Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

venerdì 8 ottobre 2010

Massimo D’Alema nella sessione “ Istitutional Issues for Global Governance”


GLOBAL ECONOMIC GOVERNANCE FOR BALANCED GROWTH
Fonte L'Unita'
Intervento introduttivo di Massimo D’Alema nella sessione “ Istitutional Issues for Global Governance”
Washington – 7 ottobre

Cari amici,
vorrei cominciare ringraziando la Brookings Institution e la Initiative For Policy Dialogue per avermi dato l’opportunità di essere qui oggi a discutere con una platea di grande prestigio una questione che considero centrale per il nostro comune futuro.
Per molti anni, il dibattito sulla necessità di ridisegnare la governance economica globale e’ stato soprattutto teorico. l’attuale sistema multilaterale fu costruito più di sessant’anni fa in circostanze politiche ed economiche molto diverse. Nonostante la comune consapevolezza di una sua sempre maggiore inadeguatezza nel rispondere alle sfide di un mondo sempre più globalizzato, finora le discussioni e le analisi sugli strumenti, i meccanismi e le istituzione per colmare le lacune e adattare il sistema a un nuovo contesto globale sono rimaste ad un livello puramente speculativo.
La crisi economica e finanziaria che ci ha colpito, ha sovvertito questa prospettiva. Oggi, infatti, la ricostruzione della governance economica globale non è più una questione di scelta, ma di necessità.
Abbiamo finalmente capito che l’idea che mercati autoregolati potessero continuare a lavorare senza regole, senza istituzioni che le applicassero e che monitorassero il loro corretto funzionamento era pura illusione. Il neo liberalismo selvaggio che ha dominato l’era della globalizzazione ha nutrito questa grande illusione per anni.
Si è detto che viviamo nell’epoca della fine delle ideologie. Ma ritengo che sia proprio il neoliberismo ad essere l’ultima delle ideologie del Ventesimo secolo. E la crisi non è solo un incidente di percorso nella realizzazione piena e luminosa della globalizzazione, provocato dagli errori di calcolo e dalla avidità senza scrupoli di qualche banchiere.
E’ stata la crisi, in verità, a mettere in luce le contraddizioni di questa globalizzazione, che è cresciuta troppo velocemente e senza regole. Questa completa mancanza di regole e controlli riflette un deficit democratico che è dovuto alla asimmetria tra l’ascesa di una economia globale, la debolezza di istituzioni internazionali e l’inadeguatezza dei vecchi Stati nazione.
Nel corso del Ventesimo secolo, lo sviluppo del capitalismo era controbilanciato dai principi e dai limiti imposti e attuati degli Stati nazione. Quindi capitalismo, coesione sociale e democrazia potevano convivere, almeno in Europa, grazie al ruolo giocato dai governi. La spinta verso la deregulation mirava proprio a respingere lo Stato come attore economico: l’assunto era che l’ordine sociale potesse essere trovato senza il coinvolgimento o l’intervento dello Stato.
Questa si è dimostrata una premessa pericolosa e la sua ovvia conseguenza è stata l’indebolimento dello Stato come garante della giustizia sociale.
Il “casino capitalism” che emerse dall’era della deregulation è stato così colpito da una catastrofe di proporzioni inaspettate. Piuttosto che esercitare autonomia, i contribuenti - attraverso il lavoro del tanto criticato Stato – sono stati costretti a sostenere quelle istituzioni finanziarie che erano “troppo grandi per fallire”.
In tutto il mondo, gli Stati sono stati obbligati ad affrontare spese straordinarie non per fornire servizi pubblici, ma per mantenere la stabilità in quel settore finanziario che , in linea di principio, avrebbe dovuto autoregolarsi. Questo stato di cose, come ho già ricordato, e’ stato facilitato da una mancanza di coordinamento internazionale e di istituzioni in grado di stabilizzare, governare e limitare l’impatto e gli effetti del capitalismo globale e dei mercati finanziari globali.
Questa è la sfida che oggi dobbiamo affrontare. Dobbiamo costruire una nuova architettura internazionale capace di garantire lo svolgersi di una di una giusta globalizzaizone, riducendo, al contempo, le ineguaglianze e assicurando uno sviluppo sostenibile.
Dobbiamo riconoscere che un tale risultato non può essere raggiunto attraverso l’azione dei singoli Stati. Dobbiamo riconoscere che la sfida di un mondo globale sta nella capacità di governare i processi a livello sovranazionale. Dobbiamo riconoscere che la politica e le istituzioni democratiche devono orientare e regolare l’economia, perché questo è l’unico mondo in cui lo sviluppo capitalistico può essere conciliato con i principi della democrazia e della giustizia sociale.
Oggi, 27 Stati europei sono parte di un progetto unico nel quale la vita economica e politica non è confinata agli Stati nazione. E’ un progetto sostenuto da una cornice istituzionale che cerca di far fronte ai bisogni della gente attraverso la stabilità, l’interdipendenza e la cooperazione.
L’Unione europea rappresenta, dunque, una esperienza positiva eccezionale, che deve essere presa in considerazione quando si pensa alla nuova architettura. Essa mostra l’utilità di un vasto assetto multilaterale per la governance economica.
