Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

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venerdì 7 dicembre 2012

E adesso Mancino parli

Fonte: libertaegiustizia.it

di Sandra Bonsanti -
C’è un momento, un’ora in questa drammatica storia della trattativa tra Stato e mafia su cui Nicola Mancino conosce la verità e, se volesse, potrebbe finalmente dirla.
E’ il primo luglio del 1992. Paolo Borsellino, poco più d’un mese dopo la strage di Capaci, è a Roma e sta interrogando, in gran segreto, Gaspare Mutolo, il mafioso che sta cominciando a collaborare.
Mentre si sta svolgendo l’interrogatorio il magistrato riceve una telefonata: dal Viminale gli chiedono di recarsi a incontrare il nuovo ministro dell’Interno, Mancino, appunto, che vorrebbe salutarlo.
Borsellino interrompe l’interrogatorio. Va al Viminale, attende in anticamera e arriva Bruno Contrada, l’uomo dei servizi. Con una battuta gli fa sapere che lui sa che Mutolo sta parlando.
Poi Borsellino entra a salutare Mancino. Infine, torna a completare l’interrogatorio. Che riprende sugli intrecci Stato-mafia.
La sera, Borsellino telefona a Gioacchino Natoli che oggi presiede il tribunale di Marsala. Gli racconta l’accaduto. Gli dice che non sa come mai Contrada fosse informato. Gli dice: “Non siamo al sicuro”.
Diciotto giorni dopo anche Borsellino viene ucciso.
Mancino non ricorda: di aver visto Borsellino, quel giorno. Poi ammette che forse gli ha stretto la mano, uno fra tanti.
Mancino sa di cosa si parlò il primo luglio del ’92 al Viminale. E’ il suo segreto. Un segreto attorno al quale ruota da anni l’inchiesta sulla trattativa. Mancino sa e deve parlare. Tanto più ora, dopo la sentenza della Corte.
Mancino è stato un protagonista della vita politica nella Prima Repubblica, nel bene e nel meno bene.
Non può esser creduto quando sostiene di non ricordare.
L’insistenza con la quale cercava protezione dal Quirinale, mettendo nei guai anche il Capo dello Stato, ci dice qualcosa. E’ la spia della volontà o della necessità di mantenere un silenzio.
Bisogna che oggi trovi il coraggio di raccontare cosa accadde quel primo luglio del ’92 nel suo nuovo ufficio al Viminale: chi era presente, cosa si disse, cosa gli fu detto sull’uccisione di Falcone e sulle richieste della Cupola.
Da oggi Nicola Mancino deve ricordarsi davvero tutto, a partire dal terrore dei politici democristiani dopo l’uccisione di Salvo Lima, dopo la morte di Falcone; di quei minuti che segnarono forse la vita anche di Paolo Borsellino.
E degli altri che morirono nelle stragi del 1993.
Bisogna che finalmente su questa pagina tremenda della nostra storia si faccia verità e giustizia.

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