Decrescita felice e Chiesa
povera
Un perfetto
ossimoro
- connessioni -
Frutto marcio del binomio
Latouche-Francesco I
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Il tempo passa,
ma l’orizzonte economico è sempre cupo. Peggio. Le tensioni sociali
crescono e in molte aree del mondo sono sfociate in guerre, più o meno civili.
Non è uno scenario rassicurante. Soprattutto perché dimostra che il modo di
produzione capitalista non funziona così bene come ci dicevano pochi anni fa.
Inevitabilmente, sorgono proposte alternative, che prospettano un diverso modo
di produzione. E ce ne per tutti i gusti. Le varie proposte, pur riflettendo
situazioni assai differenti, e spesso contrastanti, cercano di conciliarsi tra
loro, proponendo soluzioni compatibili con il sistema complessivo, ovvero con il
modo di produzione capitalistico. Pur criticandolo aspramente. O meglio
criticandone aspramente le presunte distorsioni, che invece sono consustanziali
al sistema.
Sperequazione
dilagante
Orbene, già da alcuni anni si
assiste a una polarizzazione della ricchezza, da cui la crescente sperequazione
sociale (il cosiddetto Coefficiente di Gini), che la crisi ha stimolato. Per
inciso, questa tendenza non fa altro che confermare la tesi marxista sulla
miseria crescente. Più volte contestata dagli apologeti del capitalismo, sempre
confermata dai fatti. A questo proposito si veda: Antonio Pagliarone, La
polarizzazione delle società industriali avanzate ovvero la de-integrazione (www.countdowninfo.net/); Aa. Vv., La legge della
miseria crescente, «N+1», n. 20, dicembre 2006
(www.quinterna.org/pubblicazioni/rivista/20/rivista_20_completa.p/).
Non ci vuole un particolare
acume sociologico, per capire che gli effetti della sperequazione hanno
conseguenze differenti in un Paese di vecchia industrializzazione (area Ocse)
come l’Italia rispetto a un Paese cosiddetto in via di sviluppo come il Perù. Le
differenze comportano anche una differente percezione della povertà:
nell’immaginario collettivo italiano la povertà è rimossa; in quello peruviano è
incombente.
A questo proposito, faccio un
paragone tra le condizioni economiche dei due Paesi, considerando: Pil pro
capite, Coefficiente di Gini, Tasso di disoccupazione, Popolazione sotto il
livello di povertà. Resta esclusa la cosiddetta «qualità della vita», su cui ci
sarebbe troppo da disquisire, ma da tener comunque presente.
Ho scelto il Perù come termine
di confronto poiché è un Paese in via di sviluppo dell’America Latina,
continente che, a differenza di Africa e Asia, non è sconvolto da traumi bellici
(guerrilla a parte). Inoltre, il Perù, a differenza di altri Paesi latini, non è
stato soggetto a particolari «turbative» di carattere economico e politico, come
il Venezuela di Chavez o il Brasile di Lula. Ovvero, il Perù riflette nel bene e
nel male una situazione simile a quella di altri Paesi del Terzo Mondo. Infine è
un Paese cattolico.
- Salvo diversa indicazione,
per omogeneità riferisco i dati della Cia
(www.cia.gov/library/publications/the-world-factbook).
Italia: Pil pro capite
(purchasing power parity) 30.100 $ (2012), posizione a livello mondiale: 45 (su
228 Paesi).
Coefficiente di Gini 31,9 nel
2011 (27,3, 1995), posizione a livello mondiale 106.
Tasso di disoccupazione: medio
alto (10,90%), posizione a livello mondiale 117.
Popolazione sotto il livello di
povertà (dati Istat e Caritas):14% (2012).
Perù: Pil pro capite
(purchasing power parity) 10.700 $ (2012), posizione a livello mondiale:
109.
Coefficiente di Gini 46 nel
2010 (51 nel 2005), posizione a livello mondiale: 34.
Tasso di disoccupazione: medio
(7,7%), posizione a livello mondiale 89.
Popolazione sotto il livello di
povertà: 31,3% (2010). L’ultimo rapporto dell’Unicef 2004) sulla situazione
dell’infanzia in Perù, indica che due terzi dei bambini tra gli 0 e i 17 anni di
età, vivono al di sotto della soglia di povertà.