Naturalmente, le attuali tensioni fra gli Stati membri dell’Unione mostrano che molti strumenti sono inadeguati, hanno bisogno di essere messi a punto o riformati, specialmente in momenti di crisi globale. Comunque, malgrado le tensioni e i problemi emersi, pochi politici, oggi, invocherebbero un ritorno al passato.
Non è il momento per la rinazionalizzazione delle nostre politiche. Credo che progressisti e socialisti dovrebbero opporsi fortemente a queste tentazioni. Abbiamo bisogno di una Europa più unita e integrata, se vogliamo giocare un ruolo chiave nella ricostruzione della governance globale.
Il ridimensionamento del G7 e del G8, la centralità del G20 hanno rappresentato passi importanti nella formazione di una governance globale più inclusiva. Non dimentichiamoci proprio del G20: esso manca di legittimità rappresentativa, democratica, perché non può dare adeguata rappresentanza alla popolazione globale, nel momento in cui siamo costretti ad adattarci ad un panorama economico in continua evoluzione.
Ritengo che non si possa immaginare una governance globale senza il ruolo fondamentale giocato dal sistema delle Nazioni Unite. Il documento “For a Global New Deal”, scritto dal Global Progressive Forum insieme alla Feps, ha delineato in modo molto convincente la strategia per una efficiente governance economica globale. “La spinta politica – si legge nel documento- dovrebbe essere data da un triangolo composto da agenzie del’Onu, organismi internazionali (inclusi il FMI, il WTO e la Banca Mondiale), e dal G20”.
Per quanto riguarda le organizzazioni internazionali, in particolare il FMI e la Banca Mondiale, credo che si debba insistere per un’unica rappresentanza dell’Unione Europea e per una ridistribuzione dei voti in favore dei cosiddetti Paesi emergenti.
Paesi che oggi sono considerati economie in via di sviluppo saranno, probabilmente, gli unici motori disponibili della futura crescita economica (mi aspetto che il professor Ocampo elaborerà ulteriormente questo concetto). Come lui ha già proposto, dobbiamo incoraggiare l’ulteriore espansione di Paesi come il Brasile, l’India e la Cina, altrimenti noi perderemo un ‘ incredibile opportunità per trovare soluzioni ai nostri stessi problemi. Peggio ancora, l’inazione ci impedirà di aiutare milioni di presone ad uscire dalla povertà e dalla disoccupazione.
Il G20 è stato uno strumento importante per dare risposte immediate alla crisi. Ora, però, il G20 sta entrando in una nuova fase con nuove priorità di lungo periodo. Una crescita forte e bilanciata, dunque, può essere raggiunta imprimendo ad essa un forte impulso, rendendola allo stesso tempo più sostenibile in termini di eguaglianza sociale e lotta alla povertà, ed impedendo lo sviluppo di grossi squilibri.
La sfida sarà negoziare un accordo collettivo fra Paesi che rappresentano l’80 per cento del PIL mondiale e che coprono una vasta gamma di culture, preferenze e approcci alla politica e alla governance.
Vorrei sottolineare che l’Europa dovrebbe giocare in questo processo un ruolo primario. Finora, l’Europa è stata quanto meno esitante, sostenendo il consolidamento fiscale piuttosto che il sostegno alla domanda interna. Considerata la seria crisi che alcuni Paesi europei stanno affrontando, il consolidamento fiscale è indispensabile. L’Europa, invece, dovrebbe cogliere l’opportunità della crisi per avviarsi verso politiche orientate alla crescita – molto delle quali sono previste nella Strategia Europa 2020 - che sono necessarie per migliorare la qualità della vita dei cittadini europei e adattare i sistemi di welfare europei al nuovo contesto globale.
Inoltre, una più forte governance interna dell’Euro, che è di per se necessaria, contribuirà a rafforzale la governance globale anche all’interno del G20. Il suo processo di coordinamento, infatti, è in una fase critica e il rischio di una “guerra di valute” sta aumentando. Il dissesto del coordinamento delle politiche macroeconomiche nel G20 avrebbe un forte impatto sull’economia mondiale nel suo insieme, non solo su quei Paesi che siedono in quel consesso. Se il G20 non può raggiungere i suoi obiettivi per i suoi stessi membri, come ci si può spettare che lo faccia per il resto del mondo?
Dobbiamo porci coraggiose domande, se vogliamo risposte oneste.
La grande contraddizione della vita economica all’inizio del Ventunesimo secolo è che i mercati finanziari sono globalizzati, mentre le regole sono ancora prevalentemente nazionali e regionali. Ciò ha permesso agli attori che operano nei mercati finanziari di correre rischi estremi. Persino il più fondamentalista del libero mercato dovrebbe ammettere che le conseguenze di questa anomalia sono state veramente catastrofiche.
Per poter funzionare, le regole devono essere davvero internazionali. Gli istituti per la regolamentazione devono operare sotto il controllo di organizzazioni di governance globale, responsabili di fronte ai governi e, di conseguenza, ai cittadini.
