Angelo d'Orsi - ilmanifesto -
Lukacs e Althusser, Marcuse e Poulantzas. Con grandi citazioni degli italiani, da Gramsci a Bobbio. Agli stati generali del marxismo latinoamericano si riscoprono i «maestri» dimenticati dagli europei
I brasiliani adorano le sigle. Il Cemarx, per esempio, sta per Centro de estudos marxistas. Mi trovo a Campinas, dove hanno sede più università, a cominciare da UniCamp, considerata la terza per importanza di questo immenso Stato federale (circa 28 volte la superficie dell'Italia: dove insomma il federalismo ha un senso!). Ma il Cemarx di Campinas non è il solo del Brasile; ne esistono altri, di centri dediti alla ricerca, alla discussione inframarxistica, e alla pubblicazione di testi e studi, collocati presso gli atenei statali o federali. E ancora altri vivono, piuttosto alacremente, al di fuori del Brasile, in diversi paesi latinoamericani.
Il Cemarxi di Campinas, nato nel 1996, organizza periodicamente, dal 1999, dei Colloqui Marxengels, e pochi giorni or sono si è svolto il settimo. Non hanno un tema preciso, questi incontri, che non possono esser dunque considerati convegni, ma piuttosto dei raduni: potremmo chiamarli "stati generali del marxismo". All'ultimo hanno partecipato 253 relatori (brasiliani, in primis; poi dall'Argentina, Messico, Bolivia; qualche nordamericano, qualche europeo, tra cui, per la prima volta, due italiani), con oltre 500 persone nel pubblico, lungo 4 intense giornate, organizzate come una rassegna festivaliera: eventi in contemporanea, seminari per giovani studiosi, tavole rotonde, sessioni plenarie: si poteva scegliere a proprio piacimento. A ciascuno il suo Marx, insomma. E, naturalmente, il suo Engels, il suo Lenin, il suo Trockij, che qui, in America Latina, spopola, specialmente, appunto, nell'immenso Brasile.
C'era insomma un clima di mobilitazione politica, più che di assise scientifica, una voglia di militare, più che di produrre testi da inserire nel proprio curriculum accademico. Del resto, l'ambiente è tutt'altro che accademico, anche se si tratta di professori universitari, ricercatori, precari della ricerca (ci sono anche qui ma in proporzione sono assai pochi, rispetto ai nostri; e le borse di studio per dottorandi e post-doc sono incredibilmente alte); e studenti, anche se i corsi sono cominciati dopo la fine del Colloquio.
L'atmosfera, poi, era tutta non dirò da Woodstock, ma molto rilassata, anche quando tra partecipanti alle mesas redondas (le tavole rotonde) si è giunti a scambi molto vivaci di opinioni; le quali, immancabilmente, finivano per tirare in campo non soltanto i grandi padri, da Lenin a Trockij, ma i loro eredi più o meno fedeli, leader di partiti e partitini della sinistra brasiliana e latinoamericana.
Un curioso effetto di spiazzamento, per certi versi, si aveva nel seguire queste dispute accanite, fra trotzkisti e (post)stalinisti (nessuno invero si proclama seguace di Stalin), fra studiosi e studiose quasi sempre esponenti delle diverse sigle della variegata sinistra brasiliana, o le discussioni altrettanto appassionate sui concetti principali del fondatore del socialismo scientifico, sulle parole d'ordine leniniane, sugli sviluppi reali e su quelli mancati dell'Unione Sovietica, sulle necessità storiche che spinsero Lenin Trockij Stalin a fare o non fare certe scelte.
In ogni caso, qui, non solo si salva la teoria, ma si dà per universalmente acquisito il significato emancipatorio della Rivoluzione d'Ottobre: Outubro, si chiama una delle riviste del Cemarx di Campinas (l'altra è Critica marxista, omonima della testata italiana), e un volume edito dal Centro, lo scorso anno, circolante fra i convegnisti, si intitola Outubro e as experincias socialistas do século XX, dove pur nelle critiche, che non mancano allo stalinismo, ci si proclama orgogliosamente accanto e dentro l'esperienza storica della Rivoluzione Bolscevica. Al di fuori di essa, naturalmente, non sono mancati, nel Colloquio, approfondimenti su figure, teorie, vicende, grandi e piccole: oltre a Marx, che ha fatto la parte del leone, com'era prevedibile, sono stati passati in rassegna marxismi europei e americani, con particolare attenzione ai popoli latinos, e in specie al Brasile, e alla sua storia non soltanto di pensiero, ma di concrete vicissitudini politiche, spesso drammatiche.