In Italia, con un Pil pro
capite stagnante (o in regresso), la sperequazione è aumentata. Così come in
altri Paesi Ocse, con in testa gli Usa. Fanno eccezione Germania, Paesi
Scandinavi e pochi altri, grazie ai quali la media Ue ha registrato un leggero
miglioramento, passando dal 31,2 del 1996 al 30,7 del 2011, con una posizione a
livello mondiale 113. Tenendo presente che nei Paesi Ue il Pil pro capite da
qualche anno ha registra incrementi molto contenuti e spesso
decrementi.
In Perù, con un Pil pro capite
in leggera crescita, la sperequazione è diminuita. Il Paese, resta comunque ai
«piani alti» della sperequazione, per di più con un’alta percentuale di poveri.
Con maggiori o minori accentuazioni, questa situazione è comune ad altri Paesi
dell’America latina. Per esempio, seppur più ricchi in termini di Pil pro
capite, Cile, Argentina, Messico, Brasile presentano una sperequazione molto più
forte. Ricordiamo che i piani alti della sperequazione sono occupati sia da
Paesi africani in condizioni di miseria endemica, ma anche dal rampante
Sudafrica (al 2° posto dopo la Namibia), sia da Paesi asiatici altrettanto
rampanti (Thailandia al 12° posto, Hong Kong al 13°).
Lo scenario socio-economico complessivo presenta:
a) aree di povertà endemica
(buona parte dell’Africa); b) aree cadute nella stagnazione (Ocse); c) aree in
espansione, con un basso Pil pro capite e una forte accentuazione della
sperequazione, come in Cina, dove trionfa la sperequazione: in due anni, il
coefficiente di Gini è balzato dal 41,5 (2007) al 48 (2009), mentre il Pil pro
capite di 9.100$ resta sempre ai piani bassi, 118° posto nella classifica
mondiale, dopo Cuba e Tunisia.
Comune alle tre aree è la
crescita delle tensioni sociali, seppur con forme e modalità
differenti.
In questo scenario sociale
sempre più ingiusto, dovrebbero farsi avanti i movimenti che reclamano una più
equa distribuzione della ricchezza, come avveniva in un passato non troppo
remoto. Invece viene dato spazio ai movimenti che propongono la povertà! Come
mai?
Sorella povertà & fratel
profitto: un matrimonio di interesse
Tra i sinistri intellettuali,
grande risonanza viene data a Serge Latouche, con la sua decrescita «felice».
Poi vedremo per chi è felice…
Latouche si rivolge soprattutto
al ceto medio benestante dei Paesi Ocse che, con la crisi, vede i propri redditi
calare e, di conseguenza, vede calare anche i consumi. Sono però consumi in buon
parte voluttuari o, più sottilmente, riconvertibili. E il buon Latouche invita
il ceto medio a far di necessità virtù, come fa il dietologo con il paziente
sovrappeso, proponendo un regime alimentare più salutare.
Lo affianca Papa Bergoglio,
popstar del momento, che si rivolge ai poveri, o meglio ai proletari del Terzo
Mondo, in particolare dell’America Latina. Dove un desarrollo economico, sempre
assai balzano, accompagna o accresce la miseria di massa.
La sinfonia è diversa, la
musica è la medesima. Entrambi non mettono in discussione la sperequazione.
Nella migliore delle ipotesi entrambi chiedono la razionalizzazione delle
risorse, accompagnata da solidarietà, o meglio dalla sussidiarietà, per addolcir
la pillola.
In entrambi i casi, la musica
stona.
Bertoglio, evocando Francesco,
si fa male da solo. Non dice che il movimento francescano, dopo la morte del
Poverello d’Assisi, fu subito messo in riga dal Papato. E chi non abbassò la
testa, finì al rogo, come fra Dolcino e molti altri. Ma non basta bruciare i
ribelli, quando permangono le cause della ribellione. Motivo per cui, i
discepoli di fra Dolcino sono sempre risorgenti, come Camilo Torres, soprattutto
nei Paesi dell’America Latina, da cui Bergoglio proviene. Il nuovo papa ha il
crocifisso di ferro ma lo Ior resta la banca del Vaticano. Cambia la forma ma
resta la sostanza.
