di Andrea Fabozzi sul Manifesto
Berlusconi, il lungo addio Così lo ricorderemo
Silvio Berlusconi sarà nei manuali di storia e con il suo nome si battezzerà un'epoca della politica italiana. Così ha scritto Antonio Gibelli, professore dell'Università di Genova, in un libro - Berlusconi passato alla storia - pubblicato quest'anno da Donzelli di cui sta per uscire una seconda edizione aggiornata, anche in Francia dove il soggetto interessa assai.
Professore, ci siamo davvero? È possibile che la settimana appena trascorsa sarà considerata la data della fine del berlusconismo?
Nel giudicare il declino di Berlusconi è meglio non cercare una data precisa del tracollo e ragionare nei termini della consunzione interna, della implosione. Di certo non c'è più il contesto che ha giustificato il successo di Berlusconi. Nel senso che va esaurendosi la sua funzione storica, parzialmente indipendente dalle sue motivazioni e dai suoi interessi.
Berlusconi, il lungo addio Così lo ricorderemo
Silvio Berlusconi sarà nei manuali di storia e con il suo nome si battezzerà un'epoca della politica italiana. Così ha scritto Antonio Gibelli, professore dell'Università di Genova, in un libro - Berlusconi passato alla storia - pubblicato quest'anno da Donzelli di cui sta per uscire una seconda edizione aggiornata, anche in Francia dove il soggetto interessa assai.
Professore, ci siamo davvero? È possibile che la settimana appena trascorsa sarà considerata la data della fine del berlusconismo?
Nel giudicare il declino di Berlusconi è meglio non cercare una data precisa del tracollo e ragionare nei termini della consunzione interna, della implosione. Di certo non c'è più il contesto che ha giustificato il successo di Berlusconi. Nel senso che va esaurendosi la sua funzione storica, parzialmente indipendente dalle sue motivazioni e dai suoi interessi.
Quella funzione era stata riempire un vuoto, unificare e far vincere le destre nella fase drammatica della transizione in cui era crollato il vecchio sistema. Il vuoto è stato riempito, le destre hanno vinto e ora tornano a separarsi.
La più importante linea di frattura è quella che separa la destra fin qui vincente, populista, tendenzialmente eversiva da una destra ancora in gestazione, che ha abbracciato il lealismo costituzionale, è rispettosa delle istituzioni e assume la legalità come discrimine: tutto l'opposto del berlusconismo.
Davvero tutto l'opposto? Fini per rispondere alle critiche e ai dubbi sulla famosa casa di Montecarlo ha usato il metodo prettamente berlusconiano del videomessaggio che non consente domande.
Non direi, Fini si è difeso. Ha fatto bene a non esporsi ai morsi dei mastini di Berlusconi, specialisti nei colpi bassi, nell'aggressione a tradimento. Gente che - come Feltri nel caso Boffo - usa documenti falsi per distruggere i nemici del capo. Fini sapeva che le sue parole andavano misurate col bilancino perché la sua è una lotta mortale. Può essere annientato e se lo fosse sparirebbe, almeno per il momento, l'ipotesi di una destra costituzionale capace di stare in Europa.
Quando parla di esaurimento del contesto che ha segnato l'ascesa di Berlusconi intende dire che la politica italiana piano piano è cambiata, che anche il modello leaderistico e spettacolare è in crisi?
No, quelle caratteristiche che hanno alimentato il berlusconismo ci sono ancora tutte: la personalizzazione, il ridimensionamento del ruolo dei partiti, le tendenze antipolitiche e il ruolo preponderante della televisione. Ma a mio modo di vedere il berlusconismo rappresenta l'incarnazione estrema e la patologia di queste tendenze che senza di lui possono anche permanere, ma mitigate, non eversive e compatibili con la democrazia liberale. Mentre con Berlusconi, che pretende di trattare lo stato come sua proprietà, producono un collasso della democrazia. Berlusconi è stato l'interprete estremo, più creativo e coerente dell'antipolitica. Un fattore chiave che domina ancora. Anzi, il declino del berlusconismo aumentando la confusione e in assenza di una forte alternativa potrebbe persino accentuare questa tendenza, gettando ulteriore discredito sulla politica.
In altri termini il populismo berlusconiano costringe l'opposizione sullo stesso terreno? È per questo che si affermano Grillo e Di Pietro?
