di Vladimiro Giacchè. Fonte: controlacrisi
Vladimiro Giacchè, economista e vice-presidente dell’associazione “Marx XXI”, è autore di numerosi saggi di carattere economico e filosofico e recentemente ha curato l’edizione italiana di una raccolta di scritti di Karl Marx sulla crisi (K. Marx, Il capitalismo e la crisi, DeriveApprodi, 2009). All’inizio del prossimo anno pubblicherà un volume proprio sul particolare momento economico che stiamo attraversando. Ed è appunto di questo che abbiamo parlato, con uno sguardo particolare rivolto all’attualità politica.
Vladimiro Giacchè, economista e vice-presidente dell’associazione “Marx XXI”, è autore di numerosi saggi di carattere economico e filosofico e recentemente ha curato l’edizione italiana di una raccolta di scritti di Karl Marx sulla crisi (K. Marx, Il capitalismo e la crisi, DeriveApprodi, 2009). All’inizio del prossimo anno pubblicherà un volume proprio sul particolare momento economico che stiamo attraversando. Ed è appunto di questo che abbiamo parlato, con uno sguardo particolare rivolto all’attualità politica.
Dottor Giacchè, ci aiuti a capire quello che è successo in questi giorni sui mercati finanziari. Perché i titoli di Stato italiani sono soggetti ad attacchi speculativi?
E’ una cosa abbastanza logica. Io non lo intenderei come un attacco dotato di una regia. In realtà la cosa è più semplice e peggiore di questa. A un certo punto, per una serie di motivi, chi opera sui mercati si è convinto che il debito pubblico italiano non sia più “sostenibile”. I motivi sono diversi: essenzialmente la bassa crescita del nostro paese, che fa sì che il rapporto debito/PIL vada aumentando per effetto dell’andamento del denominatore; l’altro punto è l’assoluta insipienza del governo Berlusconi, che ha fatto più o meno il contrario di quello che doveva fare. Non soltanto perché le manovre hanno colpito gli interessi della parte più povera della popolazione – il che comporterà un calo della domanda e quindi effetti recessivi –, ma ha anche dato all’Europa l’impressione di voler fare il furbo – cioè di voler continuare a tirare a campare, che è una cosa che oggi assolutamente nessuno si può permettere.
Diversi osservatori (da ultimo il capo investimenti di UBS) e persino qualche politico (come il Presidente portoghese Silva) sostengono che per fermare la speculazione sarebbe necessario che la BCE agisse da “prestatore di ultima istanza”. Può spiegarci cosi si intende con questa espressione? E lei ritiene opportuno questo tipo di intervento?
Io ritengo che sia necessario e che prima o poi sarà fatto. Speriamo che non lo facciano troppo tardi, quando ormai la situazione sarà irrecuperabile – non mi riferisco solo al debito italiano, ma alle molte situazioni di crisi. In sostanza, il prestatore di ultima istanza è colui che mette i soldi quando nessuno ce li può più mettere. La BCE dovrebbe fare quello che la Banca centrale del Giappone fa da oltre dieci anni, quello che la FED fa da quando è scoppiata la crisi: ossia comprare i titoli di Stato dei paesi in difficoltà, se necessario stampando moneta. In realtà non si può sostenere che attualmente la BCE non compri i titoli dei debiti sovrani – la BCE ha sostenuto anche lo Stato italiano: ad agosto gli acquisti ammontavano 70 mld. e probabilmente ora sono di più. Il problema è che però ha fatto degli acquisti “sterilizzati”. Cioè, per mantenere inalterata la quantità di moneta e in equilibrio il proprio bilancio, per tot. titoli che ha comprato ne ha venduti degli altri di valore equivalente, in modo da restare in pareggio. Per battere la speculazione sarebbe invece necessario che la BCE dichiarasse la propria disponibilità a sostenere i titoli di Stato dei paesi in crisi in misura illimitata.
Perché non lo ha fatto?
