Partono i referendum contro la privatizzazione dell'acqua e dei beni comuni.
Una battaglia di civiltà, una battaglia contro il capitalismo
di Tiziano Bagarolo
Una posta in gioco molto alta
Negli ultimi decenni l'offensiva ideologica neoliberista, tanto insidiosa quanto menzognera, ha cercato di convincere l'opinione pubblica che privato è sinonimo di efficienza e libertà di scelta mentre pubblico è sinonimo di inefficienza e clientele. Questa offensiva ideologica aveva fondamentalmente due scopi:
1) indebolire i diritti collettivi e in particolare le conquiste realizzate dal mondo del lavoro nei decenni precedenti;
2) consentire al capitale di mettere le mani sui beni comuni (acqua, territorio, risorse ambientali, cultura...) e sui servizi e le imprese gestite dal settore pubblico (istruzione, sanità, pensioni, assicurazioni, banche, energia, reti telefoniche ecc.) per consentire un rilancio dei profitti, in una fase di tendenziale sovrapproduzione nei settori tradizionali, puntando su nuovi settori garantiti dalla protezione statale.
La realtà si è incaricata di smentire la propaganda. Ovunque sono peggiorate le condizioni dei lavoratori (precarizzazione, meno diritti, meno salario...); i cittadini ridotti a “clienti” hanno sempre meno diritti e meno potere; ovunque il ricchi sono diventati più ricchi mentre i redditi di chi lavora si sono ridotti in modo sensibile; il capitalismo “liberalizzato” è precipitato nella più grave crisi dal crollo degli anni trenta; la riduzione dei diritti e delle prestazioni sociali e la crisi hanno portato a un generale impoverimento e prodotto nuove ingenti sacche di miseria anche nei paesi dell'Occidente ricco, come non si vedeva dalla fine del secondo conflitto mondiale.
La privatizzazione dell'acqua è un capitolo di questa storia. Ovunque il capitale sta cercando di mettere le mani su questo bene comune, da cui dipende la vita e la prosperità delle comunità e dei singoli, che in seguito alla crisi ecologica e ai cambiamenti climatici sta diventando una risorsa sempre più scarsa e preziosa, su cui conta dunque di realizzare sicuri ed ingenti profitti.
Da sempre l'acqua è stata considerata e trattata come un bene comune fondamentale. Fin dall'antichità la gestione dell'acqua è stata attuata in forme collettive dirette dalle comunità locali o, per vasti ambiti territoriali, dallo Stato o, più spesso in epoca moderna e contemporanea, da enti intermedi di diritto pubblico (comuni, consorzi, municipalizzate, ecc.). E' vero che ciò non ha sempre garantito efficienza ed efficacia ma ha consentito, almeno in linea di principio, che i cittadini potessero dire la loro, o almeno esercitare indirettamente una certa influenza, in una materia che li riguarda tutti in prima persona.
Ora, dove l'acqua è stata privatizzata, la situazione è drasticamente peggiorata: le tariffe sono state aumentate anche del 300% in pochi anni; i servizi sono peggiorati, perché si sono trascurati gli investimenti; l'accesso all'acqua è diventato più difficile per chi non può pagare gli elevati prezzi di mercato. Al punto che tutto ciò ha provocato vere e proprie rivolte (come a Cochabamba in Bolivia nel 2000), diffuse proteste (è il caso di molti comuni italiani dove è stata attuata la privatizzazione), ma anche la decisione di ritornare indietro, di ripubblicizzare la gestione: così ha fatto pochi mesi fa la città di Parigi, dopo 25 anni di una gestione privata fallimentare; così si apprestano a fare molte altre città francesi...
La privatizzazione in Italia
Invece in Italia, portando a termine un processo a cui negli ultimi quindici anni hanno dato una mano tanto i governi di centrodestra quanto i governi di centrosinistra, il governo Berlusconi ha stabilito, con la legge 166/2009 (approvata col voto di fiducia e senza dibattito parlamentare, che ha convertito il decreto 135 del luglio 2009, che a sua volta modificava l'art. 23 bis della legge 133/2008) l'obbligo di privatizzare i servizi pubblici locali (rifiuti, acqua, trasporti...) entro il 31 dicembre 2011. Così, dal 1 gennaio 2012, servizi fondamentali per la vita delle collettività e dei singoli come i servizi idrici – costruiti a volte nel corso dei decenni dalle comunità locali con molti sacrifici e spesso gestiti dalla mano pubblica in modo efficiente ed economico – saranno consegnate nelle mani di società private controllate da multinazionali estere, a cui, per sovrappiù, sarà garantito per legge un profitto del 7%, addirittura senza alcun vincolo in materia di investimenti e di miglioramento del servizio!