Distinguerei. Di Pietro accentua i toni ma in fondo fa politica e pensa alle alleanze. Grillo invece ha un atteggiamento palingenetico: solo da un rifiuto totale della politica può nascere la salvezza e così si condanna a un ruolo di testimonianza. È la rappresentazione più tipica dell'antipolitica ma non per gli argomenti che propone, che anzi sono tutti razionali e fondati e a mio modo di vedere anche condivisibili, di lui ho una certa stima, ma per il modo apocalittico nel quale li presenta. È lo specchio di Berlusconi che è stato il grande inventore di questo nichilismo che distrugge la politica utilizzando, come ha notato molto bene Michele Prospero, gli aspetti comici. Berlusconi usa il comico per distruggere la politica, Grillo per dire cose serie.
Nei suoi interventi in parlamento Berlusconi non è stato affatto comico, se non involontariamente nel senso che si è presentato come una personalità moderata e conciliante che sta realizzando le promesse. Questo messaggio pubblicitario, palesemente falso, è forse quello veramente efficace, in definitiva più di quello farsesco e antipolitico?
A questo punto non direi proprio. Il meccanismo pubblicitario è logoro, consumato. Non funziona più per una sorta di effetto stanchezza. Il potere mediatico non è tutto, deve avere una sua forza interna altrimenti non funziona, anche se lo ripeti infinite volte da tutti i media che controlli. Si vede lontano un miglio che la «nuova storia italiana» ha perso freschezza e credibilità, non appassiona più. Il suo stesso protagonista non ha più smalto, anche dal lato corporeo su cui ha tanto investito. È appesantito, lamentoso, la sua espressione non è più accattivante ma indurita, quasi sofferente, la deambulazione è diventata goffa, forzata. Basta confrontare i rotocalchi di propaganda per immagini da lui prodotti, Una storia italiana (2001), La vera storia italiana (2006), Noi amiamo Silvio (2009). Se nelle prime immagini, pure all'interno di una cornice convenzionale abbastanza stucchevole, non mancavano elementi di leggerezza e allegria, sfondi floreali, ora dominano toni tronfi e cupi, in un crescendo di ritocchi fotografici che lo fanno apparire come una statua di cera. In questo abbiamo conferma dei limiti del restauro: l'unico modo per preservare eternamente il corpo è imbalsamarlo dopo morto (come fu tentato con Mazzini e si fece con Lenin).
È per questo che il tramonto del capo è cominciato quando si sono diffusi tutti quei dettagli imbarazzanti sulla sua vita privata, le escort, la moglie che lo lascia?
Sono convinto di sì, quelle vicende hanno avuto un peso maggiore di quanto si sia capito allora. È come se l'immagine di Berlusconi fosse stata vulnerata per eccesso. Perché diventava iperbolica la sua capacità di fare tutto, di essere sempre presente, di andare a tutte le feste con tutte le donne. In questo c'era un principio della fine, le mitologie possono esplodere per ridondanza. Il mito, come ha spiegato a proposito di Mussolini Luisa Passerini, si gonfia si gonfia e alla fine esplode. Quando è partita la vicenda di Noemi ho cominciato a pensare che Berlusconi stesse esplodendo.
Guardando a cosa ci aspetta, è possibile che l'espulsione di Fini dal circuito berlusconiano - in fondo era l'ultimo dei vecchi politici in quel giro - consegni l'eredità del cavaliere alla Lega? Può essere il leghismo xenofobo l'evoluzione del berlusconismo?
Io non vedrei la cosa come una successione temporale. Al momento mi pare che i due protagonisti della maggioranza, la Lega e il Pdl, siano concorrenti ma affratellati. Le Lega è un partito xenofobo, etnocentrico, tendenzialmente secessionista che mira a sostituire il potere padano al potere dello stato. Il Pdl è un partito legato al potere centrale, che però utilizza per i fini personali del presidente del Consiglio. Direi che vanno insieme, sono gli attori della stessa deriva eversiva.
E allora quale sarà la porta d'uscita dal berlusconismo? La stessa dalla quale siamo entrati, il ritorno dei partiti e del loro controllo sul parlamento? È per questo che in molti prevedono la fine del bipolarismo?
In termini di metodo storico non si può mai tornare indietro. Non c'è riuscita nemmeno la restaurazione dopo Napoleone. Escluderei con certezza un ritorno all'indietro, e non so dire se sia un bene o un male. Non penso che la vecchia cosiddetta partitocrazia possa risorgere dalle sue ceneri, al contrario per evitare un disfacimento totale bisognerà avere la forza di pensare il nuovo: i vecchi partiti fortemente strutturati con procedure dall'alto verso il basso non hanno più senso.
