- controcorrente -
"Più che politici, sono politicanti, dediti alla micropolitica. Gente che va a caccia di voti con qualsiasi mezzo. Non hanno nessun programma. Il loro scopo è rimanere al potere o tornarci, e per raggiungerlo sono capaci di tutto. La società capitalistica è una società che corre verso l'abisso, da ogni punto di vista"... (Cornelius Castoriadis, appello del 1997, dal gusto terribilmente attuale).
Il mondo contemporaneo è
caratterizzato dalle crisi, dalle contraddizioni, dalle contrapposizioni e dalle
fratture; ma ciò che soprattutto mi colpisce
è l'insignificanza. Prendiamo per esempio il conflitto tra destra e
sinistra: ha perduto ogni senso. Gli uni e gli altri dicono le stesse
cose.
Dal 1983, i socialisti
francesi hanno fatto una politica; poi Balladur ha
fatto la stessa politica. Dopodiché i socialisti sono tornati al governo, e
hanno rifatto la stessa politica.
Quindi Edouard
Balladur è ritornato e ha ripreso a fare la stessa politica. Nel 1995
Jacques
Chirac ha vinto le elezioni dicendo: «Farò un'altra
politica» , e invece ha proseguito con la stessa.
I responsabili
politici sono impotenti. La sola cosa che possono fare è seguire la
corrente, o in altri termini, applicare la politica ultraliberale oggi di moda.
I socialisti non hanno fatto nient'altro che questo, da quando sono tornati al
potere.
Più che politici, sono
politicanti, dediti alla micropolitica.
Gente che va a caccia
di voti con qualsiasi mezzo. Non hanno nessun programma. Il loro scopo è
rimanere al potere o tornarci, e per raggiungerlo sono capaci di
tutto.
Esiste un legame
intriseco tra questa specie di nullità della politica, questo divenire nullo
dalla politica, e l'inconsistenza negli altri campi, nelle arti, nella filosofia
o nella letteratura. E questo lo spirito del tempo. Tutto cospira a estendere
l'insignificanza.
La politica è uno strano
mestiere, perché presuppone due capacità che non hanno tra loro nessun
rapporto intrinseco. La prima è la capacità di accedere al potere. Se non si
accede al potere, le migliori idee del mondo non servono a nulla; perciò è
necessaria l'arte dell'accesso al potere. La seconda capacità è quella di saper
governare, una volta conquistato il potere.
Nulla garantisce che chi
è in grado di governare sappia anche accedere al potere. Nella monarchia
assoluta, per accedere al potere bisognava adulare il re, o essere nelle grazie
di Madame
Pompadour. Oggi, nella nostra
«pseudodemocrazia», quello che serve è invece essere
telegenici e avere fiuto per l'opinione pubblica.
Se dico
«pseudodemocrazia» è perchè ho sempre pensato che la cosiddetta
democrazia rappresentativa non sia una vera e propria democrazia.
Lo aveva detto anche Rousseau: gli
inglesi si credono liberi perché eleggono i loro rappresentanti ogni cinque
anni. Ma sono liberi solo un giorno in cinque anni, il giorno delle elezioni:
tutto qui. Non che le elezioni siano truccate, che vi sia qualche imbroglio
nelle urne; sono truccate perché le opzioni sono predefinite, «Votate in
favore di Maastricht o contro» . Ma chi ha fatto il trattato di
Maastricht? Non certo il popolo! C'è una meravigliosa frase di Aristotele: «Chi
è il cittadino? E' cittadino colui che è capace di governare e di essere
governato» .
«Riposarsi o essere
liberi»: nelle società moderne, dalla rivoluzoione americana (1776) e da quella
francese (1789) fino alla Seconda guerra mondiale (1945) circa, esisteva un
conflitto sociale e politico vivo. La gente si impegnava nell'opposizione e
manifestava per cause politiche. Gli operai organizzavano scioperi, e non sempre
per piccoli interessi corporativi. Si dibattevano i grandi temi che riguardavano
i lavoratori. Queste lotte hanno lasciato il segno su questi ultimi due secoli.
Oggi osserviamo un calo di attività. E' un circolo vizioso.
Quanto più la gente si
ritrae dall'impegno politico, tanto più alcuni burocrati, politicanti o
sedicenti responsabili prendono piede. Hanno una buona giustificazione: «Mi
assumo l'iniziativa perché nessuno fa niente». E quanto più impongono il loro
dominio, tanto più la gente si dice: «Non vale la pena di immischiarsi; sono già
in tanti ad avere le mani in pasta, e in ogni modo non ci si può
nulla».