Per due ragioni: una formale, una sostanziale – cioè politica. Quella formale è che non è scritto nello statuto della BCE che possa fare questo. Anzi, per essere più precisi questo allo stato attuale sarebbe una violazione dello statuto della BCE. Nello statuto della BCE c’è scritto soltanto che essa deve proteggere i paesi dell’Unione Monetaria Europea dall’inflazione. Ma il motivo più importante non è quello formale: è quello sostanziale, cioè politico. C’è una forte spinta da parte dei paesi più ricchi dell’Europa, in particolare la Germania, a non effettuare questa operazione . Ciò perché il bilancio della BCE è costituito per la quota parte maggiore dai fondi dei paesi ricchi (anche se comunque va detto che l’Italia è il terzo contribuente). Ma ciò che fa davvero inorridire i tedeschi è che, con nuove iniezioni di denaro, l’Euro si svaluterebbe rispetto alle altre monete e si innescherebbe un processo inflativo – anche se è logico pensare che in realtà in questa fase sarebbe molto contenuto. Il loro orrore è un errore perché il rischio reale in questo momento è che, in conseguenza delle politiche sbagliate della BCE, l’Euro possa saltare e quella sì sarebbe una vera catastrofe. Recentemente Kenneth Rogoff li ha anche presi in giro su questo, dicendo “capiamo che nello statuto della BCE non ci sia la funzione di prestatore di ultima istanza, ma cosa volete fare? Volete che l’euro salti e poi dire che siete contenti perché avete rispettato lo statuto e mantenuto l’inflazione al 2%? Cos’è più importante?”. E la cosa ironica è che l’ossessione per l’Euro forte si sta ripercuotendo sulla stessa Germania, perché se i paesi in crisi non vengono aiutati, e anzi – come nel caso della Grecia – vengono spinti in una depressione economica a causa di misure di austerity insostenibili – non comprano più o comprano molto meno i prodotti tedeschi. La cosa che i governanti tedeschi sembrano dimenticare è che il 63% del loro export è diretto in Europa e il 43% totale del loro export è diretto nella zona Euro. E infatti gli ultimi dati ci dicono che l’economia tedesca si è praticamente fermata perché non basta l’export verso i paesi extra-comunitari per controbilanciare la perdita che si ha su quelli Europei.
La svalutazione e l’inflazione entro certi limiti non converrebbero anche a loro, consentendogli rispettivamente di esportare con maggiore facilità verso i paesi extra-UE e di agevolare la ripresa della propria economia?
L’inflazione sarebbe soprattutto un aiuto per i paesi molto indebitati perché consentirebbe di abbassare gli oneri reali sul debito. Per quanto riguarda la svalutazione, ci sono motivi che hanno a che fare con la struttura dell’export tedesco, che è di qualità e di alta tecnologia ed è perciò meno sensibile alle variazioni di prezzo di quanto lo sia l’export di altri paesi. Però il problema vero è un altro: se si vuole l’“Unione economica e monetaria” dell’Europa (si chiama proprio così, anche se è oggi completamente sbilanciata sul versante monetario) oppure no. Se non la si vuole, si può proseguire con le politiche correnti e sicuramente si fa la cosa giusta: entro sei mesi l’euro salterà e fine del discorso. Tuttavia, lasciando che le cose vadano in questo modo, i tedeschi andrebbero contro i loro stessi interessi, per il semplice motivo che la Germania è il paese che in assoluto ha maggiormente beneficiato dell’Euro. Impedendo le svalutazioni competitive dei paesi con strutture industriali più deboli, la moneta unica infatti ha aggravato lo squilibrio dell’economia europea accentuando la vocazione manifatturiera della Germania. Secondo una ricerca di McKinsey di cui ha dato notizia la Frankfurter Allgemeine Zeitung del 21 ottobre scorso con un’intervista a Frank Mattern (capo di McKinsey Germania), negli ultimi dieci anni all’incirca un terzo della crescita tedesca è stata originata dall’euro. Questo a causa dell’abbattimento dei costi di transazione e dei costi assicurativi sui rischi di cambio, oltreché all’aumento dei commerci intraeuropei. Ma anche grazie al fatto che il marco tedesco sarebbe stato una moneta molto più forte di quanto sia stato l’euro. Soltanto nel 2010, l’unione monetaria ha contribuito al prodotto interno lordo della Germania per 165 miliardi di euro, pari al 6,6% del pil. Non a caso nell’intervista Mattern propone una sorta di “piano Marshall” per i paesi europei della periferia, dicendo che “sarebbe denaro ben investito”…
A giorni il prof. Mario Monti sarà nominato Presidente del Consiglio. Questa successione al vertice del governo avrà davvero effetti benefici sull’andamento dei titoli?
Un po’ l’effetto Monti si è già verificato perché venerdì scorso i rendimenti sui titoli di stato sono scesi di 100 punti base – cioè dell’1%, che è un’enormità se si considera che questo calo è avvenuto in un solo giorno. Va detto però che anche l’andamento opposto – cioè il rialzo del tasso d’interesse avvenuto in precedenza – era stato prodotto in pochissimo tempo. Non è però scontato che la situazione rientri del tutto perché comunque siamo in una zona abbastanza a rischio: mercoledì 9 novembre eravamo sprofondati a un livello da cui altri paesi, quando lo hanno toccato, non sono più riusciti a risalire. Il tema decisivo però dovrebbero essere le misure di lungo periodo. Dovrebbe essere abbastanza chiaro che una manovra economica incentrata principalmente sui tagli al welfare non ci aiuterebbe a uscire dai problemi. Noi dovremmo invece effettuare manovre fortemente redistributive, che io inquadrerei su due fronti. Lotta all’evasione fiscale – ricordo che ogni anno ci sono 120 mld. di gettito evaso – e una patrimoniale seria. Credo sia venuto il momento di chiedere ai grandi patrimoni di contribuire a rimettere in sesto la situazione. Per quanto riguarda il recupero dell’evasione, si tratterebbe di un contributo all’equità, alla modernizzazione del paese e alla concorrenza – di cui tutti parlano, ma pochi si spendono per realizzarla in concreto. E’ infatti del tutto evidente che l’evasione è uno strumento per selezionare le aziende peggiori.