Eppure si fa tanto l'elogio della Lega come partito vecchio stile, con militanti e sezioni impiantati sul territorio.
Secondo me è un grosso equivoco. La Lega funziona per le sue parole d'ordine che interpretano e esasperano le paure collettive. Anche in nazisti avevano un partito radicato sul territorio. Non è per quello che si sono affermati ma per la loro capacità di evocare in termini simbolici le paure e le pulsioni profonde. Così fa la Lega che cresce non per la sua struttura ma per il suo linguaggio.
Conclusione: leghismo e berlusconismo continueranno a marciare uniti. E a guidarli saranno la figlia e il figlio dei fondatori, ci crede?
Nei movimenti a base carismatica accentuata è evidente che non si può pensare a una successione ordinaria e allora viene in mente una successione di tipo monarchico. Che tuttavia produce esiti grotteschi nel caso del figlio di Bossi. E esiti direi improbabili nel caso di Marina Berlusconi perché suo padre non può avere successori e non li avrà. La sua esperienza è irripetibile.
Davvero tutto l'opposto? Fini per rispondere alle critiche e ai dubbi sulla famosa casa di Montecarlo ha usato il metodo prettamente berlusconiano del videomessaggio che non consente domande.
Non direi, Fini si è difeso. Ha fatto bene a non esporsi ai morsi dei mastini di Berlusconi, specialisti nei colpi bassi, nell'aggressione a tradimento. Gente che - come Feltri nel caso Boffo - usa documenti falsi per distruggere i nemici del capo. Fini sapeva che le sue parole andavano misurate col bilancino perché la sua è una lotta mortale. Può essere annientato e se lo fosse sparirebbe, almeno per il momento, l'ipotesi di una destra costituzionale capace di stare in Europa.
Quando parla di esaurimento del contesto che ha segnato l'ascesa di Berlusconi intende dire che la politica italiana piano piano è cambiata, che anche il modello leaderistico e spettacolare è in crisi?
No, quelle caratteristiche che hanno alimentato il berlusconismo ci sono ancora tutte: la personalizzazione, il ridimensionamento del ruolo dei partiti, le tendenze antipolitiche e il ruolo preponderante della televisione. Ma a mio modo di vedere il berlusconismo rappresenta l'incarnazione estrema e la patologia di queste tendenze che senza di lui possono anche permanere, ma mitigate, non eversive e compatibili con la democrazia liberale. Mentre con Berlusconi, che pretende di trattare lo stato come sua proprietà, producono un collasso della democrazia. Berlusconi è stato l'interprete estremo, più creativo e coerente dell'antipolitica. Un fattore chiave che domina ancora. Anzi, il declino del berlusconismo aumentando la confusione e in assenza di una forte alternativa potrebbe persino accentuare questa tendenza, gettando ulteriore discredito sulla politica.
In altri termini il populismo berlusconiano costringe l'opposizione sullo stesso terreno? È per questo che si affermano Grillo e Di Pietro?
Distinguerei. Di Pietro accentua i toni ma in fondo fa politica e pensa alle alleanze. Grillo invece ha un atteggiamento palingenetico: solo da un rifiuto totale della politica può nascere la salvezza e così si condanna a un ruolo di testimonianza. È la rappresentazione più tipica dell'antipolitica ma non per gli argomenti che propone, che anzi sono tutti razionali e fondati e a mio modo di vedere anche condivisibili, di lui ho una certa stima, ma per il modo apocalittico nel quale li presenta. È lo specchio di Berlusconi che è stato il grande inventore di questo nichilismo che distrugge la politica utilizzando, come ha notato molto bene Michele Prospero, gli aspetti comici. Berlusconi usa il comico per distruggere la politica, Grillo per dire cose serie.
Nei suoi interventi in parlamento Berlusconi non è stato affatto comico, se non involontariamente nel senso che si è presentato come una personalità moderata e conciliante che sta realizzando le promesse. Questo messaggio pubblicitario, palesemente falso, è forse quello veramente efficace, in definitiva più di quello farsesco e antipolitico?