Con queste norme l'acqua diventa una merce come tutte le altre, soggetta alla speculazione e al profitto. Ciò significa che tutti quanti noi siamo espropriati di un nostre bene comune; siamo trasformati da cittadini-padroni in clienti-dipendenti; le comunità perdono il controllo su una risorsa vitale da cui dipende la loro vita e il loro benessere e per il cui accesso dipenderanno d'ora in poi dal prezzo che i boss di una qualche multinazionale lontana decideranno di stabilire in base a mere convenienze economiche.
Tutto questo è inaccettabile per ragioni etiche e sociali, oltre che per ragioni economiche e politiche. L'acqua non può essere trattata come una merce, deve restare un bene comune e un diritto universale.
La campagna referendaria è un'occasione per dire "basta!"
I tre referendum promossi da un larghissimo fronte di associazioni e soggetti di vario orientamento politico e ideale in nome della difesa dell'acqua bene comune e pubblico, sono il punto di arrivo di una mobilitazione cresciuta negli ultimi anni e che ha visto il 20 marzo scorso in piazza a Roma la sua rappresentazione anche fisica.
Sono l'occasione per dire "basta!" e per cercare di invertire questa deriva: "basta!" alla privatizzazione dell'acqua e dei beni comuni; "basta!" a questa progressiva espropriazione del controllo sulle proprie condizioni di esistenza dei singoli e delle comunità locali; "basta!" alla speculazione sui bisogni vitali delle persone; "basta!" alla cancellazione dei diritti universali in nome del mercato e del profitto; ma anche "basta!" all'acquiescenza di larga parte dell'opinione pubblica e soprattutto del ceto politico anche della sinistra e ambientalista verso le politiche dettate dal capitale e all'ideologia che la giustifica.
E' un primo tentativo di costruire una controffensiva e una battaglia generale su un terreno concreto di grande portata e di grande valenza simbolica.
I contenuti e il senso della battaglia referendaria
I quesiti dei tre referendum hanno il merito politico (del merito tecnico non sono così sicuro) di porre con chiarezza questioni di ampia portata:
- il 1° referendum chiede di abrogare le norme modificate dalla legge 166/2009 che obbligano a privatizzare i servizi pubblici locali: si firma per fermare la privatizzazione dell'acqua;
- il 2° referendum chiede di abrogare le norme del decreto legislativo 152/2006 ("Norme in materia ambientale") che obbligano ad affidare l'acqua a società di capitale: si firma per consentire la ripubblicizzazione dell'acqua, fondata su una vera gestione democratica sotto il controllo dei lavoratori e degli utenti;
- il 3° referendum chiede di abrogare la norma del decreto legislativo 152/2006 ("Norme in materia ambientale") che stabilisce un profitto garantito sul capitale; si firma per dire che l'acqua non è una merce su cui fare profitto, ma un bisogno e un diritto!
Al di là del merito dei tre quesiti, la battaglia dell'acqua deve a mio parere avere questa posta il gioco:
- il riconoscimento dell'acqua come diritto universale incondizionato;
- un concreto miglioramento del servizio offerto ai cittadini, un coerente impegno contro l'inquinamento e gli sprechi, la difesa e l'uso razionale di tutte le risorse idriche (fonti, acque di superficie, falde freatiche...), risorse scarse e di fondamentale valore ecologico;
- l'affermazione di un modello di economia sottratta al profitto, in cui contino i bisogni e i diritti delle persone e delle comunità e il rispetto delle compatibilità ambientali;
- nuove forme di gestione pubblica, sottratte alle clientele e alla corruzione, fondate per quanto possibile su organismi di democrazia non delegata, sottoposti al controllo dei lavoratori, degli utenti e delle comunità locali.
Più in generale, è importante sostenere, diffondere e difendere la battaglia referendaria perché non solo è importante conquistare e vincere i referendum e fermare la privatizzazione dell'acqua, ma è importantissimo far diventare la questione dei beni comuni un tema politico per milioni di lavoratori e di cittadini; per porre al centro dell'attenzione generale i temi del fallimento delle privatizzazioni e del mercato; per proporre l'esigenza di conquistare nuove forme di gestione della cosa pubblica sottratte ai "comitati d'affari" dei partiti e del capitale; per porre l'esigenza di rivendicare e di praticare il controllo dei lavoratori, degli utenti e delle comunità sulle imprese e sugli enti da cui dipende la loro esistenza.