E col denaro recuperato dalla lotta all’evasione e dalla patrimoniale cosa si dovrebbe fare?
Una parte dovrebbe andare a stabilizzare il debito, più che a ridurlo – la riduzione la si potrà avere solo nel lungo periodo, a seguito di una crescita molto forte. Ma la parte più importante dovrebbe andare a rafforzare il welfare, ridurre le aliquote fiscali delle fasce più basse della popolazione e varare investimenti nelle due grandi tipologie di infrastrutture di cui abbiamo bisogno: quelle fisiche veramente “utili” – per intenderci, la Salerno-Reggio Calabria invece della TAV – e la formazione e la ricerca. Esattamente il contrario di quello che ha fatto il governo Berlusconi.
Nei giorni scorsi abbiamo ricevuto dalla UE una lettera in trentanove punti in cui ci viene chiesto come attueremo le misure che il governo Berlusconi aveva già prospettato nella sua precedente missiva. Quanto inciderà questa ipoteca sull’azione del prossimo governo?
Questo sarà il limite strutturale del governo Monti. Oltre tutto la maggioranza parlamentare su cui si baserà sarà composta dalle stesse persone che hanno approvato le politiche economiche di Berlusconi. Occorrerebbe piuttosto una maggioranza che esprimesse l’interesse della maggioranza della popolazione. Oggi se si andasse a votare sarebbe possibile un governo di alternativa a Berlusconi e alla Lega imperniato sul centrosinistra. Considero quindi un gravissimo errore da parte del PD la decisione di non andare al voto subito. E soprattutto considero che tale decisione sia un’abdicazione rispetto a quello che dovrebbe essere il compito politico del centrosinistra, cioè proporre politiche alternative a quelle assunte dal precedente esecutivo e di rottura con alcune richieste particolarmente insensate che provengono dall’UE.
Il governo Monti tuttavia si baserà su un’amplissima base parlamentare e questo significherà che le sue politiche economiche verranno condivise sia dal centrodestra che dal centrosinistra (o quanto meno dal PD). Si tratta di una circostanza positiva?
E’ una prospettiva che considero con orrore: non è una dinamica sana. Avrebbe un senso se si trattasse di un governo di un mese che mettesse a posto alcune cose essenziali e lasciasse spazio a nuove elezioni. E credo che sarebbe meglio per tutti se fosse così. Anche per i mercati, che si sentirebbero più rassicurati da un esecutivo stabile, forte di una maggioranza omogenea, in grado di dialogare in maniera non subalterna con l’Europa.
D’altra parte, se anche l’IDV sciogliesse le sue riserve, la sola forza di opposizione resterebbe la Lega, che potrebbe giovarsi così di una significativa rendita di posizione in una fase in cui il malessere sociale cresce. Considerato quello che sta avvenendo anche nel resto d’Europa, cioè l’avanzata di partiti xenofobi, nazionalisti e reazionari, come giudica questo scenario?
Questo è uno dei motivi che mi fanno propendere per le elezioni. Consentire alla Lega di andare all’opposizione in questo momento equivarrebbe a consentire ai complici del disastro attuale di riprendere fiato e di rifarsi una verginità, magari con proposte demagogiche, dopo aver votato politiche catastrofiche sul piano sociale. Per questo è importante che nel paese si sviluppi un’opposizione sociale, di massa. Oggi un’opposizione di questo tipo può avvalersi del sostegno di alcuni partiti – in particolare quelli della Federazione della Sinistra – e di molti movimenti; sarebbe importante che anche altri partiti, come IDV e SEL – che però mi sembra abbiano fatto già scelte diverse, purtroppo –, si unissero a queste iniziative.
Un’altra peculiarità del prossimo governo è che dovrebbe essere composto integralmente da cosiddetti “tecnici”. Questo fatto è garanzia di qualità?