La seconda ragione,
legata alla prima, è la dissoluzione delle grandi ideologie politiche, sia
rivoluzionarie sia riformiste, che volevano veramente cambiare qualcosa nella
società. Per mille e una ragioni, queste ideologie sono state accantonate, hanno
cessato di corrispondere alle aspirazioni,alla situazione della società,
all'esperienza storica. Nel 1991 si è verificato l'enorme evento del crollo
dell'URSS e del comunismo. C'è stata forse una sola persona tra i politici per
non dire politicanti della sinistra, che abbia veramente riflettuto su quanto è
accaduto? Perchè è avvenuto tutto questo, e chi, come volgarmente si dice, ne ha
tratto lezione? Eppure, un'evoluzione di questo tipo la prima fase con le
mostruosità del totalitarismo, i Gulag ecc.., e infine questo tracollo meritava
una riflessione molto approfondita e una conclusione su ciò che è un movimento
impegnato a cambiare la società può e deve fare,e su quello che non deve e non
può fare. E invece niente! E cosa fanno molti intellettuali? Hanno spolverato il
liberismo puro e duro dell'inizio del Diciannovesimo secolo.
Si è parlato di una sorta
di terrorismo del pensiero unico, cioè di un non pensiero. E' unico nel senso
che è il primo caso di non pensiero integrale.
Oggi domina la
rassegnazione; anche tra gli esponenti del liberismo. Qual è il grande argomento
in questo momento? «Forse questo sistema va male, ma l'alternativa era
peggiore.» E bisogna ammettere che molti sono stati raggelati, tanto da pensare:
«Attenzione a non muoversi troppo, c'è pericolo di andare verso un nuovo
Gulag» . Ecco cosa c'è dietro questo esaurimento ideologico. E non so se ne
uscirà se non risorgerà una vera, vigorosa critica del sistema. E se non vi sarà
una rinascita dell'impegno, della partecipazione della gente.
Qua è là, si incomincia
tuttavia a comprendere che la crisi non è una fatalità della modernità alla
quale bisogna sottomettersi, «adattarsi» per non cadere nell'arcaismo. Si sente
il fremito di una ripresa dell'attività civica. Allora si pone il problema del
ruolo dei cittadini e della competenza di ciascuno a esercitare i diritti e i
doveri democratici nell'intento dolce e bella utopia di uscire dal conformismo
generalizzato.
Possiamo, per uscirne,
trarre ispirazione dalla democrazia ateniese? Chi veniva eletto ad Atene? Non i
magistrati, che venivano designati per sorteggio, o a rotazione. Per Aristotele, ricordiamolo,
il cittadino è colui che è capace di governare e di essere governato. Tutti sono
capaci di governare, perciò si estraggono i nomi a sorte. La politica non è
materia di specialisti. Non esiste una scienza della politica. Esiste
un'opinione, la doxa dei
greci, ma non un epistème, una
scienza.
L'idea che non vi siano
specialisti della politica e che le opinioni si equivalgano è la sola
giustificazione ragionevole del principio maggioritario. Dunque, presso i greci,
il popolo decide, e i magistrati sono sorteggiati o designati a rotazione.
Quanto alle attività specializzate, costruzione di cantieri navali o di templi,
operazioni belliche, c'è bisogno di specialisti; i quali vengono eletti. Sono
queste le elezioni. Elezione vuol dire «scelta dei migliori» . E' qui che
interviene l'educazione del popolo. Si procede a una prima elezione, ci si
sbaglia, si constata per esempio, che Pericle è un pessimo stratega e non lo si
rielegge, lo si revoca. Ma bisogna che sia coltivata la doxa. E come può essere
coltivata una doxa che riguardi il governo? governando.
Dunque la democrazia,
questo è importante, è una questione di educazione dei cittadini, che oggi non
esiste affatto. Recentemente, da una statistica pubblicata su una rivista è
emerso che il 60 per cento dei deputati francesi confessano di non comprendere
nulla di economia. E si tratta di deputati, di gente che viene chiamata
continuamente a decidere! In verità anche loro, come i ministri, sono asserviti
ai loro tecnici.
Dispongono dei loro
esperti, ma hanno anche pregiudizi o preferenze. Se si segue da vicino il
funzionamento di un governo, di una grande burocrazia, si nota che i dirigenti
non si fidano degli esperti, ma scelgono tra questi coloro che condividono le
loro opinioni. E'un gioco completamente stupido, ma è in questo modo che siamo
governati.
Le attuali istituzioni
respingono la gente, l'allontanano, la dissuadono dal partecipare alla politica.
Mentre la migliore educazione alla politica è la partecipazione attiva. Questo
però implicherebbe una trasformazione delle istituzioni per consentire e
incentivare questa partecipazione.
L'educazione dovrebbe
essere molto più imperniata sulla cosa comune.
Occorrerebbe comprendere
i meccanismi dell'economia, della società, della politica eccetera. I bambini
trovano noioso l'insegnamento della storia, che pure è
appassionante.
