di Mattia Nesti su il Becco
Pochi passi separano, nel pieno centro di Roma, il Teatro Capranica da Montecitorio.
Pochi passi dal luogo scelto per l’assemblea di lancio della propria candidatura, al ritorno dal Guatemala, che adesso l’ormai ex pm Antonio Ingroia dovrà percorrere, attraverso le elezioni del prossimo 24-25 febbraio, per concretizzare l’intento di portare in Parlamento una rappresentanza credibile delle istanze delle battaglie politiche per i diritti del lavoro e contro le cricche e le mafie, oggi assenti dal “palazzo” e impossibilitate a riconoscersi anche in una coalizione di centrosinistra dal profilo programmatico ancora assai incerto.
La decisione di Ingroia di sciogliere le riserve e impegnarsi in prima persona nell’impresa politica della “Rivoluzione Civile”, esplicitata in occasione della conferenza stampa dello scorso 29 dicembre, rappresenta in questo senso l’occasione di far percorrere un tratto di strada insieme a esperienze politiche (di partito e di movimento) e a istanze programmatiche che, fino ad oggi, si sono volute distinte e spesso incapaci di legarsi reciprocamente.
Il giorno della presentazione del simbolo della lista che raccoglierà esponenti di primo piano dell’associazionismo, il Movimento Arancione di De Magistris, Federazione della Sinistra (PRC e Pdci), Italia dei Valori e Verdi, dai social network si sono levate critiche – anche dai toni particolarmente accesi – rispetto alla scelta di inserire nel segno grafico, per altro in assoluto primo piano, il nome dello stesso Ingroia. E’ evidente, come si è detto in questi giorni anche in autorevoli articoli di giornali della sinistra, che nella personalizzazione dei partiti, nella mediatizzazione estrema e nella logica “dell’uomo solo al comando”, che ha caratterizzato il nostro Paese dal Berlusconi del 1994 al Renzi del 2012, si palesa il tumore che mette, ancora, a rischio la tenuta stessa della democrazia italiana.
Eppure, è bene ricordarlo, la discesa in campo del pm antimafia non esplicita l’intenzione di anteporre un volto ai programmi o di sostituire il singolo personaggio all’impresa politica collettiva; quella di Ingroia, viceversa, si potrebbe definire una candidatura “di servizio”. Solo Ingroia, con questo gesto di coraggio e certo non interessato (anzi), poteva infatti rappresentare il salto in avanti necessario a far riuscire la mediazione fra partiti e realtà assai eterogenee e profondamente diverse fra loro per cultura politica ma, come testimoniato dai fatti degli ultimi mesi, accomunate dall’essersi opposte senza tentennamenti alle politiche del governo Monti e dall’aver sostenuto la battaglia per la verità sulle stragi del ’92-’93 e sulla trattativa Stato-mafia. Prospettare un’uscita dalla crisi pensata a partire dalla ricerca, dall’innovazione, dagli investimenti pubblici, da politica espansive e non di taglio di diritti e salari; far luce sulle pagine buie della storia della Repubblica che hanno avvolto, da Piazza Fontana a Via dei Georgofili, i passaggi decisivi dell’evoluzione (e involuzione) della nostra democrazia.
Questione sociale e questione democratica; questi sono, quindi, i punti essenziali da cui partire per poter ricostruire il Paese dalle macerie del ventennio berlusconiano. Certo, tanto c’è ancora da fare e il tempo a disposizione è assai poco. Ingroia ha dimostrato, però, di saper far tesoro del contributo positivo che ogni soggetto della “Rivoluzione Civile” può esprimere. Gli stessi limiti, evidenti fin dall’inizio, dei dieci punti dell’appello che aveva lanciato l’assemblea del 21 dicembre “Io ci sto”, sono stati superati in positivo: grazie a proposte di modifica avanzate da più parti, nei successivi interventi programmatici ha assunto centralità il tema dell’opposizione alla costruzione europea neoliberista (rifiuto del Fiscal Compact e dell’austerità che aggrava la recessione) e si è rafforzato l’accento sull’urgenza di investimenti strutturali per la scuola, l’università e la ricerca pubblica (eliminando, per altro, un fraintendibile riferimento al “merito”, utilizzato negli ultimi anni in modo propagandistico per giustificare i tagli strutturali al sistema scolastico).