Al primo posto, nel medagliere del Colloquio, a parte Marx, sfolgora il nostro Gramsci, uno degli autori più citati, e oggetto di specifiche comunicazioni, in una diffusa considerazione che gli attribuisce, accanto a Lenin, il primato in seno al marxismo novecentesco. Ormai gli studiosi che si occupano di Gramsci sono davvero numerosi in tutto il subcontinente, e specialmente appunto in Brasile; si tengono corsi, seminari, si fanno pubblicazioni, di testi e di studi. Al Colloquio ho addirittura assistito alla presentazione di un "poster" gramsciano, ossia un manifesto a stampa, con una serie di punti sul pensiero di Gramsci, illustrato con molta cura da una dottoranda. Al di fuori del Cemarx, sempre a UniCamp, a testimonianza dell'enorme attenzione per Gramsci, si annuncia la preparazione di una scelta di testi pedagogici. Colpisce, lo sforzo analitico: si cerca con grande zelo e con altrettanta passione di leggere, contestualizzare, interpretare il Sardo, insistendo sulla sua duplice natura di pensatore e di rivoluzionario.
L'attenzione alla praxis, del resto, è il filo conduttore tanto di questi Colloqui quanto del Cemarx, e in generale degli studi marxisti brasiliani e latinoamericani in genere. Così, che si rilegga Rosa Luxemburg o Karel Kosik, si analizzi Marcuse o Ernest Mandel o Nicos Poulantzas, si sezioni Mariátegui (che ha avuto una intera sessione), che si discutano autori viventi quali David Harvey e Daniel Bensaïd, si capisce che il primo intendimento di questi studiosi/militanti è di portare un contributo alla lotta. L'espressione potrà apparire datata, da noi, scettici e disincantati eurocentrici, ma qui assume tutt'altro peso e significato. Questi popoli, e le loro avanguardie politico-intellettuali, si sentono in guerra, e nella sostanza lo sono: a dispetto delle ottime relazioni che sussistono sul piano individuale e su quello di numerose istituzioni culturali, in realtà i latinoamericani sono in armi contro gli europei e i nordamericani, contro coloro che hanno saccheggiato le risorse mondiali, in nome dello sviluppo e della crescita e ora pretendono di imporre la decrescita, magari felice, o quanto meno di subordinare le scelte di questi paesi alle direttive dei grandi organismi internazionali controllati da un pugno di signori. Contro la nostra furiosa smania di gettare a mare l'intera tradizione comunista, la nostra sbadata e frettolosa liquidazione del patrimonio marxista, e la nostra disattenta e politicamente disincarnata gestione del pensiero gramsciano, contro il dilagare del misterioso e onnicomprensivo postmoderno, qui, dall'altra parte dell'Oceano, non si ha paura di innalzare, e sventolare, la bandiera rossa, alla cui ombra si coltivano per ogni possibile uso, nel Brasile del lungo miracolo economico, parole e nomi che nel nostro mondo oggi fanno tutt'al più sorridere. Noi siamo (o ci crediamo) "oltre". Citiamo Zizek e Badiou, piuttosto che Lukács e Althusser, qui invece in gran voga; come del resto godono di ottima reputazione tanti italiani del XX secolo che noi abbiamo obliterato (ho sentito citare più volte Della Volpe, Togliatti, Sabastiano Timpanaro jr.), compresi molti viventi, a cominciare da Domenico Losurdo, qui assai letto; per tacere del solito Bobbio, che in America Latina ha un suo pubblico numeroso.
Insomma, dal Brasile il marxismo batte un colpo, pur con le sue interne rotture, i suoi infiniti dissidi, le sue tragedie epocali, sperando di ridestare l'Europa. Dai Cemarx ci giunge il messaggio che non soltanto un altro socialismo è possibile e necessario, ma che Marx - proprio lui - è tutt'altro che morto, secondo la vecchia battuta di Woody Allen. Certo, noi non ci sentiamo troppo bene, anzi, a dirla tutta, stiamo piuttosto male, in una Europa affetta da sindrome autodistruttiva, vittima di predatori istituzionali o nascosti, pronta a distruggere quanto di buono v'è nel suo patrimonio storico-culturale, e a gettarsi in pasto al nuovo ordine mondiale, del quale comunque sarà oggetto e non soggetto. Sicché a noi può anche fare uno strano effetto immergerci in queste dispute, sentirle datate, e percepire un distacco, non solo temporale, ma di riferimenti culturali, con i companheiros brasiliani. Ma la verità è che loro all'Europa che arranca nella sua infinita crisi sbattono in faccia proprio quell'europeo di Treviri, che un secolo e mezzo fa la crisi aveva previsto, e indicato nel (vero) comunismo la sola via d'uscita. Che avesse ragione?