Il discorso di Latouche forse è
più pericoloso. La decrescita «felice», non mettendo in discussione il processo
di accumulazione del capitale, riguarda esclusivamente i consumi. In pratica,
Latouche non fa altro che giustificare la riduzione dei consumi, che è già in
atto, e che apparentemente coinvolge tutta la società, ma in realtà gli effetti
sono differenti e soprattutto sono del tutto iniqui: la riduzione dei consumi è
inversamente proporzionale al reddito. Per prima cosa non colpisce assolutamente
i ricchi, anzi, il lusso la fa da padrone; mentre se per il ceto medio può
comportare una parziale diminuzione del superfluo e dell’accessorio, per i
proletari significa una secca perdita dell’essenziale. Sul piano promozionale,
la decrescita «felice» – spesso sponsorizzata dai ricchi – trova eco tra i ceti
medi, soprattutto in Occidente, dove molti pasciuti moralisti proclamano
crociate anticonsumistiche e molti pasciuti «alternativi» sostengono la green
economy, con tutte le sue perversioni (Grillo docet). Ed è in questo ambientino
che, in tempi di crisi, nascono le pallide vestali dei sacrifici. Sacrifici per
che cosa? E qui casca l’asino.
La decrescita «felice», in
pratica, si traduce in una razionalizzazione delle risorse, ma a esclusivo
vantaggio del capitale. Essa, santificando la riduzione dei consumi, giustifica
la riduzione del reddito. Dopo di che, le risorse, o meglio i quattrini (tolti
da salari, pensioni, assistenza sociale) non più destinati al consumo diventano
capitali «liberi», disponibili per l’accumulazione, che oggi significa
soprattutto speculazione finanziaria. La decrescita «felice» è un gatto che si
morde la coda; oggi come oggi, fornendo risorse alla speculazione, favorisce la
sperequazione. È un rimedio peggiore del male. Uno specchietto per le allodole
sciocche della piccola borghesia. Sciocche ma pericolose, come i volonterosi
carnefici di Hitler.
Programma rivoluzionario
immediato
Nel 1952, in tempi di
ricostruzioni economiche nazionali e socialiste, il Partito comunista
internazionalista aveva messo a punto delle ipotesi di de-sviluppo, come primi
passi di un governo rivoluzionario proletario, post capitalista, ovvero frutto
di una rivoluzione in cui i proletari mandano fuori dai piedi la borghesia e
iniziano un processo di distruzione del modo di produzione capitalistico (e NON
di costruzione del socialismo, che non ha nulla da costruire). Il programma
colpisce al cuore il processo di accumulazione, attraverso il disinvestimento
dei capitali da destinare all’accumulazione, favorendo invece i consumi.
Ovviamente, a proposito di consumi, occorre combattere sia l’idiota pauperismo –
con l’estemporaneo corollario neo-luddista – sia l’altrettanto idiota edonismo
(che confonde il comunismo con il Paese del Bengodi!). Privilegiando invece una
concezione cosmica, fondata sul rapporto uomo-natura.
Riporto i punti principali del
Programma rivoluzionario immediato, da leggere con grano salis…
a) «Disinvestimento dei
capitali», ossia destinazione di una parte assai minore del prodotto a beni
strumentali e non di consumo. b) «Elevamento dei costi di produzione» per poter
dare, fino a che vi è salario mercato e moneta, più alte paghe per meno tempo di
lavoro. c) «Drastica riduzione della giornata di lavoro» almeno alla metà delle
ore attuali, assorbendo disoccupazione e attività antisociali. d) Ridotto il
volume della produzione con un piano «di sottoproduzione» che la concentri sui
campi più necessari, «controllo autoritario dei consumi» combattendo la moda
pubblicitaria di quelli inutili dannosi e voluttuari, e abolendo di forza le
attività volte alla propaganda di una psicologia reazionaria. e) Rapida «rottura
dei limiti di azienda» con trasferimento di autorità non del personale ma delle
materie di lavoro, andando verso il nuovo piano di consumo. f) «Rapida
abolizione della previdenza» a tipo mercantile per sostituirla con
l'alimentazione sociale dei non lavoratori fino ad un minimo iniziale. g)
«Arresto delle costruzioni» di case e luoghi di lavoro intorno alle grandi città
e anche alle piccole, come avvio alla distribuzione uniforme della popolazione
sulla campagna. Riduzione dell'ingorgo velocità e volume del traffico vietando
quello inutile. h) «Decisa lotta» con l'abolizione delle carriere e titoli
«contro la specializzazione» professionale e la divisione sociale del lavoro. i)
Ovvie misure immediate, più vicine a quelle politiche, per sottoporre allo Stato
comunista la scuola, la stampa, tutti i mezzi di diffusione, di informazione, e
la rete dello spettacolo e del divertimento».
[«il programma comunista», a.
II, n.1, 8-24 gennaio 1953 –
http://www.sinistra.net/lib/bas/progra/vako/vakoabefui.html/].
Dino Erba, Milano, 18 marzo
2013.
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