Pubblicato il 7 mar 2014
di Teresa Pullano – il manifestoIl leader greco è l’erede dell’eurocomunismo. La sua scommessa è quella di un’Europa antiliberista. La posta in gioco è la conquista dello spazio continentale. Superando l’euroscetticismo nazionalista di una parte delle sinistre
Alexis Tsipras, candidandosi a presidente della Commissione europea, fa una scommessa: non ci sarà Europa se non sarà espressione di una sinistra antiliberista. Viceversa, non c’è futuro per un progetto di democrazia radicale al di fuori dello spazio europeo. Per dimostrare la validità di questo assunto, Tsipras deve affrontare due scogli: la difficoltà di un’azione politica su scala continentale e l’assenza di un popolo europeo. Se le forze riunite intorno a Syriza saranno capaci di ridare il potere di decidere ai cittadini, e di farlo su scala continentale, allora si potrà chiudere una fase storica cominciata nel 1989: quella del pensiero unico neoliberale.
Definire l’Europa come terreno di lotta non va da sé. Le istituzioni europee sono viste come strumenti al servizio delle élites liberiste. Lo si è visto al congresso della Linke, a metà febbraio: la prima versione del programma per le elezioni europee indicava nella Ue del dopo Maastricht la causa di una delle «maggiori crisi economiche degli ultimi 100 anni». Dopo le accuse di antieuropeismo la frase incriminata è stata rimossa. Ma la spaccatura, profonda, rimane intatta, in Germania e nel resto delle sinistre europee. In Grecia, i comunisti del Kke hanno una posizione antieuropeista. A Roma il 12 aprile si terrà una manifestazione dei movimenti contro le politiche di austerità. Alcune delle organizzazioni che vi parteciperanno, come Ross@, chiedono la «rottura dell’Unione europea», altre la fine dell’euro. Un esito affatto malvisto da un economista come Emiliano Brancaccio, che ne ha scritto sullo scorso numero di Sbilanciamo l’Europa.
La posizione di Tsipras è all’opposto. Nel suo programma si legge che la zona euro è lo spazio più appropriato per realizzare politiche redistributive e di pieno impiego. Questo perché «l’unione monetaria, come entità unitaria, ha maggiore libertà nelle decisioni politiche rispetto ai singoli stati membri presi separatamente». È il primo punto chiave: lo scontro a sinistra è sul livello geografico, economico e politico, sul quale porsi. Tsipras si troverà di fronte a una duplice sfida: riuscire a unire i lavoratori, frammentati a livello nazionale, e identificare i contorni dello spazio europeo, che è composito e ben diverso dall’omogeneità sia della nazione che dell’orizzonte globale dell’internazionalismo classico. Non si può dar torto a chi sostiene, come gli autori del libro En finir avec l’Europe (La Fabrique edizioni, Parigi, 2013), a cura di Cedric Durand, che i lavoratori non sono organizzati a livello europeo: mentre le classi dominanti sono potenti e coordinate su scala continentale e internazionale, i movimenti sociali e le organizzazioni della sinistra sono ancorati ai ritmi e agli spazi nazionali. Per Durand e i suoi co-autori i lavoratori non influenzano il processo di integrazione e non dispongono dei mezzi per farlo. Il livello nazionale è dunque l’unico al quale tornare. Si potrebbe obiettare che c’è un errore di prospettiva: come la nazione è stata il piano delle lotte di classe per gli ultimi due secoli, e i primi ad accorgersene, e ad usarla in questo senso, furono proprio gli interessi della borghesia, allo stesso modo oggi questa funzione è svolta dallo spazio europeo. Nulla impedisce di appropriarsi di questa nuova forma dello stato e di trasformarla, com’è accaduto per le nazioni. Nello stesso tempo, Tsipras deve riuscire a coordinare le lotte dei lavoratori in Europa. Deve costruire luoghi d’incontro e strumenti di lotta che cambino le politiche europee di circolazione dei lavoratori e dei servizi.
La seconda sfida è come ridare potere decisionale ai cittadini in mancanza di un popolo europeo. L’Europa sarà democratica o non sarà. L’obiettivo politico per eccellenza, scrive Tsipras, è la riorganizzazione democratica dell’Unione europea, che si declina in termini di diritti sociali e politici. Per garantirli bisognerà rafforzare il budget comune, dare potere ai parlamenti nazionali di stanziare le risorse necessarie e rinforzare il ruolo del Parlamento europeo. Questo però non basta: un’Europa democratica, nella quale i cittadini riconquistano un potere decisionale, si potrà avere solo se le masse popolari, e le loro lotte, riescono a intervenire sulla forma che lo Stato sta prendendo su scala europea. Solo se i partiti, i movimenti, i cittadini riusciranno a fare proprio lo spazio europeo, a produrlo loro stessi, e non a subirlo o ad ignorarlo ripiegandosi sulla falsa questione dell’identità nazionale, allora si potrà avere una democrazia europea in assenza di un popolo, nel senso moderno del termine. Il popolo emergerà dalle lotte politiche, costituenti sia dello spazio che del soggetto democratico. Il filosofo greco Nicos Poulantzas, che Tsipras ha citato non a caso nel suo tour italiano e nella visita al manifesto, la chiamava «la via democratica al socialismo». Una visione che non ha nulla a che vedere con il socialismo liberale: significa che l’oggetto della lotta è la trasformazione radicale dello spazio statuale.
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