Boom di presenze in poco tempo anche a Matera, dove la comunità cinese è di quasi mille persone. Ed è pari all'1 per cento della popolazione complessiva e a quasi il 30 per cento di quella straniera. Il primo insediamento risale a circa quindici anni fa in coincidenza con il boom del settore del mobile imbottito di cui Matera e' stato uno dei centri principali di sviluppo insieme alle vicine citta' della Puglia, Altamura e Santeramo in Colle. Da quel momento e' stata una crescita costante.
A Pavia, poi, i cinesi lavoravano, per ammissione degli stessi inquirenti, ''anche per griffe di alta moda nazionali e internazionali''. Gli operai, molti con bambini di pochi mesi al seguito, facevano turni lunghissimi e vivevano all'interno delle 'fabbriche' in condizioni igienico-sanitarie precarie e in presenza di centinaia di litri di solventi infiammabili dove i carabinieri hanno fatto irruzione dopo una serie di segnalazioni per rumori notturni molesti.
I titolari, due coniugi cinesi entrambi di 30 anni, regolari in Italia (lei con partita iva) si appoggiavano a due proprietari di casa pregiudicati, probabilmente dei prestanome, un uomo di 32 anni e una donna di 46.
I primi sono stati denunciati con l'ipotesi di riduzione in schiavitu' (che pero' dovra' essere suffragata da eventuali denunce degli operai), i secondi per reati edilizi: avevano infatti modificato gli immobili per renderli funzionali al lavoro all'interno del laboratorio ricreando piccoli locali per far dormire i lavoratori e i loro famigliari vicino alle postazioni dove si svolgeva l'attivita' artigianale. All'interno, gli operai e le loro famiglie, compresi alcuni bambini, dormivano tra taniche di liquidi altamente infiammabili molti dei quali aperti, tra esalazioni dannose per la salute.
Anche i carabinieri della Stazione di Parabiago (Milano) dopo una serie di servizi di osservazione nei pressi di un magazzino sospetto a Canegrate, hanno trovato 10 cittadini cinesi, clandestini, al lavoro alle loro postazioni dotate di macchine da cucire per la produzione di tessuti. Nel laboratorio erano state ricavate camere da letto, dove i lavoratori riposavano una volta terminato il turno. Il magazzino era riscaldato con una stufa a pellet che non rispetta le norme di sicurezza, e presentava un'area adibita a camera da letto e una zona dove gli operai cucinavano su un boiler a fiamma viva. I tre titolari, cinesi 50enni, sono stati denunciati per sfruttamento e favoreggiamento di immigrazione clandestina e violazione della tutela della salute e della sicurezza dei luoghi di lavoro.
Ancora decine di bombole di gas gpl tenute in condizioni di sicurezza molto precarie, standard di igiene e condizioni abitative del tutto fatiscenti al centro di un altro blitz della polizia, insieme a vigili del fuoco, Ausl e direzione provinciale del lavoro, che ha sequestrato un opificio-dormitorio cinese in via Sardegna, nella zona della stazione ferroviaria di Reggio Emilia. "Una situazione potenzialmente esplosiva", ha spiegato il vicequestore di Reggio Emilia Cesare Capocasa. In caso di emergenza, infatti, le uscite di sicurezza erano ostruite dalle bombole di gas, che erano dislocate in vari punti dell'edificio causando, potenzialmente, inneschi a catena, in grado di far saltare per aria l'intera struttura. All'interno sono stati trovati trenta cinesi, che lavoravano e abitavano nell'opificio insieme anche ai figli. Tre sono risultati non regolarmente assunti e uno clandestino.
L'edificio, di proprieta' di una societa' reggiana, era stato affittato a un datore di lavoro cinese che lavorava soprattutto per aziende emiliane e del Veneto. L'edificio e' stato sottoposto a sequestro e sono state comminate pesanti sanzioni.
Sequestri simili sono stati effettuati anche in centro-Italia (Fabro), dove una ottantina di operai cinesi lavoravano 12 ore al giorno per non più di 800 euro, quindi poco più di due euro e mezzo l’ora. Si tratta per lo piu' di giovani, tra cui molte donne, provenienti dalla stessa regione della Cina. Reclutati quasi tutti - e' emerso dall'indagine - direttamente nel Paese di origine dal loro connazionale denunciato per sfruttamento del lavoro.
L'attivita', secondo le fiamme gialle, veniva portata avanti a Fabro da almeno quattro anni. Praticamente segregati all'interno di quel luogo di lavoro, i lavoratori dormivano su materassi sporchi e malsani, poggiati anche sui pavimenti, consumando i pasti in un refettorio comune in condizioni igieniche disastrose, disseminato di alimenti avariati o in pessimo stato di conservazione, con a fianco, decine di macchine da cucire. Al termine dell'operazione, denominata ''Fabro Fibra'', i titolari delle due aziende sono stati denunciati per dichiarazione fraudolenta mediante l'utilizzo di fatture per operazioni inesistenti e omesso versamento di ritenute previdenziali e assistenziali mentre un terzo cinese, il cui scopo era quello di reclutare manodopera in nero per le due ditte in verifica approfittando dello stato di bisogno e di necessita' dei lavoratori, e' stato denunciato per sfruttamento del lavoro.