Ogni sforzo per migliorare la regolamentazione finanziaria internazionale, dunque, deve fondarsi sulla volontà di costruire un’ampia cornice istituzionale ed etica. Quando discutiamo delle caratteristiche di questa nuova architettura internazionale, non è sufficiente criticare quanti propongono l’ortodossia economica e la deregulation finanziaria. Dobbiamo guardare ai problemi sistemici che l’economia globale deve affrontare e dobbiamo offrire una alternativa fondata sui valori della giustizia sociale e del perseguimento del bene pubblico a livello globale.
Sono lieto di dire che la Feps ha tratto molto dal lavoro di Joseph Stiglitz, Jose Antonio Ocampo, Stephany Griffith Jons e dei nostri amici della Initiative for Policy Dialogue. E’ una collaborazione produttiva e spero che continui anche in futuro.
Quando si parla delle questione che stiamo qui trattando, dobbiamo anche considerare come affrontiamo i problemi della governance e della politica economica internazionale. Non possiamo parlare solo della volontà dei mercati. Dobbiamo anche invocare il concetto di beni pubblici a livello globale. La stabilità finanziaria è sicuramente un bene pubblico globale. Ma come progressisti dovremmo chiedere più che la semplice stabilità: la nostra sfida è offrire una alternativa che permetta si mercati di servire la gente. Il nostro lavoro è definire quali siano i beni pubblici che perseguiamo.
Il “commercio equo” è diventato quasi un marchio. Ciò minaccia di derubarlo del suo stesso significato: il commercio deve andare a vantaggio di tutti, non solo dei Paesi ricchi. Questa è la questione fondamentale della governance globale. E’ responsabilità delle economie avanzate sostenere l’apertura dei mercati e opporre resistenza al protezionismo, che potrebbe ritornare in auge a causa della disoccupazione.
Se non affrontiamo il problema delle ingiustizie nel nostro sistema di commercio, risultiamo essere ipocriti quando, poi, dichiariamo di voler lottare contro la povertà .
La nostra idea di “commercio equo” dovrebbe concentrarsi sulla domanda interna. Naturalmente ciò richiederebbe una riforma del sistema finanziario globale per compensare la vulnerabilità del mondo in via di sviluppo. Per questa ragione, noi dovremmo mettere i beni pubblici globali al centro del nostro concetto di una governance economica globale progressista.
Dobbiamo, infine, parlare di crescita bilanciata. Molti di voi hanno maggiore familiarità con i tecnicismi della relazione tra squilibri nella bilancia dei pagamenti, tassi di cambio e le pressioni di un ritorno al protezionismo.
La relazione commerciale tra gli Stati Uniti e la Cina è sbilanciata e questo si ripercuote in generale sugli squilibri globali. Ciò ha provocato tensioni in entrambi i Paesi. In America, a causa della crescente disoccupazione determinata dalla recessione, in Cina per le pressioni per la rivalutazione della propria valuta e la crescita della domanda interna. La Cina ha costruito enormi riserve di dollari e questo, ovviamente, costituisce un problema. Ma è anche vero che ha portato grandi benefici all’economia globale grazie all’espansione fiscale.
Il professor Stiglitz ha proposto la costituzione di una riserva di valuta globale. Questo era proprio ciò che Keynes aveva in mente quando ha sviluppato l’idea originaria per un fondo monetario internazionale. Si tratta di una proposta che vale la pena di portare avanti, sebbene si debba riconoscere che si tratta di una soluzione di lungo periodo. Nel frattempo, è importante costruire nuove istituzioni come delle “reti di protezione finanziaria” multilaterali o regionali.
La crisi finanziaria globale ha, inoltre, messo in luce l’importanza di un nuovo approccio alla formulazione di regole che sostengano investimenti di lungo periodo e facilitino il flusso di risorse verso i Paesi emergenti e in via di sviluppo. Queste sono soluzioni concrete ai problemi complessi che ci stanno davanti. Ciò che cerchiamo non è una risposta ad hoc a una crisi ad hoc. Noi cerchiamo di prevenire crisi future.
Vorrei concludere dicendo che la nuova architettura finanziaria internazionale non deve semplicemente garantire la regolamentazione, supervisione governance dei mercati finanziari per prevenire fenomeni speculativi. Dobbiamo progettare un sistema monetario e finanziario al servizio di una economia giusta, capace di assicurare il più ampio accesso ai vantaggi dello sviluppo, la riduzione delle diseguaglianze e una crescita economica compatibile con la difesa dell’ambiente.
Subito dopo lo scoppio della crisi, il dibattito internazionale sembrava dominato dalla volontà di cambiare. Questo approccio non deve affievolirsi. Non dobbiamo cedere alla tentazione di ritornare all’assetto precedente. Non possiamo aspettare un’altra crisi per decidere di cambiare. E’ necessario che il dibattito conduca a risultati concreti.
Grazie

1 commento:

  1. In sostanza D'Alema propone di affidare la soluzione della crisi a chi l'ha prodotta: affidare ai piromani lo spegnimento dell'incendio.

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