fase di ricomposizione globale, che abbandona gli orpelli del lavorismo delle sinistre del sistema – radicali o riformiste – per esempio con la critica sempre più radicale al sindacalismo capitalista e di regime, impostando la lotta di classe – non ancora così formulata ma non ci sarà molto da aspettare – sulle sue basi fondamentali: la proprietà e l’alienazione universale, e poi logicamente lo sfruttamento prosumer, come suggerisce, mi sembra, Formenti?
Certo, ciò è possibile se si abbandonano, come sta succedendo proprio negli Stati Uniti, i concetti sociologici e lavoristi di classe, e si recupera la valenza dialettica generale del concetto.
Classe non più come settore sociale determinato, magari politicizzato come detta la lontanissima tradizione marxista-leninista, e nemmeno classe solo come composizione formata e organica dei suoi settori più significativi: lavoratori, disoccupati, precari, studenti (operai in formazione) migranti (operai in mobilità estrema), riproduttori (-trici), molti di loro metropolitani della costellazione prosumer, ecc. Bensì come approccio politico materialista (ora sarebbe il sintetico o proletario “99%”) alla realtà della contraddizione del sistema. Da superare radicalmente.
Morta la “classe”, viva la classe
Come paradigma analitico della polis; e intesa organizzativamente come rete di reti, paradigma politico dei processi sociali sotto la contraddizione fondamentale del sistema.
Cioè assumendo la vera dialettica del concetto “classe”, strumento politico radicale, generale e aperto a tutte le estensioni nazionale della classe, in ogni realtà bioregionale ed economica, con tutte le assolute diversità di reti-movimento, sempre più connesse globalmente.
Non più meccaniche di classi (lavoratrici), con le loro forme o formazioni (politiche), ma interpretazioni dialettiche di movimenti reticolari, assunti come classe nell’analisi in modo materialista radicale e dialettico nel fondo, non nella fabbrica! E soprattutto a scala mondiale. Il sogno di Marx.
Ed ecco che ora sì, finalmente, possiamo recuperare le domande di fondo che alcuni marxiani si son già fatti molto tempo fa sul lavorismo, su quel mito-virus di classe lavoratrice che diventa La Classe Operaia, come Romano Alquati per esempio, e anche sull’assurdo ‘operaio sociale’ che si potrebbe accettare solo quando operaio è sinonimo di lavoratore, o peggio ancora come suo sottoprodotto, lasciando allora Senza Nome la classe antagonista reale. Troppo facile e comodo questo travestimento quasi iperbolico di un ‘operaio sociale’, inventato dall’operaismo lavorista senza fare l’autocritica sul lavorismo concettuale della “classe operaia = lavoratrice”. Non era potere operaio, ma potere del Lavoro! Lavoro salariato, capitalista.
La classe operaia reale non è lavoratrice. I lavoratori ‘classici’ come i recenti ‘prosumer’ sono solo un settore minoritario della Classe Globale, con incidenze decrescenti più ci allontaniamo dalle metropoli e dall’era industriale.
Quindi, classe antagonista reale non secondo il dogma ideologico della legge del valore lavoro – strumento marxiano essenziale certo, se non diventa diktat dell’ideologia marxista lavorista come un assoluto determinante per definire le classi – ma secondo l’unico quadro di messa a fuoco generale della lotta di classe: la contraddizione fondamentale tra appropriazione privata capitalista dei beni comuni, e dei mezzi produttivi, internet compreso naturalmente, e carattere sociale del lavoro, dell’attività creativa/produttiva generale. La classe antagonista è qui, tutta in queste contraddizioni senza ovviarne nessuna! e non unicamente nella fabbrica – industriale o TIC – di creazione, produzione ed espropriazione di valore!
Il liberismo ha scatenato le furie della precarietà: ha spianato così la via alla ricomposizione politica della classe al completo. Perché non c’è niente come un precario per riconoscersi facilmente come “soggetto” operaio globale. E allora eccolo il “nuovo” soggetto in formazione, soggetto reale nella polis materialista, che non chiede di riannodare il filo spezzato tra politica e società ma POTERE, Kratos, senza nuove mediazioni alienate e alienanti come i partiti del regime parlamentare.
E lo pratica disarcionando il mito-virus della classe lavoratrice garantita, quindi pronto non solo a spazzare i regimi politici e istituzionali del capitale, partiti in prima fila, ma a spezzare le proprie radici del sistema, al completo. Fuori e dentro le fabbriche, vecchie e nuove, Foxcom in Cina o la fabbrica-globale Internet. Riappropriazione dei Beni Comuni per un Bien Vivir globale.
Poi vedremo se e come assumerebbe nuove forme politiche precise e stabili, se fosse necessario, per accelerare l’estinzione dei sistemici stati-nazione in primo luogo, e della forma-stato preistorica, definitivamente.
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