Piero Ricci sbilanciamoci
Anche con la crisi la ricchezza aumenta, soprattutto per i più ricchi. Ma, con patrimoni meno liquidi, l’effetto sui consumi in paesi come l’Italia è modesto
Alla fine del 2010 la ricchezza netta delle famiglie italiane (attività reali e attività finanziarie, al netto delle passività finanziarie), è risultata di circa 8.640 miliardi di euro e, secondo stime preliminari, nel primo semestre 2011 è leggermente aumentata in termini nominali, secondo i dati della Banca d’Italia (Supplementi al Bollettino Statistico anno 2011 - La ricchezza delle famiglie italiane 2010 p. 5).
La variazione della ricchezza complessiva reale può essere riferita a due fattori: il flusso di risparmio (al netto degli ammortamenti) e i capital gains (variazioni dei prezzi delle attività reali e di quelle finanziarie al netto della variazione del deflatore dei consumi). Nel 2010 il risparmio delle famiglie è stato di circa 50 miliardi di euro mentre i capital gains sono stati negativi essenzialmente per il forte calo dei corsi azionari avvenuto nel corso dell’anno. Tra il 1995 e il 2010 il risparmio incide nella crescita del valore della ricchezza netta in misura lievemente superiore rispetto ai capital gains. Questi ultimi sono interamente ascrivibili alle abitazioni e agli altri beni reali, essendo i capital gains sulle attività finanziarie pressoché nulli.
Nella seconda metà degli anni ‘90 è la componente finanziaria a costituire la principale determinante dell’aumento della ricchezza complessiva delle famiglie. La ricomposizione della ricchezza verso le attività finanziarie è un fenomeno comune a tutti i paesi del G7, tanto è vero che negli anni ‘80 la gran parte della ricchezza delle famiglie era costituita da attività reali mentre nel corso degli anni ‘90 i risparmiatori si indirizzarono verso le attività finanziarie, in particolare le azioni. L’aumento risultò disomogeneo, con una crescita del peso delle attività finanziarie inferiore nel Regno Unito e in Canada dove era già molto elevato, e maggiore in Francia e in Italia, dove la partecipazione al mercato azionario era più limitata. Dal 2000 è iniziata invece una fase di riduzione dei corsi azionari, con l’interruzione della crescita del rapporto tra attività finanziarie e attività reali sino al 2003, come mostrano i dati Banca d’Italia.
Dal 2003 è iniziata la “bolla speculativa” immobiliare globale, che ha raggiunto l’apice alla fine del 2006 e ha portato alla crisi dei mutui “subprime”, generando effetti globali ancora sotto gli occhi di tutti. Banca d’Italia evidenzia che molte famiglie italiane detengono livelli modesti o nulli di ricchezza e all’opposto, poche famiglie dispongono di una ricchezza elevata. Alla fine del 2008 la metà più povera delle famiglie italiane deteneva il 10 per cento della ricchezza totale, mentre il 10 per cento più ricco deteneva quasi il 45 per cento della ricchezza complessiva (p. 7).
Essere più ricchi stimola a consumare di più? Un altro studio della Banca d’Italia, curato da Riccardo De Bonis e Andrea Silvestrini, mostra che per il complesso dei paesi Ocse si evidenziano effetti positivi della ricchezza finanziaria e reale sui consumi delle famiglie. L’effetto delle variazioni della ricchezza finanziaria netta è maggiore di quello del valore delle attività reali delle famiglie. Nelle diverse specificazioni la propensione marginale al consumo della ricchezza finanziaria oscilla tra 3,6 e 4 centesimi per euro di ricchezza aggiuntiva mentre la propensione marginale al consumo della ricchezza reale è intorno a 0,5 centesimi.
Con riferimento ai singoli paesi, è stata registrata una dinamica diversa in Stati Uniti e Regno Unito, da una parte, e nei paesi dell’area dell’euro dall’altra. Statisticamente, l’effetto ricchezza sui consumi sarebbe presente negli Stati Uniti e nel Regno Unito, contraddistinti da mercati finanziari più sviluppati e da forme tecniche di finanziamento dell’acquisto di abitazioni che consentono alle famiglie di ottenere nuovo credito a fronte di un incremento del valore dell’immobile offerto in garanzia. Al contrario, nei paesi dell’area dell’euro con mercati dei capitali di dimensioni più ridotte e con minore possibilità di ottenere liquidità a fronte di aumenti del valore delle case gli effetti ricchezza sarebbero più deboli.
La ricchezza si va concentrando, e questo aiuta meno la crescita dei consumi in paesi come l’Italia. Mentre la Banca centrale europea continua a usare strumento dell’iniezione di liquidità nell’economia per far ripartire il credito e la spesa, gli effetti di questa strategia sembrano sempre meno capaci di influenzare concretamente i comportamenti di consumo. Altri tipi di interventi sulla ricchezza e sulla domanda diventano sempre più urgenti.
Nota
I dati sulle famiglie riguardano l’insieme delle famiglie consumatrici e delle famiglie produttrici, mentre sono escluse le Istituzioni Sociali Private (ISP), ossia quegli organismi privati senza scopo di lucro che producono beni e servizi non destinabili alla vendita (sindacati, associazioni sportive, partiti politici, ecc.)
I testi citati sono:
Banca d’Italia, La ricchezza delle famiglie italiane 2010, Supplementi al Bollettino Statistico anno 2011.
Riccardo De Bonis e Andrea Silvestrini, Gli effetti della ricchezza finanziaria e reale sui consumi della famiglie: nuove evidenze per i paesi Ocse Banca d’Italia, Tema di discussione n. 837, novembre, 2011.