A questo punto non direi proprio. Il meccanismo pubblicitario è logoro, consumato. Non funziona più per una sorta di effetto stanchezza. Il potere mediatico non è tutto, deve avere una sua forza interna altrimenti non funziona, anche se lo ripeti infinite volte da tutti i media che controlli. Si vede lontano un miglio che la «nuova storia italiana» ha perso freschezza e credibilità, non appassiona più. Il suo stesso protagonista non ha più smalto, anche dal lato corporeo su cui ha tanto investito. È appesantito, lamentoso, la sua espressione non è più accattivante ma indurita, quasi sofferente, la deambulazione è diventata goffa, forzata. Basta confrontare i rotocalchi di propaganda per immagini da lui prodotti, Una storia italiana (2001), La vera storia italiana (2006), Noi amiamo Silvio (2009). Se nelle prime immagini, pure all'interno di una cornice convenzionale abbastanza stucchevole, non mancavano elementi di leggerezza e allegria, sfondi floreali, ora dominano toni tronfi e cupi, in un crescendo di ritocchi fotografici che lo fanno apparire come una statua di cera. In questo abbiamo conferma dei limiti del restauro: l'unico modo per preservare eternamente il corpo è imbalsamarlo dopo morto (come fu tentato con Mazzini e si fece con Lenin).
È per questo che il tramonto del capo è cominciato quando si sono diffusi tutti quei dettagli imbarazzanti sulla sua vita privata, le escort, la moglie che lo lascia?
Sono convinto di sì, quelle vicende hanno avuto un peso maggiore di quanto si sia capito allora. È come se l'immagine di Berlusconi fosse stata vulnerata per eccesso. Perché diventava iperbolica la sua capacità di fare tutto, di essere sempre presente, di andare a tutte le feste con tutte le donne. In questo c'era un principio della fine, le mitologie possono esplodere per ridondanza. Il mito, come ha spiegato a proposito di Mussolini Luisa Passerini, si gonfia si gonfia e alla fine esplode. Quando è partita la vicenda di Noemi ho cominciato a pensare che Berlusconi stesse esplodendo.
Guardando a cosa ci aspetta, è possibile che l'espulsione di Fini dal circuito berlusconiano - in fondo era l'ultimo dei vecchi politici in quel giro - consegni l'eredità del cavaliere alla Lega? Può essere il leghismo xenofobo l'evoluzione del berlusconismo?
Io non vedrei la cosa come una successione temporale. Al momento mi pare che i due protagonisti della maggioranza, la Lega e il Pdl, siano concorrenti ma affratellati. Le Lega è un partito xenofobo, etnocentrico, tendenzialmente secessionista che mira a sostituire il potere padano al potere dello stato. Il Pdl è un partito legato al potere centrale, che però utilizza per i fini personali del presidente del Consiglio. Direi che vanno insieme, sono gli attori della stessa deriva eversiva.
E allora quale sarà la porta d'uscita dal berlusconismo? La stessa dalla quale siamo entrati, il ritorno dei partiti e del loro controllo sul parlamento? È per questo che in molti prevedono la fine del bipolarismo?
In termini di metodo storico non si può mai tornare indietro. Non c'è riuscita nemmeno la restaurazione dopo Napoleone. Escluderei con certezza un ritorno all'indietro, e non so dire se sia un bene o un male. Non penso che la vecchia cosiddetta partitocrazia possa risorgere dalle sue ceneri, al contrario per evitare un disfacimento totale bisognerà avere la forza di pensare il nuovo: i vecchi partiti fortemente strutturati con procedure dall'alto verso il basso non hanno più senso.
Eppure si fa tanto l'elogio della Lega come partito vecchio stile, con militanti e sezioni impiantati sul territorio.
Secondo me è un grosso equivoco. La Lega funziona per le sue parole d'ordine che interpretano e esasperano le paure collettive. Anche in nazisti avevano un partito radicato sul territorio. Non è per quello che si sono affermati ma per la loro capacità di evocare in termini simbolici le paure e le pulsioni profonde. Così fa la Lega che cresce non per la sua struttura ma per il suo linguaggio.
Conclusione: leghismo e berlusconismo continueranno a marciare uniti. E a guidarli saranno la figlia e il figlio dei fondatori, ci crede?
Nei movimenti a base carismatica accentuata è evidente che non si può pensare a una successione ordinaria e allora viene in mente una successione di tipo monarchico. Che tuttavia produce esiti grotteschi nel caso del figlio di Bossi. E esiti direi improbabili nel caso di Marina Berlusconi perché suo padre non può avere successori e non li avrà. La sua esperienza è irripetibile.
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