Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

martedì 2 aprile 2013

«Qui è il momento delle rivoluzioni ...

 
«Qui è il momento delle rivoluzioni, ma nessuna può avanzare da sola»

... ma nessuna può avanzare da sola»

di Geraldina Colotti -
«Questo è il momento delle rivoluzioni latinoamericane, ma nessuna può avanzare da sola», dice Alvaro Garcia Linera, vicepresidente dello stato plurinazionale di Bolivia. Colto, gentile, misurato, è a Caracas per il «X incontro degli intellettuali, artisti e combattenti sociali in difesa dell’umanità». Nell’ampia sala dell’Hotel Alba, gremita, ha tenuto una conferenza sui lasciti del presidente venezuelano Chávez (morto il 5 marzo) per l’America latina. A margine dell’incontro, ha accettato di rispondere alle domande del manifesto.
Da marxista e uomo di governo, perché considera fondamentale l’operato di Chávez nel continente?
Ho accompagnato il presidente Evo negli incontri che ha avuto con Hugo Chávez come governante e costruttore di un nuovo tipo di stato. Hugo è stato il presidente degli umili, dei lavoratori di tutta l’America latina. Uno spartiacque: tra un prima di subordinazione ai dettami neoliberisti del Fondo monetario internazionale e di rassegnazione, a un nuovo riscatto del continente, iniziato da un uomo che ne ha saputo captare e interpretare le pulsazioni telluriche. In particolari momenti storici, leader carismatici concentrano nella propria figura i sentimenti di un’epoca emergente. Non succede spesso, ma così è stato per Chávez: un uomo del popolo, e non dell’aristocrazia, di origine indigena, che ha preso il potere non con le armi, ma con il voto. Ha chiuso il secolo scorso con una grande sollevazione democratica indicando che i parametri del possibile si stavano modificando in America latina. E poi sono venuti altri presidenti progressisti o socialisti come Evo. L’importanza delle sue intuizioni in tema di politica economica, di integrazione continentale, di pensiero strategico, si capirà fra qualche decade. Riprendendo il concetto di Patria grande, ha riaffermato un nuovo sentimento collettivo e sociale per l’America latina, ha decolonizzato il nostro immaginario. Ha aperto la strada a una nuova concezione dello stato: non solo come macchina, trincea, bastione distante dal popolo, da conquistare e da distruggere con le armi, come hanno provato a fare i rivoluzionari del secolo scorso, ma come potere costituente, che la società dal basso costruisce e trasforma in base a nuove relazioni sociali, a una nuova egemonia. Ha evidenziato una nuova relazione fra socialismo e democrazia, concepita in modo radicale non solo come mero esercizio di voto, ma vincolata alla distribuzione della ricchezza, alla condivisione delle decisioni e dei beni comuni, all’antimperialismo. Ha affermato l’importanza dell’amore nella costruzione di un nuovo progetto politico e del femminile nella lotta per la libertà di tutti e tutte. E per questo ci sarà sempre un pezzetto della sua vita che palpita in quella dei milioni di esseri umani che continueranno a lottare per il socialismo.
Lei ha detto che una rivoluzione se si siede è perduta, ma in Bolivia c’è chi accusa il vostro governo di voler fare troppi passi indietro. A che punto stanno le cose?
Il socialismo, in Bolivia, è un orizzonte che si costruisce a partire da due componenti: quella indigena originaria, basata sulla condivisione del bene comune, della comunità come ricchezza e forma di lavoro. Questa concezione, che fonda il nostro passato, oggi deve elevarsi a un livello superiore, superare il concetto di comunità locale per farsi universale. La seconda radice viene dalle lotte contemporanee degli operai e dei popoli che stanno nel solco del socialismo e che tendono alla riappropriazione della ricchezza da parte di chi la produce. Due spinte che pulsano nella società boliviana e che vanno portate a sintesi in un discorso di lungo respiro la cui riuscita dipenderà molto dalla capacità di relazione di queste due forze nel costruire la forza materiale e politica delle classi popolari boliviane.
I cambiamenti prodotti hanno determinato un processo irreversibile?
Non so se il nostro sia un processo irreversibile, ma per quanto sia complicato è solido. Però deve ancora espandersi, e per questo si deve rompere con l’individualismo e il corporativismo, introdurre l’universale e il bene comune collettivo anche nella propria quotidianità. E non è facile liberarsi dal peso di secoli di colonialismo: che hanno prodotto nelle società latinoamericane frammentazioni, particolarismi, tendenza a imitare i rapporti di potere dei pochi che dominano molti. All’esterno e all’interno, vi sono forze e interessi che spingono per bloccare o distruggere il processo di trasformazione.
Il Venezuela di Chávez è stato il motore trainante di nuove alleanze continentali basate sugli scambi solidali. La Bolivia ne ha usufruito in particolare. Teme che vi saranno ritorni indietro?
Se, come le previsioni indicano, ci sarà una conferma di Nicolas Maduro alla presidenza del Venezuela, le politiche di integrazione proseguiranno nel segno della continuità e della libertà del continente. Questo è il momento di nuove rivoluzioni in America latina, ma nessuno può procedere da solo. Il Venezuela ha aperto la strada e indicato che nessuna rivoluzione può crescere o avanzare da sola, senza l’apporto di altri popoli e di altre rivoluzioni. Dobbiamo procedere su questa via. Il futuro sarà quello di uno stato continentale di molte nazioni. Abbiamo tutto per arrivare a questo: risorse naturali, gioventù, capacità produttiva, alimenti. Il XXI secolo sarà marcato dagli stati continentali e il mondo porterà il segno della loro forza geografica e geopolitica.
Però vi sono conflitti territoriali molto forti. Come tra il suo governo e quello cileno di Sebastian Pinera: la Bolivia chiede uno sbocco al mare, ma il Cile dice no in nome della sovranità nazionale.
L’attitudine di Pinera isola il Cile dal suo vero destino. Il governo cileno pensa di rispecchiarsi nell’Europa, quando la sua radice è latinoamericana. Per questo dovrebbe saldare il debito contratto nel XIX secolo e che ha mutilato un paese sovrano. Quando lo stato cileno si rincontrerà con l’anima latina, quando ritroverà la propria storia in quella delle classi popolari e non in quella delle elite del mercato e del profitto, porterà il suo contributo fecondo all’integrazione e alla complementarietà dell’America latina. Nel suo immediato orizzonte, il Cile ha un grande compito, voltare le spalle a questa politica di isolamento e contribuire al futuro del continente per influire su quello del mondo.
il manifesto 2 aprile 2013

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