Antonio Tricarico - controlacrisi -
Pubblichiamo l’introduzione all’edizione italiana di «È ora di un nuovo consenso. Regolamentare i flussi finanziari per la stabilità e lo sviluppo», il rapporto curato da Peter Chowla e promosso dal Bretton Woods Project
Dopo la mastodontica crisi finanziaria, e poi economica e sociale, che ha portato dal 2008 l’economia mondiale sull’orlo del collasso, si parla molto di regolamentazione finanziaria, anche se ad oggi ben poco è cambiato nel funzionamento speculativo della finanza mondiale. Diverse misure sono state proposte, da una tassa sulle transazioni finanziarie a una pesante ristrutturazione del sistema bancario, da una revisione dei requisiti patrimoniali delle banche alla regolamentazione del cosiddetto sistema bancario ombra incentrato sulle cartolarizzazioni e sull’utilizzo dei prodotti derivati. Tutte misure sensate, o quanto meno utili per iniziare a ridimensionare i mercati finanziari internazionali, oggi superiori di decine di volte al valore dell’economia reale del Pianeta. Ma ancora poco si discute, specialmente in Italia, di misure che sarebbero molto più efficaci e strutturali, quali ad esempio il controllo dei movimenti di capitali . Il controllo dei movimenti di capitali è intimamente collegato alla gestione dei sistema monetario internazionale, ed entrambe le questioni ci riportano alla “madre di tutte le battaglie”. La sbornia liberista e monetarista, infatti, iniziò con la rottura del sistema di Bretton Woods nel 1971-73. Una data che forse segna l’inizio della cosiddetta globalizzazione di stampo liberista, ponendo fine al trentennio keynesiano, che ha caratterizzato il periodo di crescita economica più elevata nella storia moderna. All’inizio degli anni ’70 il presidente americano Richard Nixon decise di porre fine al sistema monetario statico che collegava tutte le monete al dollaro e quindi alle riserve auree di Fort Knox. Non a caso dopo la decisione unilaterale di far fluttuare le monete di tutto il mondo e di non collegare più il dollaro all’oro fu una tappa inevitabile per la liberalizzazione dei movimenti di capitali a livello internazionale, spesso sotto il diktat del Fondo monetario internazionale nel caso dei Paesi più poveri. Il resto della storia della crescita dei mercati finanziari internazionali e dell’ascesa del capitalismo finanziario, culminata poi nel crollo della Lehman Brothers e nella crisi, la conosciamo. Perciò è cruciale tornare a spiegare che cosa significa controllare i movimenti di capitali, come questo può avvenire in pratica, quali sono le sue implicazioni macroeconomiche e quali opzioni esistono a livello nazionale, regionale e mondiale per intraprendere questa strada, ponendo termine all’egemonia liberista e finanziaria. Finalmente anche il Fondo monetario internazionale ha rotto il tabù iniziandone a parlare, e addirittura consigliando questa misura nel caso della crisi finanziaria che ha colpito l’Islanda nel 2009. I più grandi speculatori ed attori finanziari non solo sono troppo grandi per fallire o addirittura troppo grandi per essere salvati dagli Stati, ma anche too big too jail, troppo grandi per essere imbrigliati, come aveva preconizzato Keynes. Tornare a controllare i movimenti di capitali sarebbe l’unico modo per addomesticare la tigre e riportare finalmente il genio della finanza dentro la lampada. Converrebbe a tutti: ai governi oggi incapaci di arginare la finanza globale, ai popoli che soffrono la crisi, all’ambiente ed alla giustizia sociale devastati dal profitto finanziario. Certo, non converrebbe a quelli che ci hanno portato sull’orlo del fallimento e hanno beneficiato enormemente dalla follia finanziaria degli ultimi decenni, ma di questo non vale la pena preoccuparsi. Cambiare si può, iniziando a controllare i capitali.
Il testo integrale su www.sbilanciamoci.info
Dopo la mastodontica crisi finanziaria, e poi economica e sociale, che ha portato dal 2008 l’economia mondiale sull’orlo del collasso, si parla molto di regolamentazione finanziaria, anche se ad oggi ben poco è cambiato nel funzionamento speculativo della finanza mondiale. Diverse misure sono state proposte, da una tassa sulle transazioni finanziarie a una pesante ristrutturazione del sistema bancario, da una revisione dei requisiti patrimoniali delle banche alla regolamentazione del cosiddetto sistema bancario ombra incentrato sulle cartolarizzazioni e sull’utilizzo dei prodotti derivati. Tutte misure sensate, o quanto meno utili per iniziare a ridimensionare i mercati finanziari internazionali, oggi superiori di decine di volte al valore dell’economia reale del Pianeta. Ma ancora poco si discute, specialmente in Italia, di misure che sarebbero molto più efficaci e strutturali, quali ad esempio il controllo dei movimenti di capitali . Il controllo dei movimenti di capitali è intimamente collegato alla gestione dei sistema monetario internazionale, ed entrambe le questioni ci riportano alla “madre di tutte le battaglie”. La sbornia liberista e monetarista, infatti, iniziò con la rottura del sistema di Bretton Woods nel 1971-73. Una data che forse segna l’inizio della cosiddetta globalizzazione di stampo liberista, ponendo fine al trentennio keynesiano, che ha caratterizzato il periodo di crescita economica più elevata nella storia moderna. All’inizio degli anni ’70 il presidente americano Richard Nixon decise di porre fine al sistema monetario statico che collegava tutte le monete al dollaro e quindi alle riserve auree di Fort Knox. Non a caso dopo la decisione unilaterale di far fluttuare le monete di tutto il mondo e di non collegare più il dollaro all’oro fu una tappa inevitabile per la liberalizzazione dei movimenti di capitali a livello internazionale, spesso sotto il diktat del Fondo monetario internazionale nel caso dei Paesi più poveri. Il resto della storia della crescita dei mercati finanziari internazionali e dell’ascesa del capitalismo finanziario, culminata poi nel crollo della Lehman Brothers e nella crisi, la conosciamo. Perciò è cruciale tornare a spiegare che cosa significa controllare i movimenti di capitali, come questo può avvenire in pratica, quali sono le sue implicazioni macroeconomiche e quali opzioni esistono a livello nazionale, regionale e mondiale per intraprendere questa strada, ponendo termine all’egemonia liberista e finanziaria. Finalmente anche il Fondo monetario internazionale ha rotto il tabù iniziandone a parlare, e addirittura consigliando questa misura nel caso della crisi finanziaria che ha colpito l’Islanda nel 2009. I più grandi speculatori ed attori finanziari non solo sono troppo grandi per fallire o addirittura troppo grandi per essere salvati dagli Stati, ma anche too big too jail, troppo grandi per essere imbrigliati, come aveva preconizzato Keynes. Tornare a controllare i movimenti di capitali sarebbe l’unico modo per addomesticare la tigre e riportare finalmente il genio della finanza dentro la lampada. Converrebbe a tutti: ai governi oggi incapaci di arginare la finanza globale, ai popoli che soffrono la crisi, all’ambiente ed alla giustizia sociale devastati dal profitto finanziario. Certo, non converrebbe a quelli che ci hanno portato sull’orlo del fallimento e hanno beneficiato enormemente dalla follia finanziaria degli ultimi decenni, ma di questo non vale la pena preoccuparsi. Cambiare si può, iniziando a controllare i capitali.
Il testo integrale su www.sbilanciamoci.info
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