Il Cemarxi di Campinas, nato nel 1996, organizza periodicamente, dal 1999, dei Colloqui Marxengels, e pochi giorni or sono si è svolto il settimo. Non hanno un tema preciso, questi incontri, che non possono esser dunque considerati convegni, ma piuttosto dei raduni: potremmo chiamarli "stati generali del marxismo". All'ultimo hanno partecipato 253 relatori (brasiliani, in primis; poi dall'Argentina, Messico, Bolivia; qualche nordamericano, qualche europeo, tra cui, per la prima volta, due italiani), con oltre 500 persone nel pubblico, lungo 4 intense giornate, organizzate come una rassegna festivaliera: eventi in contemporanea, seminari per giovani studiosi, tavole rotonde, sessioni plenarie: si poteva scegliere a proprio piacimento. A ciascuno il suo Marx, insomma. E, naturalmente, il suo Engels, il suo Lenin, il suo Trockij, che qui, in America Latina, spopola, specialmente, appunto, nell'immenso Brasile.
C'era insomma un clima di mobilitazione politica, più che di assise scientifica, una voglia di militare, più che di produrre testi da inserire nel proprio curriculum accademico. Del resto, l'ambiente è tutt'altro che accademico, anche se si tratta di professori universitari, ricercatori, precari della ricerca (ci sono anche qui ma in proporzione sono assai pochi, rispetto ai nostri; e le borse di studio per dottorandi e post-doc sono incredibilmente alte); e studenti, anche se i corsi sono cominciati dopo la fine del Colloquio.
L'atmosfera, poi, era tutta non dirò da Woodstock, ma molto rilassata, anche quando tra partecipanti alle mesas redondas (le tavole rotonde) si è giunti a scambi molto vivaci di opinioni; le quali, immancabilmente, finivano per tirare in campo non soltanto i grandi padri, da Lenin a Trockij, ma i loro eredi più o meno fedeli, leader di partiti e partitini della sinistra brasiliana e latinoamericana.
Un curioso effetto di spiazzamento, per certi versi, si aveva nel seguire queste dispute accanite, fra trotzkisti e (post)stalinisti (nessuno invero si proclama seguace di Stalin), fra studiosi e studiose quasi sempre esponenti delle diverse sigle della variegata sinistra brasiliana, o le discussioni altrettanto appassionate sui concetti principali del fondatore del socialismo scientifico, sulle parole d'ordine leniniane, sugli sviluppi reali e su quelli mancati dell'Unione Sovietica, sulle necessità storiche che spinsero Lenin Trockij Stalin a fare o non fare certe scelte.
In ogni caso, qui, non solo si salva la teoria, ma si dà per universalmente acquisito il significato emancipatorio della Rivoluzione d'Ottobre: Outubro, si chiama una delle riviste del Cemarx di Campinas (l'altra è Critica marxista, omonima della testata italiana), e un volume edito dal Centro, lo scorso anno, circolante fra i convegnisti, si intitola Outubro e as experincias socialistas do século XX, dove pur nelle critiche, che non mancano allo stalinismo, ci si proclama orgogliosamente accanto e dentro l'esperienza storica della Rivoluzione Bolscevica. Al di fuori di essa, naturalmente, non sono mancati, nel Colloquio, approfondimenti su figure, teorie, vicende, grandi e piccole: oltre a Marx, che ha fatto la parte del leone, com'era prevedibile, sono stati passati in rassegna marxismi europei e americani, con particolare attenzione ai popoli latinos, e in specie al Brasile, e alla sua storia non soltanto di pensiero, ma di concrete vicissitudini politiche, spesso drammatiche.
