- eastjournal -
Dogmatico e punitivo. Questo è l’atteggiamento dell’Europa nei confronti di Cipro. E non solo di Cipro, se andiamo a vedere la situazione a Lisbona, Dublino e Atene. Questa Europa indigna per l’arrogante miopia con cui agisce. Chi scrive è un europesista convinto, entusiasta direi. E da europeista dico che questo mostro nulla ha a che vedere con il sogno dell’unità europea e dei suoi ideali fondativi. La crisi in corso ormai non è più dell’euro, ma nell’euro. La guida tedesca, che impone misure economiche, di fatto spadroneggiando in Europa, senza però prendersi la responsabilità di una direzione in senso federale dell’Unione, diventa ogni giorno più lesiva non solo degli interessi dei Paesi della “periferia” ma anche del concetto stesso di democrazia. Le decisioni degli organismi europei (in collaborazione con Fmi e Bce) vengono prese sopra le teste dei cittadini, delegittimando la democrazia rappresentativa. Questa Europa non mi piace, non la voglio, e non è una necessità. Soprattutto può non essere una necessità la moneta unica. E non è affatto detto che senza l’euro fallirebbe l’Unione Europea, potrebbe anzi essere vero il contrario. Occorre smetterla con i tabù: si può e si deve ragionare sul futuro dell’Europa anche senza l’euro, se questo diventa strumento di coercizione. E il caso cipriota è un esempio.
L’imposizione europea
Sentite qua: il 15 marzo scorso, a borse chiuse, i ministri delle finanze dei paesi membri della zona euro hanno deciso, dopo una riunione con i rappresentanti del Fondo Monetario Internazionale e della Bce, di concedere un prestito di 10 miliardi di euro al governo di Cipro per salvare il Paese dalla bancarotta. All’inizio dovevano essere 17 miliardi ma poi si è riveduta la stima al ribasso, e si è chiesto a Nicosia di mettere la differenza. Come? Con un prelievo forzoso dai conti correnti e depositi bancari. Ed è bene ricordare che l’intero Pil annuo dell’isola corrisponde proprio a 17 miliardi. La decisione è stata presa malgrado l’opposizione cipriota in seno all’Eurogruppo (ma cosa conta Cipro, un due di picche) e sostanzialmente imposta al presidente Nicos Anastasiades che aveva dichiarato che “nessuna decisione di prelievo forzoso sarebbe stata accettata” e le sue recenti dichiarazioni sull’ineluttabilità dell’accordo (definito di “solidarietà”) con la trojka fanno pensare al ricatto. Oggi alle 17 il Parlamento cipriota deciderà se approvare il piano concordato dal presidente, è l’ultima occasione per rispedire al mittente l’imposizione europea.
Il prelievo forzoso, assurdità tedesche
La solfa la sappiamo: la trojka caccia i soldi se fai come dice lei. E quindi via con le ristrutturazioni finanziarie, gli aggiustamenti economici, e compagnia bella. Tutte cose necessarie, per carità, che però si traducono in tagli e austerità: il caso greco è maestro. Per Cipro si è andati oltre, richiedendo un prelievo forzoso su conti e depositi con percentuali folli: il 6.7% per conti e depositi sotto i centomila euro e del 9.9% per quelli sopra i centomila. Secondo quanto dichiarato da Emma Bonino, già commissario europeo, all’Eurogruppo la Germania aveva chiesto che il prelievo fosse del 40%. Mi si dice: anche in Italia, nel 1992, si applicò un prelievo forzoso. Vero, ma era del 6 per mille. E per evitare una fuga di capitali all’estero si è deciso di chiudere le banche fino a giovedì. Oggi poi il lungimirante Eurogruppo si è ricordato di una legge europea che tutela i depositi sotto i centomila euro e cerca di mettere una pezza. Che pena. Intanto il ministro delle Finanze cipriota, Michailis Sarris, è volato a Mosca.
Ma che colpa abbiamo noi?
La pillola da mandar giù è amara, anche perché Cipro è in questa situazione non per sua colpa. Non del tutto, almeno. Il paese ha sofferto in particolare la crisi Greca, verso cui le tre principali banche del paese erano molto esposte – avevano, cioè, prestato molto denaro a banche e società greche o allo stesso governo greco comprando titoli di stato. Quando il debito greco è stato ristrutturato (chi aveva comprato titoli di stato da 100 euro, ad esempio, se li vedeva ridotti a 50), il debito privato di banche e cittadini ciprioti è aumentato vertiginosamente in poche settimane.