Anche con la crisi la ricchezza aumenta, soprattutto per i più ricchi. Ma, con patrimoni meno liquidi, l’effetto sui consumi in paesi come l’Italia è modesto
Alla fine del 2010 la ricchezza netta delle famiglie italiane (attività reali e attività finanziarie, al netto delle passività finanziarie), è risultata di circa 8.640 miliardi di euro e, secondo stime preliminari, nel primo semestre 2011 è leggermente aumentata in termini nominali, secondo i dati della Banca d’Italia (Supplementi al Bollettino Statistico anno 2011 - La ricchezza delle famiglie italiane 2010 p. 5).
La variazione della ricchezza complessiva reale può essere riferita a due fattori: il flusso di risparmio (al netto degli ammortamenti) e i capital gains (variazioni dei prezzi delle attività reali e di quelle finanziarie al netto della variazione del deflatore dei consumi). Nel 2010 il risparmio delle famiglie è stato di circa 50 miliardi di euro mentre i capital gains sono stati negativi essenzialmente per il forte calo dei corsi azionari avvenuto nel corso dell’anno. Tra il 1995 e il 2010 il risparmio incide nella crescita del valore della ricchezza netta in misura lievemente superiore rispetto ai capital gains. Questi ultimi sono interamente ascrivibili alle abitazioni e agli altri beni reali, essendo i capital gains sulle attività finanziarie pressoché nulli.
Nella seconda metà degli anni ‘90 è la componente finanziaria a costituire la principale determinante dell’aumento della ricchezza complessiva delle famiglie. La ricomposizione della ricchezza verso le attività finanziarie è un fenomeno comune a tutti i paesi del G7, tanto è vero che negli anni ‘80 la gran parte della ricchezza delle famiglie era costituita da attività reali mentre nel corso degli anni ‘90 i risparmiatori si indirizzarono verso le attività finanziarie, in particolare le azioni. L’aumento risultò disomogeneo, con una crescita del peso delle attività finanziarie inferiore nel Regno Unito e in Canada dove era già molto elevato, e maggiore in Francia e in Italia, dove la partecipazione al mercato azionario era più limitata. Dal 2000 è iniziata invece una fase di riduzione dei corsi azionari, con l’interruzione della crescita del rapporto tra attività finanziarie e attività reali sino al 2003, come mostrano i dati Banca d’Italia.
Dal 2003 è iniziata la “bolla speculativa” immobiliare globale, che ha raggiunto l’apice alla fine del 2006 e ha portato alla crisi dei mutui “subprime”, generando effetti globali ancora sotto gli occhi di tutti. Banca d’Italia evidenzia che molte famiglie italiane detengono livelli modesti o nulli di ricchezza e all’opposto, poche famiglie dispongono di una ricchezza elevata. Alla fine del 2008 la metà più povera delle famiglie italiane deteneva il 10 per cento della ricchezza totale, mentre il 10 per cento più ricco deteneva quasi il 45 per cento della ricchezza complessiva (p. 7).
Essere più ricchi stimola a consumare di più? Un altro studio della Banca d’Italia, curato da Riccardo De Bonis e Andrea Silvestrini, mostra che per il complesso dei paesi Ocse si evidenziano effetti positivi della ricchezza finanziaria e reale sui consumi delle famiglie. L’effetto delle variazioni della ricchezza finanziaria netta è maggiore di quello del valore delle attività reali delle famiglie. Nelle diverse specificazioni la propensione marginale al consumo della ricchezza finanziaria oscilla tra 3,6 e 4 centesimi per euro di ricchezza aggiuntiva mentre la propensione marginale al consumo della ricchezza reale è intorno a 0,5 centesimi.
Con riferimento ai singoli paesi, è stata registrata una dinamica diversa in Stati Uniti e Regno Unito, da una parte, e nei paesi dell’area dell’euro dall’altra. Statisticamente, l’effetto ricchezza sui consumi sarebbe presente negli Stati Uniti e nel Regno Unito, contraddistinti da mercati finanziari più sviluppati e da forme tecniche di finanziamento dell’acquisto di abitazioni che consentono alle famiglie di ottenere nuovo credito a fronte di un incremento del valore dell’immobile offerto in garanzia. Al contrario, nei paesi dell’area dell’euro con mercati dei capitali di dimensioni più ridotte e con minore possibilità di ottenere liquidità a fronte di aumenti del valore delle case gli effetti ricchezza sarebbero più deboli.
La ricchezza si va concentrando, e questo aiuta meno la crescita dei consumi in paesi come l’Italia. Mentre la Banca centrale europea continua a usare strumento dell’iniezione di liquidità nell’economia per far ripartire il credito e la spesa, gli effetti di questa strategia sembrano sempre meno capaci di influenzare concretamente i comportamenti di consumo. Altri tipi di interventi sulla ricchezza e sulla domanda diventano sempre più urgenti.
Nota
I dati sulle famiglie riguardano l’insieme delle famiglie consumatrici e delle famiglie produttrici, mentre sono escluse le Istituzioni Sociali Private (ISP), ossia quegli organismi privati senza scopo di lucro che producono beni e servizi non destinabili alla vendita (sindacati, associazioni sportive, partiti politici, ecc.)
I testi citati sono:
Banca d’Italia, La ricchezza delle famiglie italiane 2010, Supplementi al Bollettino Statistico anno 2011.
Riccardo De Bonis e Andrea Silvestrini, Gli effetti della ricchezza finanziaria e reale sui consumi della famiglie: nuove evidenze per i paesi Ocse Banca d’Italia, Tema di discussione n. 837, novembre, 2011.
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