Una finanza diversa in parlamento?
Un rapporto della rete Social Watch di alcuni anni fa titolava “se i poveri fossero una banca, sarebbero già stati salvati”. A fine 2008, un solo mese dopo il fallimento della Lehman Brothers il dimissionario George W. Bush convocava in tutta fretta negli Stati uniti il primo vertice del G20 a livello di capi di Stato e di governo per lanciare i piani di salvataggio delle banche responsabili della crisi. Profitti privati, socializzazione delle perdite. Da allora ogni vertice internazionale, dallo stesso G20 in giù, si chiude con roboanti dichiarazioni sulla necessità di chiudere una volta per tutte la finanza-casinò.
Mentre per salvare la finanza si è intervenuti con un’efficacia e con somme mai viste prima, poco o nulla è però stato fatto sulla regolamentazione finanziaria. A distanza di cinque anni il mercato dei derivati segna nuovi record, sistema bancario ombra e paradisi fiscali prosperano più che mai, i banchieri di Wall Street e della City si gratificano con bonus multimilionari, la speculazione gira a pieno ritmo. Dall’altra parte le proposte su nuove regole vanno avanti con una lentezza esasperante e soprattutto non rimettono in alcun modo in discussione l’intero impianto, limitandosi a cercare qualche intervento su singoli strumenti o operazioni. Anche in questi pochi ambiti l’azione delle lobby finanziarie frena o diluisce percorsi e contenuti.
Persino una proposta di buon senso come l’introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie [www.zerozerocinque.it] che ha visto dopo anni di campagne il parere favoreovle tanto del Parlamento quanto della Commissione europei, non è ancora entrata in vigore nell’Unione europea.
Non solo. Cittadini che hanno già pagato diverse volte il costo della crisi devono accettare durissime misure di austerità. Le banche e il sistema finanziario che ne sono responsabili sono al contrario inondati di soldi, dai piani di salvataggio alla liquidità illimitata messa a disposizione dalle banche centrali. In Italia le nostre banche hanno preso in prestito 250 miliardi di euro all’1 per cento dalla Bce – un tasso negativo se si tiene conto dell’inflazione – ma cittadini e imprese subiscono il credit crunch, ovvero non hanno accesso al credito. Non è unicamente una questione di ingiustizia sociale. La finanza è ripartita a pieno ritmo, l’economia ristagna. Uno scollamento sempre più marcato tra finanza ed economia, ovvero la stessa definizione di una nuova bolla finanziaria, alimentata con soldi pubblici.
Per questo dobbiamo radicalmente cambiare rotta, approvando urgentemente poche e chiare misure per riportare la finanza a essere uno strumento al servizio dell’economia e della società, non un fine in sé stesso per fare soldi dai soldi nel minore tempo possibile. Non è una questione di difficoltà tecnica. Sappiamo cosa andrebbe fatto. E’ una questione di volontà politica, superando l’attuale approccio di istituzioni pubbliche che si limitano a compiacere, e non a controllare, i mercati.
Se è vero che molte misure devono essere prese a livello europeo e internazionale, molte altre potrebbero essere portate avanti anche qui in Italia. Da un lato imporre delle regole per frenare gli eccessi della finanza speculativa, dall’altro incentivare forme di finanza etica e cooperativa. In questa direzione si è costituito nei giorni scorsi l’intergruppo parlamentare per la finanza sostenibile, che vede la partecipazione di qualche decina di parlamentari di diversi schieramenti. Tra le prime proposte, un progetto di Legge a prima firma di Giulio Marcon per una revisione della debolissima versione della tassa sulle transazioni finanziarie introdotta dal governo Monti. L’obiettivo è quello di allargare la base imponibile all’insieme dei derivati e di tassare ogni singola transazione, non unicamente i saldi di fine giornata.
La costituzione dell’Intergruppo e le prime proposte portate avanti sono un segnale incoraggiante. Occorrerà monitorarne il lavoro e capire quale potrà essere la sua reale capacità di incidere, in particolare rispetto a un governo che sembra guardare più alle reazioni dei mercati che non a quelle dei cittadini, più al valore dello spread che non al tasso di disoccupazione. Troppo spesso negli ultimi anni la finanza ha guidato e controllato le decisioni politiche. E’ ora di ribaltare tale approccio. Nei prossimi mesi vedremo se la creazione dell’Intergruppo per la finanza sostenibile sarà finalmente stato un primo passo nella giusta direzione.
Andrea Baranes è presidente della Fondazione culturale del gruppo Banca etica, ha lavorato per molti anni nella Campagna per la riforma della Banca mondiale e oggi, tra le altre cose, collabora stabilmente con Comune-info. Finanza per indignati, edito da Ponte alle Grazie (2012), è il suo ultimo libro.
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