di Dante Barontini
Mario Draghi dice quel che nessuno vuol sentire: "non contanto i risultati elettorali, né in Italia né altrove; abbiamo creato un pilota automatico per imporre il consolidamento di bilancio". Chiunque vinca.Quando la verità è agghiacciante, c'è sempre un tecnico che ha l'obbligo di dirla. Un po' come la “lettera scomparsa”, che sta davanti agli occhi di tutti. La questione del vero “programma di governo” che da Palazzo Chigi o altrove sarà calato su questo paese è stata “rivelata” ancora una volta da Mario Draghi, presidente della Bce, quella banca centrale politicamente irresponsabile (in senso tecnico, perché non ha nessun governo o parlamento continentali in grado di “condizionarla”) che ordina “riforme strutturali” ai singoli governi nazionali dimentica di avere – unica al mondo – uno statuto illogico che la obbliga a tener conto solo del tasso d'inflazione. La quale, perciò, non possiede strumenti ordinari di intervento sui mercati oltre il banale e ormai spuntato gioco sui tassi di interesse. E che, inoltre, quando ha reso iniziative “non convenzionali” (ovvero non previste dallo statuto) è stata duramente bacchettata dalla vera banca centrale europea: Bundesbank.
La lunga premessa serve solo a ricordare l'assetto squilibrato del pulpito da cui Mario Draghi ha parlato negli ultimi giorni per mostrare la “grande tranquillità” sua e dei mercati (spesso anche lui sembra confondere i due ambiti) davanti ai risultati imprevisti delle elezioni italiane.
In sintesi: «questa è la democrazia», specie in un sistema monetario con 17 paesi (18 da luglio, entra la Croazia) all'interno dei quali si vota più volte nell'arco di quattro o cinque anni. Ma la democrazia, per l'appunto, è quel regime politico in cui le elezioni determinano cambiamenti nelle figure di governo, mutamenti orientati da valori anche ideali o ideologici, e quindi mutamenti anche notevoli nell'ordine delle priorità. Potenzialmente un caos, insomma, tra popoli differenti, sistemi industriali disomogenei, culture e sistemi legislativi e fiscali anche molto diversi.
Come fa, dunque, Draghi a rimanere calmo e a presentare “i mercati” sulla sua stessa lunghezza d'onda?
Possiamo quasi specchiarci nelle sue parole di ieri, che noi andiamo ripetendo – fortunatamente sempre più ascoltati – almeno dal momento dell'insediamento del governo Monti: le elezioni non determinano più alcun cambiamento al livello del “programma di governo”. Il pilastro fondamentale della “politica” - le scelte sulla produzione e redistribuzione della ricchezza prodotta o accumulato all'interno di un determinato territorio – è stato da tempo affidato ad organismi sovranazionali, guidati da “comitati tecnici” che nessuno ha eletto (la famosa Troika composta da Unione Europea, Fondo monetario Internazionale e la stessa Bce). Berlusconi, Monti, Bersani o Grillo – dall'alto della vetta di sovradeterminazione che Draghi abita – sono assolutamente intercambiabili, con le dovute differenze di stile e presentabilità a tavola, perché dovranno fare esattamente le stesse cose. Il margine di scostamento è minimo, o ogni allontamento dalla massima efficienza prescritta sarà fatto pagare in termini di spread o di “procedure d'infrazione”. Ma nell'insieme il programma è tracciato.
Esageriamo? Beh, vediamo cosa ha detto Draghi ai disorientati giornalisti che cercavano di condividere con lui la propria confusione: «Dovete considerare che gran parte delle misure italiane di consolidamento dei conti continueranno a procedere con il pilota automatico».
Più indifferente di così è difficile. I diciassette paesi dell'eurozona possono scegliersi governi di qualsiasi colore, tanto c'è un “pilota automatico” che continuerà a indirizzare la nave lungo una certa rotta a prescindere – in grande parte – da quel che accade nelle stive. Per chi, come la sinistra italiana, ha sempre fatto della “governabilità” l'architrave intangibile delle proprie strategie, queste parole dovrebbero suonare come una campana a morto. E l'elettorato italico se n'è accorto prima di loro: che cazzo ti mando a fare a Montecitorio se tanto, una volta lì dentro, non potrai fare nulla? Tanto vale che ci mando un comico teleguidato e una masnada di “new entry”...