Colpire il russo, e pazienza al cipriota
Mi si dice che Cipro è una piazza off-shore generosa, crocevia di transazioni opache per capitali russi (Moody’s li valuta in 31 miliardi), con un settore finanziario che vale sette volte quello economico. A venire tagliati saranno principalmente proprio quei capitali, è vero, ma sull’altare della “caccia al russo” si è sacrificato il risparmiatore cipriota. Mi si dice ancora che “Cipro è un caso eccezionale” proprio a causa di quei soldi russi su cui si vorrebbe mettere le mani (ma l’oste, a Mosca, deve ancora tirar su i conti), molto marginale nell’economia dell’Eurozona, visto che vale solo lo 0,2% del suo Pil. Certo, anche la Grecia era marginale e valeva solo il 3% ma questo non le ha impedito di diventare la miccia di un incendio che ancora non si è spento. E prima di lei erano “speciali” l’Irlanda e il Portogallo.
Conseguenze per l’Italia?
Scrive Adriana Cerretelli sul Sole24 ore: “Come il doppio salvataggio di Atene aprì una voragine nel rapporto di fiducia tra Europa e investitori, tra la moneta unica e la sua tenuta futura scatenando nell’area un contagio che solo a fine luglio scorso la Bce di Mario Draghi è riuscito a fermare, così oggi la vicenda cipriota rischia di riaprire quel pericoloso copione. Con conseguenze per certi aspetti potenzialmente ancora più devastanti. Soprattutto nei Paesi più vulnerabili dell’euro-sud. Italia compresa. La reazione immediata e tutta negativa delle Borse, in Europa, come negli Stati Uniti e in Asia, il rialzo degli spread, il ribasso dell’euro sono del resto tutti segnali molto eloquenti”.
Banche e cittadini, due pesi e due misure
Ma l’Unione Europea preferisce salvare le banche. E lo dico senza demagogia. Tra il settembre 2008 e il dicembre 2010 nel tentativo di stabilizzare un settore investito dalla bufera finanziaria, i 27 dell’Unione hanno mobilitato ben 4.285 miliardi di euro a sostegno degli istituti di credito, cioè il 36% del Pil dell’Unione e il 10% del totale degli attivi bancari. Con Germania e Gran Bretagna con una quota ciascuno superiore ai 500 miliardi. Se a questi aggiungiamo i 1018 miliardi elargiti dalla Bce fra dicembre 2011 e febbraio 2012 abbiamo una somma equivalente al 45% del Pil europeo, messa a disposizione delle banche a favorevolissime condizioni e senza alcuna contropartita. L’Eurogruppo, per salvare le banche spagnole, diede a Madrid 40 miliardi. Alla Grecia invece, per un prestito di 110 miliardi, sono state chieste pesanti condizioni che hanno portato il Paese a livelli da terzo mondo. Analoga durezza è stata esercitata sull’Irlanda, per un prestito di 85 miliardi, e per i 78 miliardi dati al Portogallo. Oggi a Cipro, per dieci miliardi, si fa il muso duro. Il messaggio è chiaro: il salvataggio di Cipro ha dimostrato che le nazioni creditrici insisteranno da ora in poi che qualsiasi salvataggio delle banche venga co-finanziato dai depositanti. L’Italia è avvertita.
Conclusioni
Ecco perché, da europeista, credo che questa Europa non meriti alcuna fiducia: occorre riformarla e rifondarla in senso federale, restituendo al progetto unitario forza e vigore. Poiché l’Europa unita (che non è per forza l’Unione Europea) è l’unica speranza che il continente ha per competere contro giganti come Stati Uniti, Cina e Russia, senza diventarne preda. Ma questa Europa non ha nessuna credibilità. A Cipro è andata in scena la bancarotta degli ideali di solidarietà, sviluppo e democrazia europei. A Cipro il nazionalismo economico (tedesco, ma non solo) ha distrutto qualsiasi credibilità al progetto europeo. Il fallimento dell’Unione Europea è un fallimento morale, ma quello finanziario rischia di essere alle porte. E la risposta delle popolazioni europee è rabbia e frustrazione. Non ci si stupisca poi se alle elezioni vincono populisti, nazionalisti, e camicie brune.
Nessun commento:
Posta un commento