A Pavia, poi, i cinesi lavoravano, per ammissione degli stessi inquirenti, ''anche per griffe di alta moda nazionali e internazionali''. Gli operai, molti con bambini di pochi mesi al seguito, facevano turni lunghissimi e vivevano all'interno delle 'fabbriche' in condizioni igienico-sanitarie precarie e in presenza di centinaia di litri di solventi infiammabili dove i carabinieri hanno fatto irruzione dopo una serie di segnalazioni per rumori notturni molesti.
I titolari, due coniugi cinesi entrambi di 30 anni, regolari in Italia (lei con partita iva) si appoggiavano a due proprietari di casa pregiudicati, probabilmente dei prestanome, un uomo di 32 anni e una donna di 46.
I primi sono stati denunciati con l'ipotesi di riduzione in schiavitu' (che pero' dovra' essere suffragata da eventuali denunce degli operai), i secondi per reati edilizi: avevano infatti modificato gli immobili per renderli funzionali al lavoro all'interno del laboratorio ricreando piccoli locali per far dormire i lavoratori e i loro famigliari vicino alle postazioni dove si svolgeva l'attivita' artigianale. All'interno, gli operai e le loro famiglie, compresi alcuni bambini, dormivano tra taniche di liquidi altamente infiammabili molti dei quali aperti, tra esalazioni dannose per la salute.
Anche i carabinieri della Stazione di Parabiago (Milano) dopo una serie di servizi di osservazione nei pressi di un magazzino sospetto a Canegrate, hanno trovato 10 cittadini cinesi, clandestini, al lavoro alle loro postazioni dotate di macchine da cucire per la produzione di tessuti. Nel laboratorio erano state ricavate camere da letto, dove i lavoratori riposavano una volta terminato il turno. Il magazzino era riscaldato con una stufa a pellet che non rispetta le norme di sicurezza, e presentava un'area adibita a camera da letto e una zona dove gli operai cucinavano su un boiler a fiamma viva. I tre titolari, cinesi 50enni, sono stati denunciati per sfruttamento e favoreggiamento di immigrazione clandestina e violazione della tutela della salute e della sicurezza dei luoghi di lavoro.
Ancora decine di bombole di gas gpl tenute in condizioni di sicurezza molto precarie, standard di igiene e condizioni abitative del tutto fatiscenti al centro di un altro blitz della polizia, insieme a vigili del fuoco, Ausl e direzione provinciale del lavoro, che ha sequestrato un opificio-dormitorio cinese in via Sardegna, nella zona della stazione ferroviaria di Reggio Emilia. "Una situazione potenzialmente esplosiva", ha spiegato il vicequestore di Reggio Emilia Cesare Capocasa. In caso di emergenza, infatti, le uscite di sicurezza erano ostruite dalle bombole di gas, che erano dislocate in vari punti dell'edificio causando, potenzialmente, inneschi a catena, in grado di far saltare per aria l'intera struttura. All'interno sono stati trovati trenta cinesi, che lavoravano e abitavano nell'opificio insieme anche ai figli. Tre sono risultati non regolarmente assunti e uno clandestino.
L'edificio, di proprieta' di una societa' reggiana, era stato affittato a un datore di lavoro cinese che lavorava soprattutto per aziende emiliane e del Veneto. L'edificio e' stato sottoposto a sequestro e sono state comminate pesanti sanzioni.
Sequestri simili sono stati effettuati anche in centro-Italia (Fabro), dove una ottantina di operai cinesi lavoravano 12 ore al giorno per non più di 800 euro, quindi poco più di due euro e mezzo l’ora. Si tratta per lo piu' di giovani, tra cui molte donne, provenienti dalla stessa regione della Cina. Reclutati quasi tutti - e' emerso dall'indagine - direttamente nel Paese di origine dal loro connazionale denunciato per sfruttamento del lavoro.
L'attivita', secondo le fiamme gialle, veniva portata avanti a Fabro da almeno quattro anni. Praticamente segregati all'interno di quel luogo di lavoro, i lavoratori dormivano su materassi sporchi e malsani, poggiati anche sui pavimenti, consumando i pasti in un refettorio comune in condizioni igieniche disastrose, disseminato di alimenti avariati o in pessimo stato di conservazione, con a fianco, decine di macchine da cucire. Al termine dell'operazione, denominata ''Fabro Fibra'', i titolari delle due aziende sono stati denunciati per dichiarazione fraudolenta mediante l'utilizzo di fatture per operazioni inesistenti e omesso versamento di ritenute previdenziali e assistenziali mentre un terzo cinese, il cui scopo era quello di reclutare manodopera in nero per le due ditte in verifica approfittando dello stato di bisogno e di necessita' dei lavoratori, e' stato denunciato per sfruttamento del lavoro.
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