Bisognerebbe insegnare
insegnare una vera e propria anatomia della società contemporanea così com'è, e
come funziona. Imparare a difendersi dalle credenze, dalle
ideologie.
Aristotele ha detto:
«L'uomo è un animale che desidera il sapere». Ma non è così. L'uomo è un animale
che desidera credere, desidera la certezza di una fede. Si spiega così l'impatto
delle religioni, delle ideologie politiche. Nel movimento operaio, all'inizio
l'atteggiamento era molto critico. Prendiamo la seconda strofa
dell'Internazionale, il canto della Comune che rifiuta il Salvatore supremo, via
la religione! Così come anche i Cesari e i tribuni e quindi via anche
Lenin!
Oggi, benché ci sia
sempre una frangia che cerca la fede, la gente è molto più critica. E questo è
importantissimo.
Scientology, le sette o
il fondamentalismo prendono piede in altri paesi, ma molto meno da noi. La gente
oggi è molto più scettica, ma è anche più inibita quando si tratta di agire. Nel
suo discorso agli ateniesi, Pericle disse: «Solo noi siamo capaci di riflessione
senza esserne inibiti nell'azione» . E' ammirevole! E aggiunge poi: «Gli altri,
o non riflettono, e allora sono temerari e commettono assurdità, oppure
riflettendo, finiscono per non far nulla, perchè pensano che se esiste un
discorso esiste anche il suo opposto». Attualmente siamo in una fase di
inibizione questo è certo.
Chi si è scottato l'acqua
calda ha paura anche di quella fredda. Non servono grandi discorsi, servono
discorsi veri.
In ogni modo, esiste un
desiderio irriducibile. Se guardiamo alle società arcaiche, alle società
tradizionali, non c'è un desiderio, irriducibile, tale da essere trasformato
dalla socializzazione.
In queste società, che
sono ripetitive, si dice per esempio: «Prenderai moglie nel clan o nella
famiglia tale. Avrai una donna nella tua vita. Se ne avrai due, o se avrai due
uomini, sarà una trasgressione, e lo farai di nascosto. Avrai uno status
sociale,quello e nessun altro» . Oggi c'è una liberazione in tutti i significati
del termine rispetto ai vincoli della socializzazione degli individui. Siamo
entrati in un'epoca di aperture illimitate in tutti i campi, ed è in questo che
abbiamo il desiderio di infinito. Questa liberazione, in un certo senso, è una
grande conquista. Non si tratta quindi di ritornare alle società
ripetitive.
Ma bisogna anche, e
questo è un tema importantissimo, imparare ad autolimitarsi, individualmente e
collettivamente. La società capitalistica è una società che corre verso
l'abisso, da ogni punto di vista, perché non sa autolimitarsi. Mentre una
società veramente libera, una società autonoma, deve essere capace di
autolimitarsi, sapere che esistono cose che non si possono fare e che non si
deve neppure cercare di fare, o che non si devono desiderare.
Viviamo su questo pianeta
che stiamo distruggendo, e mentre pronuncio questa frase penso alle meraviglie
penso al Mar Egeo, penso alle montagne innevate, alla visione del Pacifico da un
angolo dell'Australia, a Bali, all'India, alla campagna francese che si sta
desertificando. Tutte meraviglie in via di demolizione. Penso che dovremmo
essere i giardinieri di questo pianeta. Bisogna coltivarlo, coltivarlo, così
com'è e per quello che è. E trovare la nostra vita, il nostro posto
relativamente a questo. Ecco un compito immenso. E ciò potrebbe assorbire gran
parte del tempo liberato da lavori stupidi, ripetitivi. Ora, tutto questo è
lontanissimo non solo dal sistema attuale, ma anche dall'attuale immaginazione
dominante. L'immaginario della nostra epoca è quello dell'espansione illimitata,
è l'accumulazione della paccottiglia, un televisore in ogni stanza, un computer
in ogni stanza ed è questo che bisogna distruggere. E su questo immaginario che
si fonda il sistema. La libertà è molto difficile. Perchè è facilissimo
lasciarsi andare.
L'uomo è un animale
pigro. C'è una frase meravigliosa di Tucidide: «Bisogna scegliere: Riposarsi o
essere liberi». E Pericle dice agli ateniesi: «Se volete essere liberi, dovete
lavorare». Non potete riposarvi. Non potete sedervi davanti alla tv. Non siete
liberi quando state davanti la tv!
Credete di essere liberi
facendo zapping come imbecilli, ma non lo siete. E' una falsa libertà. La
libertà è attività grave. Ma è anche un'attività che al tempo stesso si
autolimita, nel senso che sa di poter fare tutto ma di non dover far tutto. E'
questo il grande problema della democrazia e dell'individualismo.
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