Poche famiglie gestiscono le principali aziende. E il 20% della popolazione ha l’80% della ricchezza
Verso la fine dell’800 l’economista Vilfredo Pareto (che tanto altro era, oltre che economista) studiò la distribuzione della ricchezza in Italia, e notò come il 20% delle famiglie possedesse l’80% della ricchezza. Sembrano dati d’altri tempi, ma si riscontrano ancora oggi in un paese al di sopra di ogni sospetto: la Germania. Considerata un modello di successo planetario – tra abilità politiche e meriti costruiti con decenni d’impegno – la Germania risente di un problema imbarazzante di distribuzione del reddito. Nel 2010 i tedeschi con più di un miliardo di euro erano 90, e attualmente sono 107 – nonostante il fatto che oltre sei milioni di individui debbano ricevere assistenza dallo stato. Se osserviamo la distribuzione del patrimonio, la Germania versa in una condizione peggiore rispetto all’Italia: ancora oggi, il patrimonio mediano dei tedeschi è stimato attorno ai 50.000 euro, e quello degli italiani è di oltre 160.000 – almeno secondo un famigerato report rilasciato quest’anno dalla Bundesbank.
Eppure,non è il patrimonio a dare la felicità. Il dato rilevante è quello del reddito. La distribuzione dei reddito è più equilibrata in Germania rispetto all’Italia, e il livello delle retribuzioni è più alto. Secondo gli ultimi dati disponibili, i tedeschi portano a casa uno stipendio medio netto di 2.865 euro, contro i 2.368 degli italiani. In Germania, peraltro, lavora molta più gente rispetto al totale della popolazione (lavorano molte più donne). A prima vista la situazione sembra assurda: in Germania il patrimonio è peggio distribuito, ma il salario è meglio ripartito rispetto all’Italia. Sorge quindi un sospetto: in queste situazioni, sembra quasi di poter individuare una situazione di “latifondo industriale”, che in Italia non cessa di esistere.
Anche in Germania molti settori sono controllati da poca gente. In Germania un ristretto numero di famiglie controlla la grande industria nazionale. Ci sono famiglie che presidiano la grande distribuzione (Lidl, Aldi), il settore dell’auto (Porsche, Siemens), la meccanica (Siemens).
Famiglia | Patrimonio stimato | |
Brenninkmeijer (C&A, abbigliamento) | 22 | |
Henkel (Henkel, chimica) | 9 | |
Haniel (Metro, supermercati) | 8 | |
Heraeus (Heraeus, elettromeccanica) | 7 | |
Porsche (Porsche, auto) | 4,2 | |
Siemens (Siemens, elettromeccanica) | 4 | |
Merck und Langmann (Merck, chimica e farmaceutica) | 3,85 | |
Freudenberg (Freudenberg, meccanica e altro) | 2,9 | |
Werhahn (Werhan, vari settori) | 2,6 | |
Vaillant (Vaillant, energia e altro) | 2,4 | |
Miele (Miele, elettrodomestici) | 2,15 | |
Zinkann (Miele, elettrodomestici) | 2,15 |
Anche il settore dei media è dominato da un oligopolio. Un gruppo di famiglie controlla praticamente tutto il palinsesto televisivo privato (che è circa il 50% del totale, considerata la massiccia presenza pubblica). Bertelsmann, Springer, Hubert Burda Media, Bauer Media: i grandi nomi della stampa e della tv tedesca sono emanazioni di famiglie. Eppure, anche in questo caso, la Germania riesce a ottenere un posizionamento migliore rispetto all’Italia. Il paese tedesco è al diciassettesimo posto al mondo per “libertà di stampa”, mentre l’Italia è precipitata al cinquantasettesimo posto – secondo “Reporters without Borders”, meglio del nostro paese stanno – tra gli altri – il Senegal, Trinidad e Tobago, e le isole Comoros.
In Italia s’invoca la rivoluzione come alternativa alle riforme. Le manifestazioni di piazza non sono più espressioni di messaggi politici, ma di esasperazione sociale. Non si protesta più contro un particolare corso del governo, ma contro il sistema statale stesso. Si emigra, si parla di ricreare il paese, si chiede a tratti di introdurre anche una nuova costituzione.
Insegna però la Germania che un sistema politico ed economico non può essere migliore delle persone che lo gestiscono. Ai fatti, le regole che i tedeschi si sono dati non sono nulla di eccezionale. Anche in Germania si formano monopoli, anche in Germania il patrimonio si polarizza, e anche in Germania ci sono troppi ricchi. La differenza è però che questa elite borghese è in grado di gestire il potere e di distribuire meglio il benessere. Alla fine, importa poco se c’è qualche “super-ricco” in più, a patto che il resto della popolazione sia in grado di portare a casa quanto ha bisogno per vivere e considerarsi benestante.
Non che funzioni sempre, per carità: già all’inizio dell’articolo si ricordavano le pecche del modello. Peraltro la mobilità sociale è in calo, e il modello evidenzia segni di stanchezza. Da noi in Italia rimane però da chiedersi se ci sono le prospettive per una vera rinascita dell’elite nazionale. La politica nei paesi industriali è espressione della borghesia – intesa non come classe definita dal censo, ma come appartenenza riconosciuta a un sistema di regole e valori civilmente giusti ed equi. Da questo punto di vista, la colpa della borghesia italiana è duplice: non saper più gestire l’economia ai fini del benessere diffuso, e non saper (o non voler) produrre una classe politica all’altezza del delicato compito di amministrare il paese. Se questo non si chiama latifondo, è solo perché il termine è passato di moda. Ma le mode tornano, purtroppo.
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