21/09/2010 Fonte Controlacrisi
di Roberta Fantozzi (Editoriale del prossimo numero della rivista "Su la Testa")
Siamo impegnati a che il 16 ottobre si realizzi un evento straordinario, in grado di segnare la storia di questo paese. Per la capacità immediata di pesare sullo scenario sociale e politico, e forse ancora di più perché quella mobilitazione e la parola d’ordine che la Fiom ha scelto “Il lavoro è un bene comune”, diventino il punto di connessione sociale, politica e simbolica, delle tante resistenze in corso, con l’obiettivo di farle diventare protagoniste di un movimento durevole.
Per questo abbiamo indicato un percorso: la costruzione di comitati unitari in ogni territorio, in cui i diversi soggetti politici, sociali, associativi e di movimento, si rimettano in relazione, verso e oltre il 16 ottobre.
Dall’Arci all’Anpi, per citare due organizzazioni che hanno manifestato chiaramente la volontà di un impegno deciso su quell’appuntamento, dalle realtà di lavoro in lotta ai comitati per l’acqua e ai movimenti per la scuola e l’università pubbliche. E’ un obiettivo ambizioso a cui vorremmo tuttavia che si lavorasse.
Credendoci. Credendo che cioè che serve è la messa in campo di una “costituente di movimento”, della costruzione durevole di nuovo spazio pubblico, di conflitto, progetto e partecipazione, in grado di superare le tante frammentazioni esistenti sul terreno sociale e politico e riaprire un nuovo ciclo di lotte. Un movimento che si ponga nuovamente sul terreno della critica alla globalizzazione neoliberista, a quasi dieci anni da Genova, e reincarni in soggetti e conflitti reali, una prospettiva di trasformazione.
La resistenza operaia di questi mesi dalla Innse a Pomigliano con il ruolo decisivo che ha avuto la Fiom, il successo straordinario del referendum sull’acqua pubblica, le lotte del mondo della scuola e dell’università, parlano, in una condizione difficilissima, di una società non pacificata.
Gli scioperi e la manifestazioni che hanno segnato tutt’Europa e che vedranno il 29 settembre la convergenza a Bruxelles delle maggiori organizzazioni sindacali, contro l’attacco a ciò che resta del modello sociale europeo, indicano che per quanto con indubbio ritardo, può aprirsi finalmente un percorso di unificazione delle lotte su scala continentale.
E’ questa la possibilità e insieme la necessità che abbiamo, di fronte a quello che è il segno di fondo delle scelte politiche che si stanno assumendo in Italia e in Europa: il tentativo di uscire dalla crisi senza rimettere in discussione il modello di sviluppo che l’ha prodotta, e dunque un salto di qualità pesantemente regressivo di quello stesso modello, che fa della distruzione dei diritti del lavoro e della democrazia, i cardini della propria idea di società.
E’ un’idea tanto illusoria quanto distruttiva. Le politiche messe in campo sul terreno economico, la dimensione di tagli che si stanno producendo su scala continentale e di cui ancora non si avvertono gli effetti, prefigurano un quadro di prolungata stagnazione, riduzione dei consumi interni e assunzione di politiche neomercantiliste in cui tutti orientano le economie verso le esportazioni, senza sapere chi dovrebbe comprare, ma con una competizione sempre più aspra sulle condizioni del lavoro e i diritti sociali.
E’ un’idea che non può che accompagnarsi alla riduzione drastica degli spazi di democrazia reale. Non a caso è in atto un doppio e regressivo processo “costituente” in Europa e in Italia. In Europa con la concentrazione delle decisioni sulle politiche economiche dei singoli stati in luoghi sottratti ad ogni controllo democratico e con la messa in campo di meccanismi semiatutomatici di taglio dei finanziamenti, che accentuano drammaticamente il carattere oligarchico dell’Unione.
In Italia con la controriforma costituzionale in corso ad opera di Marchionne, Confindustria, Berlusconi.
L’Italia che, per la fragilità della sua struttura produttiva, la lunga assenza di politiche industriali e di innovazione, ed insieme per il quadro politico e sindacale che la contraddistingue, tra espulsione della sinistra dal parlamento e sudditanza di Cisl e Uil all’esecutivo, rappresenta la punta più estrema, ma non l’eccezione, nel quadro europeo.