Ancora, il riferimento alla centralità dell’articolo 1 della Costituzione (la Repubblica “fondata sul lavoro”) e ai referendum per il ripristino dell’articolo 18 e del valore della contrattazione nazionale, il sostegno politico alle vertenze della FIOM, la proposta di una legge sulla rappresentanza, qualificano “Rivoluzione Civile” come unica coalizione elettorale capace di dare risposte ai problemi del mondo del lavoro. Perché non basta la legalità e serve la sinistra; e perché, al tempo stesso, sarebbe stata esiziale la scelta di una parte del mondo della sinistra di imboccare la strada del purismo a tutti i costi – che avrebbe portato ad un suicida splendido isolamento – e che, invece, in particolare nell’esperienza di “Cambiare si può”, il voto di migliaia di iscritti ha saputo intelligentemente evitare.
Può nascere allora in questi giorni un processo politico, un cartello elettorale (da non confondersi con un nuovo partito), dove soggetti diversi accettano – tutti – di fare un passo indietro, con reciproco rispetto, per farne due avanti insieme. La sinistra in questo processo può e deve stare, perché nella prossima legislatura – in Italia come nel resto d’Europa – sarà fondamentale la presenza in Parlamento di chi può dire con chiarezza e senza ipocrisie che “la mafia è una montagna di merda” e che la crisi deve pagarla chi l’ha causata. Certo, trascorso l’appuntamento elettorale – il cui risultato avrà un’importanza storica per la possibilità di riaprire o meno lo spazio per una sinistra che abbia l’orizzonte di “abolire” e non di gestire lo “stato di cose presente” – rimane irrisolto, e non poteva essere altrimenti in questo scenario e con queste tempistiche, il nodo della costruzione di un soggetto politico unitario della sinistra, capace di pensare sul medio e lungo periodo e di costruirsi come forza di massa nel mondo del lavoro.
Per quanto “Rivoluzione Civile” sia quanto di più simile a questo, non si vedrà in queste elezioni, per capirsi, quello che il segretario generale della FIOM Maurizio Landini chiamò a fine della scorsa estate con una efficace provocazione un “partito del lavoro”; i partiti della sinistra e del centrosinistra non sono riusciti, e qui sta il loro limite più drammatico, a dare una risposta positiva e credibile ai temi posti dai metalmeccanici in occasione dell’assemblea del 9 giugno scorso quando la FIOM chiamò a raccolta a Roma PD, SEL, IDV, PRC e Pdci. Inoltre vi è un partito – Sinistra Ecologia Libertà – che in questi anni si è posto in netta opposizione al berlusconismo prima e al montismo poi, che può riconoscersi a pieno nelle battaglia per il lavoro e contro la mafia e che, tuttavia, – a differenza della Federazione della Sinistra – non farà parte a questa tornata elettorale del cartello per la “Rivoluzione Civile”. Di più: anche rilevanti parti del Partito Democratico, nella base dei votanti e degli iscritti e finanche nei gruppi dirigenti, senza l’abbraccio mortale di Monti e dei “moderati”, potrebbero e dovrebbero dare un contributo positivo per imprimere un cambio di rotta radicale alle politiche economiche, del lavoro, dei diritti civili dell’Italia. Vi è, insomma, la necessità di non dimenticare che, negli ultimi vent’anni, i momenti di cristallizzazione delle divergenze fra le “due sinistre” hanno prodotto per il Paese, per i lavoratori, le fasi politiche più negative. “Rivoluzione Civile” risponde alla necessità immediata – “viviamo una fase di emergenza” ha detto Ingroia nel suo ultimo intervento – di costruire un punto di riferimento alle elezioni prima e in Parlamento poi per tutti coloro che non accettano di dover scegliere fra tre coalizioni che, tutte, hanno sostenuto il massacro sociale di Monti e il populismo sovversivo di Grillo; per questa ragione è essenziale che tutte le parti migliori del Paese, a partire dal riconoscersi nei dimenticati valori della nostra Costituzione, convergano e lavorino per la riuscita di questo progetto. A noi, ai comunisti e ai partiti della sinistra, il compito di far sì che la riuscita dell’impresa di Ingroia rappresenti solo un primo passo per il riaffermarsi delle ragioni del Lavoro, per la costruzione di un’impresa politica collettiva di lungo respiro, di uno spazio unitario, con un profilo e una cultura politica di sinistra e progressista in Italia e in Europa, capace di incarnare l’alternativa alla barbarie della crisi e di essere autonomo nell’elaborazione teorica e nell’azione dalle socialdemocrazie pur sapendo interloquire con esse. Compito arduo ma, si sarebbe detto un tempo, dobbiamo essere convinti che “la storia è dalla nostra parte”.
Immagine tratta da lapresse.it
Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...
(di classe) :-))
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Francobolllo
Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.
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Europa, SVEGLIA !!
sabato 5 gennaio 2013
La sinistra mancata tra antimafia e lavoro
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