Ancora una volta Fabrizio Saccomanni non resiste al fascino irresistibile della metafora del tunnel per fare professione di ottimismo. Oggi, con i forconi in piazza, le proteste sia del mondo industriale che di quello sindacale, Saccomanni si dice persino soddisfatto della Legge di Stabilità e convinto che l’Italia stia vedendo la luce. Certo, «dipende dalla velocità del treno e dalla lunghezza del tunnel», spiega il ministro ai microfoni di Radio anch’io, ma «siamo vicini alla fine: se la locomotiva vede la luce anche i vagoni di coda alla fine la vedranno». Il ministro mente sapendo di mentire, perché non solo non è detto che se c’è qualcuno che sta uscendo dalla crisi, presto questo accadrà anche a tutti gli altri, ma ci sono tanti (e sono in aumento) che la luce non hanno mai smesso di vederla, mentre tutti gli altri sprofondavano nel buio.
La smentita più clamorosa delle parole ottimistiche del ministro dell’economia sono contenute in uno studio della Banca d’Italia, anticipato oggi da Repubblica , dal quale emerge che le diseguaglianze sono in inarrestabile aumento e dunque gli effetti della crisi non sono uguali per tutti: non è che si sono impoveriti un po’ tutti; al contrario c’è chi si è arricchito ancora di più segnando una distanza forse ormai incolmabile con chi è all’altro capo del… tunnel: i poveri sempre più poveri.
Lo studio di Bankitalia è netto e inequivocabile. L’ultima Italia egualitaria (o forse sarebbe meglio dire un po’ più egualitaria) è quella dei primi anni Ottanta, cioè quella che arriva dopo le conquiste sociali degli anni Settanta. Nel 1983, calcola lo studio (che considera le dichiarazioni dei redditi), il 10 per cento più ricco (4 milioni di italiani) disponeva del 26 per cento del reddito nazionale. Dieci anni dopo tale reddito era già salito al 30 per cento. E anche se nel frattempo la crescita economica si è fermata, il trend è proseguito: nel 2003 siamo al 33 per cento; nel 2007 al 34. Vuol dire, in parole povere e senza tema di smentite, che la ricchezza è passata dai più poveri ai più ricchi.
Come lo studio dimostra, del resto, andando a vedere cosa è accaduto per i super ricchi, cioè quello 0,1 per cento di fortunati (40mila persone) che dichiara dai 250mila euro in su (e c’è da scommettere che sia lo stesso anche per chi questi soldi non li dichiara ma li guadagna). Ebbene, sempre nel 1983, questa categoria rappresentava l’1,50 per cento del totale delle dichiarazioni, per salire a quasi il 2 nel 1993 e balzare oltre il 3 per cento nel 2007. Costoro, in sostanza, della crisi non si sono nemmeno accorti.
Ma intanto è un’intero paese ad uscire completamente stravolto e su questo ha ragione il presidente di Confindustria a dire che la crisi lascia danni come quelli di una guerra. Perché, infatti, lo studio della banca d’Italia segnala anche quanto si sia allargata la forbice tra il centro-nord e il resto del Paese: Sicilia, Calabria, Campania, Molise registrano livelli di diseguaglianza paragonabili a quelli di nazioni in via di sviluppo.
«I dati della Banca d’Italia parlano chiaro: la maggiore eguaglianza in Italia la si aveva fino agli anni ’80, quando sinistra e sindacati erano forti – ha buon gioco a sottolineare Paolo ferrero (Prc) – Man mano che la sinistra è stata sconfitta, i ricchi sono diventati sempre più ricchi, fino ad arrivare alla vergogna attuale. In questa situazione – conclude Ferrero – noi comunisti proponiamo la patrimoniale sulle grandi ricchezze e di mettere un tetto a stipendi e pensioni a 5.000 euro al mese: che dice Renzi, che esterna su tutto, su questo punto fondamentale della vita italiana?».
La smentita più clamorosa delle parole ottimistiche del ministro dell’economia sono contenute in uno studio della Banca d’Italia, anticipato oggi da Repubblica , dal quale emerge che le diseguaglianze sono in inarrestabile aumento e dunque gli effetti della crisi non sono uguali per tutti: non è che si sono impoveriti un po’ tutti; al contrario c’è chi si è arricchito ancora di più segnando una distanza forse ormai incolmabile con chi è all’altro capo del… tunnel: i poveri sempre più poveri.
Lo studio di Bankitalia è netto e inequivocabile. L’ultima Italia egualitaria (o forse sarebbe meglio dire un po’ più egualitaria) è quella dei primi anni Ottanta, cioè quella che arriva dopo le conquiste sociali degli anni Settanta. Nel 1983, calcola lo studio (che considera le dichiarazioni dei redditi), il 10 per cento più ricco (4 milioni di italiani) disponeva del 26 per cento del reddito nazionale. Dieci anni dopo tale reddito era già salito al 30 per cento. E anche se nel frattempo la crescita economica si è fermata, il trend è proseguito: nel 2003 siamo al 33 per cento; nel 2007 al 34. Vuol dire, in parole povere e senza tema di smentite, che la ricchezza è passata dai più poveri ai più ricchi.
Come lo studio dimostra, del resto, andando a vedere cosa è accaduto per i super ricchi, cioè quello 0,1 per cento di fortunati (40mila persone) che dichiara dai 250mila euro in su (e c’è da scommettere che sia lo stesso anche per chi questi soldi non li dichiara ma li guadagna). Ebbene, sempre nel 1983, questa categoria rappresentava l’1,50 per cento del totale delle dichiarazioni, per salire a quasi il 2 nel 1993 e balzare oltre il 3 per cento nel 2007. Costoro, in sostanza, della crisi non si sono nemmeno accorti.
Ma intanto è un’intero paese ad uscire completamente stravolto e su questo ha ragione il presidente di Confindustria a dire che la crisi lascia danni come quelli di una guerra. Perché, infatti, lo studio della banca d’Italia segnala anche quanto si sia allargata la forbice tra il centro-nord e il resto del Paese: Sicilia, Calabria, Campania, Molise registrano livelli di diseguaglianza paragonabili a quelli di nazioni in via di sviluppo.
«I dati della Banca d’Italia parlano chiaro: la maggiore eguaglianza in Italia la si aveva fino agli anni ’80, quando sinistra e sindacati erano forti – ha buon gioco a sottolineare Paolo ferrero (Prc) – Man mano che la sinistra è stata sconfitta, i ricchi sono diventati sempre più ricchi, fino ad arrivare alla vergogna attuale. In questa situazione – conclude Ferrero – noi comunisti proponiamo la patrimoniale sulle grandi ricchezze e di mettere un tetto a stipendi e pensioni a 5.000 euro al mese: che dice Renzi, che esterna su tutto, su questo punto fondamentale della vita italiana?».
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