La costruzione dell’appuntamento del 16 ottobre deve rendere evidente quello che sta avvenendo. Deve avere la capacità di esibire il punto di fondo che è in discussione. Quello che si vuole è una società da cui sia espunta l’idea stessa della mediazione tra interessi diversi e riconosciuti come tali, una società in cui il solo potere riconosciuto, a cui tutto deve sottomettersi e conformarsi, è il comando unilaterale dell'impresa.
L'impresa come macchina da guerra, secondo la metafora preferita da Marchionne, in guerra sui mercati globali, che non accetta l'esistenza di altre regole che non siano la propria, e che dunque non tollera l'organizzazione dei lavoratori: l'esistenza della coalizione del lavoro, che esprima interessi, bisogni, punti di vista autonomi che si organizzano in forma collettiva, contrattano e determinano per questa via la propria condizione di lavoro e di vita.
Che non tollera nemmeno che le lavoratrici e i lavoratori possano far valere i propri diritti davanti alla magistratura e dunque si adopera per toglierla di mezzo, come si vuol fare con l’arbitrato e il collegato lavoro.
Che fa della riduzione del lavoro a pura merce e del ricatto come regola, la cifra per rendere tutte e tutti precari, anche coloro il cui rapporto di lavoro è a tempo indeterminato. E’ la cancellazione non dell’ articolo 41 della Costituzione, ma della Costituzione tutta. Non mancano le idee, che pure vanno affinate, per costruire una via d’uscita alternativa alla crisi. Manca l’individuazione di un percorso continuativo di mobilitazioni, articolate e generali, all’altezza dello scontro in atto, in cui la stessa necessità dello sciopero generale, stia dentro la sedimentazione di consapevolezza e conflitto, capaci di mutare i rapporti di forza sociali e politici esistenti. Manca l’accumulazione di forze, la connessione tra le resistenze in corso, che produca la massa critica in grado di renderle credibili.
L’obiettivo per noi decisivo di mandare a casa questo governo, di bonificare il paese dalla cancrena del governo Berlusconi, sta insieme con la necessità di rimettere in campo un movimento durevole per un’alternativa alla crisi della globalizzazione capitalista e alla barbarie sociale che si prospetta. Verso e oltre il 16 ottobre, è necessario e possibile riprendere a tessere la tela.
di Roberta Fantozzi (Editoriale del prossimo numero della rivista "Su la Testa")
Siamo impegnati a che il 16 ottobre si realizzi un evento straordinario, in grado di segnare la storia di questo paese. Per la capacità immediata di pesare sullo scenario sociale e politico, e forse ancora di più perché quella mobilitazione e la parola d’ordine che la Fiom ha scelto “Il lavoro è un bene comune”, diventino il punto di connessione sociale, politica e simbolica, delle tante resistenze in corso, con l’obiettivo di farle diventare protagoniste di un movimento durevole.
Per questo abbiamo indicato un percorso: la costruzione di comitati unitari in ogni territorio, in cui i diversi soggetti politici, sociali, associativi e di movimento, si rimettano in relazione, verso e oltre il 16 ottobre.
Dall’Arci all’Anpi, per citare due organizzazioni che hanno manifestato chiaramente la volontà di un impegno deciso su quell’appuntamento, dalle realtà di lavoro in lotta ai comitati per l’acqua e ai movimenti per la scuola e l’università pubbliche. E’ un obiettivo ambizioso a cui vorremmo tuttavia che si lavorasse.
Credendoci. Credendo che cioè che serve è la messa in campo di una “costituente di movimento”, della costruzione durevole di nuovo spazio pubblico, di conflitto, progetto e partecipazione, in grado di superare le tante frammentazioni esistenti sul terreno sociale e politico e riaprire un nuovo ciclo di lotte. Un movimento che si ponga nuovamente sul terreno della critica alla globalizzazione neoliberista, a quasi dieci anni da Genova, e reincarni in soggetti e conflitti reali, una prospettiva di trasformazione.
La resistenza operaia di questi mesi dalla Innse a Pomigliano con il ruolo decisivo che ha avuto la Fiom, il successo straordinario del referendum sull’acqua pubblica, le lotte del mondo della scuola e dell’università, parlano, in una condizione difficilissima, di una società non pacificata.
Gli scioperi e la manifestazioni che hanno segnato tutt’Europa e che vedranno il 29 settembre la convergenza a Bruxelles delle maggiori organizzazioni sindacali, contro l’attacco a ciò che resta del modello sociale europeo, indicano che per quanto con indubbio ritardo, può aprirsi finalmente un percorso di unificazione delle lotte su scala continentale.