Al primo posto, nel medagliere del Colloquio, a parte Marx, sfolgora il nostro Gramsci, uno degli autori più citati, e oggetto di specifiche comunicazioni, in una diffusa considerazione che gli attribuisce, accanto a Lenin, il primato in seno al marxismo novecentesco. Ormai gli studiosi che si occupano di Gramsci sono davvero numerosi in tutto il subcontinente, e specialmente appunto in Brasile; si tengono corsi, seminari, si fanno pubblicazioni, di testi e di studi. Al Colloquio ho addirittura assistito alla presentazione di un "poster" gramsciano, ossia un manifesto a stampa, con una serie di punti sul pensiero di Gramsci, illustrato con molta cura da una dottoranda. Al di fuori del Cemarx, sempre a UniCamp, a testimonianza dell'enorme attenzione per Gramsci, si annuncia la preparazione di una scelta di testi pedagogici. Colpisce, lo sforzo analitico: si cerca con grande zelo e con altrettanta passione di leggere, contestualizzare, interpretare il Sardo, insistendo sulla sua duplice natura di pensatore e di rivoluzionario.
L'attenzione alla praxis, del resto, è il filo conduttore tanto di questi Colloqui quanto del Cemarx, e in generale degli studi marxisti brasiliani e latinoamericani in genere. Così, che si rilegga Rosa Luxemburg o Karel Kosik, si analizzi Marcuse o Ernest Mandel o Nicos Poulantzas, si sezioni Mariátegui (che ha avuto una intera sessione), che si discutano autori viventi quali David Harvey e Daniel Bensaïd, si capisce che il primo intendimento di questi studiosi/militanti è di portare un contributo alla lotta. L'espressione potrà apparire datata, da noi, scettici e disincantati eurocentrici, ma qui assume tutt'altro peso e significato. Questi popoli, e le loro avanguardie politico-intellettuali, si sentono in guerra, e nella sostanza lo sono: a dispetto delle ottime relazioni che sussistono sul piano individuale e su quello di numerose istituzioni culturali, in realtà i latinoamericani sono in armi contro gli europei e i nordamericani, contro coloro che hanno saccheggiato le risorse mondiali, in nome dello sviluppo e della crescita e ora pretendono di imporre la decrescita, magari felice, o quanto meno di subordinare le scelte di questi paesi alle direttive dei grandi organismi internazionali controllati da un pugno di signori. Contro la nostra furiosa smania di gettare a mare l'intera tradizione comunista, la nostra sbadata e frettolosa liquidazione del patrimonio marxista, e la nostra disattenta e politicamente disincarnata gestione del pensiero gramsciano, contro il dilagare del misterioso e onnicomprensivo postmoderno, qui, dall'altra parte dell'Oceano, non si ha paura di innalzare, e sventolare, la bandiera rossa, alla cui ombra si coltivano per ogni possibile uso, nel Brasile del lungo miracolo economico, parole e nomi che nel nostro mondo oggi fanno tutt'al più sorridere. Noi siamo (o ci crediamo) "oltre". Citiamo Zizek e Badiou, piuttosto che Lukács e Althusser, qui invece in gran voga; come del resto godono di ottima reputazione tanti italiani del XX secolo che noi abbiamo obliterato (ho sentito citare più volte Della Volpe, Togliatti, Sabastiano Timpanaro jr.), compresi molti viventi, a cominciare da Domenico Losurdo, qui assai letto; per tacere del solito Bobbio, che in America Latina ha un suo pubblico numeroso.
Insomma, dal Brasile il marxismo batte un colpo, pur con le sue interne rotture, i suoi infiniti dissidi, le sue tragedie epocali, sperando di ridestare l'Europa. Dai Cemarx ci giunge il messaggio che non soltanto un altro socialismo è possibile e necessario, ma che Marx - proprio lui - è tutt'altro che morto, secondo la vecchia battuta di Woody Allen. Certo, noi non ci sentiamo troppo bene, anzi, a dirla tutta, stiamo piuttosto male, in una Europa affetta da sindrome autodistruttiva, vittima di predatori istituzionali o nascosti, pronta a distruggere quanto di buono v'è nel suo patrimonio storico-culturale, e a gettarsi in pasto al nuovo ordine mondiale, del quale comunque sarà oggetto e non soggetto. Sicché a noi può anche fare uno strano effetto immergerci in queste dispute, sentirle datate, e percepire un distacco, non solo temporale, ma di riferimenti culturali, con i companheiros brasiliani. Ma la verità è che loro all'Europa che arranca nella sua infinita crisi sbattono in faccia proprio quell'europeo di Treviri, che un secolo e mezzo fa la crisi aveva previsto, e indicato nel (vero) comunismo la sola via d'uscita. Che avesse ragione?
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