Cambiare si può, dalle parole passiamo ai fatti
Sicuramente non basta ancora. Ma che l’assemblea «Cambiare si può» si sia svolta sabato scorso in un clima appassionato e partecipe, già appare un confortante viatico per quel che succederà nei prossimi giorni, decisivi per verificare quanto possa crescere e incidere nel paese un progetto politico d’alternativa.
L’avvicendarsi sul palcoscenico del Teatro Vittoria di tanti linguaggi e tante voci, anche quando perplesse o critiche, segnala molto più di un’intenzione collettiva a spezzare perimetri e schieramenti, oltreché limiti e compatibilità. Restituisce l’esistenza di un pentagramma di soggettività non rassegnate ad accontentarsi o a rifuggire. Comunica un desiderio diffuso e per alcuni aspetti incontenibile di costruire una proposta politica finalmente liberata da remore e riserve, da attriti e condizionamenti.
E il fatto che la discussione si sia concentrata non tanto sul «se» ma sul «come» andare avanti, sta lì a confermare tutto il calore intellettuale, l’entusiasmo, l’emozione che accompagnano un’impresa tanto avventurosa.
Quel che l’assemblea arancione ha rappresentato, oltre alla qualità dei contenuti politici, oltre alla spinta di soggettività consapevoli, è stato un reciproco rassicurarsi sulla fondata necessità di creare un nuovo ambito accogliente e promettente, che tutti e tutte includa e a tutti e tutte corrisponda. Quasi l’embrione di una forma politica inedita e perciò affascinante, che tenti l’intentabile: e cioè assemblare con coerenza una comunità di diversi, che pur restando tali accettano tuttavia di convivere e condividere, e possibilmente contagiarsi a vicenda.
Chissà, forse è l’unico modo per tenere insieme tante differenze e perfino qualche opposto. E però si configura anche come un processo di reale rinnovamento delle pratiche che finora hanno accompagnato l’agire politico. Come ben sappiamo, tra acidità e conflitti, ripicche e rancori, pulsioni mortifere, coazioni distruttive.
Sabato a Roma si è palesata e affermata una volontà. Quel che ora serve è verificare se tanta generosità ha le possibilità di irrobustirsi in un processo reale, nel quale misurare l’impegno a costruire quanto concretamente necessario per insediare in città e territori quel «cambiare si può». A metà dicembre si promuoveranno incontri e assemblee in lungo e in largo, grazie alle quali si potrà stabilire quali e quante condizioni ci siano per realizzare questo progetto: il grado di disponibilità a sostenere, nutrire e materialmente organizzare una nuova stagione nel nostro paese.
C’è stato un precedente, e neanche tanto tempo fa, che conforta e perfino incoraggia. La battaglia referendaria per l’acqua pubblica: milioni e milioni di persone «libere e pensanti» che si sono rese protagoniste di un’azione popolare tanto meritoria quanto inaspettata. Una sollevazione delle coscienze cominciata con una scintilla che ha via via incendiato le praterie, dimostrando come la democrazia in Italia sia ancora una risorsa disponibile.
Bisogna offrirle delle buone ragioni perché si metta in moto e tutto travolga. E di buone, buonissime ragioni, oggi ce ne sono davvero tante.
L’avvicendarsi sul palcoscenico del Teatro Vittoria di tanti linguaggi e tante voci, anche quando perplesse o critiche, segnala molto più di un’intenzione collettiva a spezzare perimetri e schieramenti, oltreché limiti e compatibilità. Restituisce l’esistenza di un pentagramma di soggettività non rassegnate ad accontentarsi o a rifuggire. Comunica un desiderio diffuso e per alcuni aspetti incontenibile di costruire una proposta politica finalmente liberata da remore e riserve, da attriti e condizionamenti.
E il fatto che la discussione si sia concentrata non tanto sul «se» ma sul «come» andare avanti, sta lì a confermare tutto il calore intellettuale, l’entusiasmo, l’emozione che accompagnano un’impresa tanto avventurosa.
Quel che l’assemblea arancione ha rappresentato, oltre alla qualità dei contenuti politici, oltre alla spinta di soggettività consapevoli, è stato un reciproco rassicurarsi sulla fondata necessità di creare un nuovo ambito accogliente e promettente, che tutti e tutte includa e a tutti e tutte corrisponda. Quasi l’embrione di una forma politica inedita e perciò affascinante, che tenti l’intentabile: e cioè assemblare con coerenza una comunità di diversi, che pur restando tali accettano tuttavia di convivere e condividere, e possibilmente contagiarsi a vicenda.
Chissà, forse è l’unico modo per tenere insieme tante differenze e perfino qualche opposto. E però si configura anche come un processo di reale rinnovamento delle pratiche che finora hanno accompagnato l’agire politico. Come ben sappiamo, tra acidità e conflitti, ripicche e rancori, pulsioni mortifere, coazioni distruttive.
Sabato a Roma si è palesata e affermata una volontà. Quel che ora serve è verificare se tanta generosità ha le possibilità di irrobustirsi in un processo reale, nel quale misurare l’impegno a costruire quanto concretamente necessario per insediare in città e territori quel «cambiare si può». A metà dicembre si promuoveranno incontri e assemblee in lungo e in largo, grazie alle quali si potrà stabilire quali e quante condizioni ci siano per realizzare questo progetto: il grado di disponibilità a sostenere, nutrire e materialmente organizzare una nuova stagione nel nostro paese.
C’è stato un precedente, e neanche tanto tempo fa, che conforta e perfino incoraggia. La battaglia referendaria per l’acqua pubblica: milioni e milioni di persone «libere e pensanti» che si sono rese protagoniste di un’azione popolare tanto meritoria quanto inaspettata. Una sollevazione delle coscienze cominciata con una scintilla che ha via via incendiato le praterie, dimostrando come la democrazia in Italia sia ancora una risorsa disponibile.
Bisogna offrirle delle buone ragioni perché si metta in moto e tutto travolga. E di buone, buonissime ragioni, oggi ce ne sono davvero tante.
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