Dal mio punto di vista no. Se avvenisse una cosa di questo genere sarebbe importante che il governo fosse di brevissima durata. Penso che i nostri concittadini abbiano capito di aver commesso un errore abbastanza drammatico nelle precedenti elezioni politiche. In ogni caso, non credo alla superiorità del governo tecnico. Comunque i voti li dovrebbe andare a prendere in Parlamento – e non vedo per quale miracolo quest’ultimo, che qualcuno considera totalmente corrotto, dovrebbe essere in grado di votare un governo straordinario e i suoi provvedimenti. Evidentemente bisogna pensare a una soluzione diversa.
In una delle sue ultime pubblicazioni, “La fabbrica del falso”, lei ha analizzato il modo in cui i media manipolano l’opinione pubblica. In questi giorni espressioni come “sacrifici”, “rigore”, “riforme necessarie”, connotate tutte da valenza positiva, invadono stampa , TV e internet. Di conseguenza la gente sembra vada convincendosi che, per parafrasare Orwell, “L’AUSTERITA’ E’ BENESSERE”. E’ in atto un’altra grande operazione di manipolazione?
Direi di sì. Sottolineo che queste operazioni non sono sempre coscienti, nel senso che la prima vittima spesso è il giornalista. In molti casi le parole usate, fortemente connotate da un punto di vista ideologico, sono state assorbite negli anni anche da chi scrive sui giornali (pensiamo all’abuso di termini come “riforma” e “riformista”). Detto questo, mi sembra evidentemente strumentale – e fattualmente falso – pensare che esista un’“austerità espansiva”, che i sacrifici portino benessere ecc. ecc. Bisognerebbe prodursi in un’opera di demistificazione. Come quella che bisognerebbe fare quando viene detto che “abbiamo vissuto tanti anni al di sopra delle nostre possibilità”. La domanda che andrebbe posta è “chi ha vissuto al di sopra delle proprie possibilità?” I pensionati al minimo, i cassintegrati, i giovani precari che devono campare con 400 euro al mese o quei gruppi sociali che ogni anno intascano decine di miliardi non pagando le tasse o ancora chi ha preso gli incentivi pubblici e ha subito delocalizzato la sua impresa senza pagare dazio? La società è divisa in classi e interessi, alcuni dei quali hanno beneficiato della situazione di crisi, mentre la grande maggioranza della popolazione l’ha patita tremendamente.
Un articolo apparso l’altro giorno sul Telegraph fa notare che sia Berlusconi che Papandrou sono caduti su impulso dei mercati e che entrambi sono stati sostituiti da uomini dell’establishment finanziario. C’è un’emergenza democratica in Europa?
Secondo me sì e l’avvertiamo non soltanto in questi casi, ma per esempio nel fatto che molte decisioni sono prese da una diarchia di Stati (Francia e Germania) che non è prevista da nessun trattato. Addirittura la lettera che la BCE ci ha recapitato era assolutamente irrituale sotto il profilo dei trattati. Vengono compiute molte evidenti e violente forzature. Bisognerebbe avere la capacità di reagire a tutto questo. Ma non basta invocare astrattamente più democrazia, bisogna invece opporsi con efficacia alle misure che vengono proposte. Cioè dimostrare che c’è una volontà popolare che desidera qualcosa di diverso e – mi permetterei di dire – di più sensato rispetto alla cura che stanno provando a somministrarci. Questo paese ha un peso del debito pregresso molto elevato, ma ha avuto negli ultimi anni conti molto in ordine rispetto alla media degli Stati europei. L’emersione del problema del debito è dovuta soprattutto all’incapacità da parte dell’Europa di gestire in maniera sensata l’emergenza greca. Questo ha provocato un contagio ad altri paesi che, per vari motivi, i mercati hanno cominciato a ritenere che fossero a rischio. Un fattore, molto importante in tal senso e molto poco sottolineato, è la modifica del Patto di stabilità avvenuta a marzo, che ha posto l’accento sul debito pregresso anziché sul deficit corrente, chiamando sul banco degli accusati – del tutto ingiustamente e senza alcuna seria motivazione reale – precisamente l’Italia. Questa è tra le cause non secondarie della turbolenza attuale.
Ultimissima domanda: prima citava i partiti e i movimenti che si battono nella società. Quale strategia dovrebbero assumere per riuscire a contrastare efficacemente questo tipo di politiche?
Parole d’ordine chiare – anche positive, non soltanto negative. I margini ci sono. Quando si dice “lottare contro l’evasione” non si ripete un mantra; questa espressione diventa un mantra nelle bocche di politici che non hanno la volontà politica di affrontare il problema. Tecnicamente sarebbe facile; richiederebbe un po’ di tempo, ma neanche tantissimo. E’ stato stimato che si possa recuperare metà dell’evasione entro una legislatura – stiamo parlando quindi di cifre enormi e di tempi piuttosto brevi. E soprattutto bisognerebbe dare la percezione che non si accettano misure diverse. Bisognerebbe porre per la prima volta un vincolo interno di natura sociale.
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