Si dice che Vanna Marchi, un tempo “regina delle televendite”, condannata a sette anni di prigione per avere raggirato e truffato decine di telespettatori vendendo loro numeri sicuri per il lotto, nonché talismani, amuleti, kit contro le influenze maligne e il malocchio ed ora tornata libera, abbia presentato insieme alla figlia, complice delle imprese di tanta madre, un ricorso alla Corte europea dei Diritti dell’Uomo contro il giudice Antonio Esposito (sì, proprio lui!) perché nel processo a suo carico si sarebbe macchiato di “anticipazione di giudizio”.
La fattucchiera di Castel Guelfo di Bologna, l’infaticabile venditrice di panzane televisive deve in questi giorni essersi specchiata nel Caimano e deve a buona ragione essersi chiesta se il destino crudele che tanto ha in comune con lui, non possa trovare, presso la Corte europea, risarcimento e riscatto.
La circostanza, ovviamente, muove al riso. Ma se ci pensate bene il profilo dei personaggi si sovrappone davvero. Con una differenza: che la grottesca dispensatrice di magie non era nessuno, mentre il Caudillo di Arcore, con non dissimili sortilegi, è riuscito a governare il Paese per dieci anni e lo ha tenuto in scacco per venti, senza che la partita possa ancora ritenersi chiusa. C’è poi fra i due un’altra differenza: Vanna Marchi è stata travolta da lazzi e sberleffi ed ha pagato il suo debito con la giustizia, Berlusconi trova invece ancora adepti adoranti, nonché compiacenti avversari, preoccupati di come evitargli di scontare la pena e assicurargli una nuova chance in politica. Noi speriamo che l’iniziativa di Micaela Biancofiore (una delle amazzoni di re Silvio) e quella della signora Stefania nobile (figlia di Vanna Marchi) di portare il caso davanti all’alto tribunale europeo vada a buon fine. Attenderemmo con una punta di cinico divertimento il giudizio dell’autorevole Corte. Del resto è giusto che le tragedie, una volta consumate, si abbattano in versione farsesca su coloro che se ne sono resi responsabili. Entrambi, la Vanna e il Silvio nazionali accomunati dalla medesima sorte, meriterebbero una piece teatrale dedicata allo sfruttamento della credulità popolare.
La fattucchiera di Castel Guelfo di Bologna, l’infaticabile venditrice di panzane televisive deve in questi giorni essersi specchiata nel Caimano e deve a buona ragione essersi chiesta se il destino crudele che tanto ha in comune con lui, non possa trovare, presso la Corte europea, risarcimento e riscatto.
La circostanza, ovviamente, muove al riso. Ma se ci pensate bene il profilo dei personaggi si sovrappone davvero. Con una differenza: che la grottesca dispensatrice di magie non era nessuno, mentre il Caudillo di Arcore, con non dissimili sortilegi, è riuscito a governare il Paese per dieci anni e lo ha tenuto in scacco per venti, senza che la partita possa ancora ritenersi chiusa. C’è poi fra i due un’altra differenza: Vanna Marchi è stata travolta da lazzi e sberleffi ed ha pagato il suo debito con la giustizia, Berlusconi trova invece ancora adepti adoranti, nonché compiacenti avversari, preoccupati di come evitargli di scontare la pena e assicurargli una nuova chance in politica. Noi speriamo che l’iniziativa di Micaela Biancofiore (una delle amazzoni di re Silvio) e quella della signora Stefania nobile (figlia di Vanna Marchi) di portare il caso davanti all’alto tribunale europeo vada a buon fine. Attenderemmo con una punta di cinico divertimento il giudizio dell’autorevole Corte. Del resto è giusto che le tragedie, una volta consumate, si abbattano in versione farsesca su coloro che se ne sono resi responsabili. Entrambi, la Vanna e il Silvio nazionali accomunati dalla medesima sorte, meriterebbero una piece teatrale dedicata allo sfruttamento della credulità popolare.
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