E’ questa la possibilità e insieme la necessità che abbiamo, di fronte a quello che è il segno di fondo delle scelte politiche che si stanno assumendo in Italia e in Europa: il tentativo di uscire dalla crisi senza rimettere in discussione il modello di sviluppo che l’ha prodotta, e dunque un salto di qualità pesantemente regressivo di quello stesso modello, che fa della distruzione dei diritti del lavoro e della democrazia, i cardini della propria idea di società.
E’ un’idea tanto illusoria quanto distruttiva. Le politiche messe in campo sul terreno economico, la dimensione di tagli che si stanno producendo su scala continentale e di cui ancora non si avvertono gli effetti, prefigurano un quadro di prolungata stagnazione, riduzione dei consumi interni e assunzione di politiche neomercantiliste in cui tutti orientano le economie verso le esportazioni, senza sapere chi dovrebbe comprare, ma con una competizione sempre più aspra sulle condizioni del lavoro e i diritti sociali.
E’ un’idea che non può che accompagnarsi alla riduzione drastica degli spazi di democrazia reale. Non a caso è in atto un doppio e regressivo processo “costituente” in Europa e in Italia. In Europa con la concentrazione delle decisioni sulle politiche economiche dei singoli stati in luoghi sottratti ad ogni controllo democratico e con la messa in campo di meccanismi semiatutomatici di taglio dei finanziamenti, che accentuano drammaticamente il carattere oligarchico dell’Unione.
In Italia con la controriforma costituzionale in corso ad opera di Marchionne, Confindustria, Berlusconi.
L’Italia che, per la fragilità della sua struttura produttiva, la lunga assenza di politiche industriali e di innovazione, ed insieme per il quadro politico e sindacale che la contraddistingue, tra espulsione della sinistra dal parlamento e sudditanza di Cisl e Uil all’esecutivo, rappresenta la punta più estrema, ma non l’eccezione, nel quadro europeo.
La costruzione dell’appuntamento del 16 ottobre deve rendere evidente quello che sta avvenendo. Deve avere la capacità di esibire il punto di fondo che è in discussione. Quello che si vuole è una società da cui sia espunta l’idea stessa della mediazione tra interessi diversi e riconosciuti come tali, una società in cui il solo potere riconosciuto, a cui tutto deve sottomettersi e conformarsi, è il comando unilaterale dell'impresa.
L'impresa come macchina da guerra, secondo la metafora preferita da Marchionne, in guerra sui mercati globali, che non accetta l'esistenza di altre regole che non siano la propria, e che dunque non tollera l'organizzazione dei lavoratori: l'esistenza della coalizione del lavoro, che esprima interessi, bisogni, punti di vista autonomi che si organizzano in forma collettiva, contrattano e determinano per questa via la propria condizione di lavoro e di vita.
Che non tollera nemmeno che le lavoratrici e i lavoratori possano far valere i propri diritti davanti alla magistratura e dunque si adopera per toglierla di mezzo, come si vuol fare con l’arbitrato e il collegato lavoro.
Che fa della riduzione del lavoro a pura merce e del ricatto come regola, la cifra per rendere tutte e tutti precari, anche coloro il cui rapporto di lavoro è a tempo indeterminato. E’ la cancellazione non dell’ articolo 41 della Costituzione, ma della Costituzione tutta. Non mancano le idee, che pure vanno affinate, per costruire una via d’uscita alternativa alla crisi. Manca l’individuazione di un percorso continuativo di mobilitazioni, articolate e generali, all’altezza dello scontro in atto, in cui la stessa necessità dello sciopero generale, stia dentro la sedimentazione di consapevolezza e conflitto, capaci di mutare i rapporti di forza sociali e politici esistenti. Manca l’accumulazione di forze, la connessione tra le resistenze in corso, che produca la massa critica in grado di renderle credibili.
L’obiettivo per noi decisivo di mandare a casa questo governo, di bonificare il paese dalla cancrena del governo Berlusconi, sta insieme con la necessità di rimettere in campo un movimento durevole per un’alternativa alla crisi della globalizzazione capitalista e alla barbarie sociale che si prospetta. Verso e oltre il 16 ottobre, è necessario e possibile riprendere a tessere la tela.
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