Ma, si sa, l'elettore italiaco non brilla per lungimiranza. Ridurre “la politica” a un gioco che chiunque può giocare, perché tanto è inutile giocarlo, è l'esatto opposto di quello che andrebbe fatto. Perché questo “annullamento politico” è una delle condizioni necessarie affinché il “pilota automatico” possa continuare a funzionare senza grandi scrolloni. In assenza di progetti politici che ne disturbino consapevolmente la funzionalità e la direzione, “la nave va” dove è stata programmata per andare. E la democrazia non c'entra nulla. Semplicemente non è previsto che possa interferire con le decisioni prese, ma non viene per ora considerato necessario cancellarne le forme rituali (elezioni, parlamenti, governi, ecc) perché questo – sì – aprirebbe problemi seri di “governabilità” a bordo della nave. Finché si può mantenere l'illusione di “poter scegliere” il proprio destino nazionale, dandosi un “governo” in base a consultazioni regolari, la ciurma ha una valvola di sfogo anche se le condizioni di vita e lavoro peggiorano drammaticamente. Al limite si cambia governo sperando che... E si procrastina la soluzione nel tempo.
È chiaro infatti che i “piloti automatici” hanno difetti grandiosi quanto le loro complicate architetture. Uno scoglio non segnato sulle mappe, un'isola ferdinandea che si alza all'improvviso (metafora non banale di moti popolari di portata proporzionale al problema), possono fa affondare il più vanesio dei Titanic. Ma fin qui tutto bene... direbbe Kassovitz.
Ma la casa brucia, come giustamente nota Barbara Spinelli: “Consideriamo la disperazione cui è giunta Atene: l’indecenza di una cura mortifera, gli ospedali impossibilitati a comprare medicine, l’ascesa d’un partito nazista, l’indifferenza dei mercati a questo sfascio. L’impoverimento deprime, senza redimere: è peggio di una recessione. Non per molto tempo Grillo riuscirà a incanalare le paure. A dare una mano per mettere uomini, al posto del caporalesco Pilota Automatico”.
Sul lato opposto c'è il sempre cinico, sconfitto ma non rassegnato, Mario Monti: “Non bisogna sorprenderci che anche l’Europa abbia bisogno di crisi, e di gravi crisi, per fare passi avanti. I passi avanti dell’Europa sono per definizione cessioni di parti delle sovranità nazionali a un livello comunitario”.
Qui l'idea è chiara quanto quella di Draghi, anzi è una sua articolazione: bisogna sfruttare fino in fondo questa crisi, anzi dobbiamo acuirla con la nostra “austerità”, perché solo in questo modo possiamo in tempi rapidi rovesciare come un guanto i resti del “modello sociale europeo” e portare la forza lavoro ai livelli reddituali, diretti e indiretti, dei paesi "emergenti". In quell'orgia di povertà, dove i “vecchi” muoiono prima – per eccesso di età pensionabile o riduzione delle prestazioni del welfare, e i giovani accettano qualsiasi elemosina pur di mettere in tasca qualcosa - viene intravista la possibilità di far ripartire la macchina del profitto d'impresa. Non “la crescita” né tantomeno “lo sviluppo”, si badi bene, solo l'accumulazione.
E quindi Draghi non può essere neppure turbato dalla persistente debolezza economica nell'Eurozona, che non sembra aver mai fine. Suadente rinvia ancora il punto “di ripresa” (ci sarà "più avanti", nel 2013), ma non lo considera un problema. Solo un fatto. In fondo l'inflazione europea è rimasta sotto il 2%, l'obiettivo della banca centrale è raggiunto, va bene così... La politica monetaria della Bce resterà perciò "accomodante" di fronte a uno scenario di inflazione contenuta, ha spiegato Draghi. E il “consolidamento fiscale” (il rigore di bilancio, insomma) “deve essere parte di un pacchetto di misure strutturali che rilancino la crescita”.
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