Si tratta di porre in ultima analisi l'esigenza di costruire una svolta di civiltà per uscire dalla crisi economica, sociale ed ecologica del mondo attuale; di una diversa gestione dell'economia, in cui la produzione e la distribuzione dei beni e dei servizi fondamentali siano sottratte all'anarchia capitalistica, alla speculazione privata e alla molla del profitto e siano affidate alla proprietà comune e a una gestione collettiva, fondata sulla pianificazione democratica, sul controllo dei lavoratori, degli utenti e delle comunità, in cui comincino finalmente a contare i bisogni e i diritti delle persone, in una cornice di equilibrato rapporto con l'ambiente naturale e di consapevole preservazione del pianeta per le generazioni future.
Si tratta, in sintesi, di riproporre in concreto e in modi attuali l'alternativa che caratterizza il mondo contemporaneo, l'alternativa socialismo o barbarie.
Una battaglia di civiltà, una battaglia contro il capitalismo
di Tiziano Bagarolo
Una posta in gioco molto alta
Negli ultimi decenni l'offensiva ideologica neoliberista, tanto insidiosa quanto menzognera, ha cercato di convincere l'opinione pubblica che privato è sinonimo di efficienza e libertà di scelta mentre pubblico è sinonimo di inefficienza e clientele. Questa offensiva ideologica aveva fondamentalmente due scopi:
1) indebolire i diritti collettivi e in particolare le conquiste realizzate dal mondo del lavoro nei decenni precedenti;
2) consentire al capitale di mettere le mani sui beni comuni (acqua, territorio, risorse ambientali, cultura...) e sui servizi e le imprese gestite dal settore pubblico (istruzione, sanità, pensioni, assicurazioni, banche, energia, reti telefoniche ecc.) per consentire un rilancio dei profitti, in una fase di tendenziale sovrapproduzione nei settori tradizionali, puntando su nuovi settori garantiti dalla protezione statale.
La realtà si è incaricata di smentire la propaganda. Ovunque sono peggiorate le condizioni dei lavoratori (precarizzazione, meno diritti, meno salario...); i cittadini ridotti a “clienti” hanno sempre meno diritti e meno potere; ovunque il ricchi sono diventati più ricchi mentre i redditi di chi lavora si sono ridotti in modo sensibile; il capitalismo “liberalizzato” è precipitato nella più grave crisi dal crollo degli anni trenta; la riduzione dei diritti e delle prestazioni sociali e la crisi hanno portato a un generale impoverimento e prodotto nuove ingenti sacche di miseria anche nei paesi dell'Occidente ricco, come non si vedeva dalla fine del secondo conflitto mondiale.
La privatizzazione dell'acqua è un capitolo di questa storia. Ovunque il capitale sta cercando di mettere le mani su questo bene comune, da cui dipende la vita e la prosperità delle comunità e dei singoli, che in seguito alla crisi ecologica e ai cambiamenti climatici sta diventando una risorsa sempre più scarsa e preziosa, su cui conta dunque di realizzare sicuri ed ingenti profitti.
Da sempre l'acqua è stata considerata e trattata come un bene comune fondamentale. Fin dall'antichità la gestione dell'acqua è stata attuata in forme collettive dirette dalle comunità locali o, per vasti ambiti territoriali, dallo Stato o, più spesso in epoca moderna e contemporanea, da enti intermedi di diritto pubblico (comuni, consorzi, municipalizzate, ecc.). E' vero che ciò non ha sempre garantito efficienza ed efficacia ma ha consentito, almeno in linea di principio, che i cittadini potessero dire la loro, o almeno esercitare indirettamente una certa influenza, in una materia che li riguarda tutti in prima persona.
Ora, dove l'acqua è stata privatizzata, la situazione è drasticamente peggiorata: le tariffe sono state aumentate anche del 300% in pochi anni; i servizi sono peggiorati, perché si sono trascurati gli investimenti; l'accesso all'acqua è diventato più difficile per chi non può pagare gli elevati prezzi di mercato. Al punto che tutto ciò ha provocato vere e proprie rivolte (come a Cochabamba in Bolivia nel 2000), diffuse proteste (è il caso di molti comuni italiani dove è stata attuata la privatizzazione), ma anche la decisione di ritornare indietro, di ripubblicizzare la gestione: così ha fatto pochi mesi fa la città di Parigi, dopo 25 anni di una gestione privata fallimentare; così si apprestano a fare molte altre città francesi...
La privatizzazione in Italia
Invece in Italia, portando a termine un processo a cui negli ultimi quindici anni hanno dato una mano tanto i governi di centrodestra quanto i governi di centrosinistra, il governo Berlusconi ha stabilito, con la legge 166/2009 (approvata col voto di fiducia e senza dibattito parlamentare, che ha convertito il decreto 135 del luglio 2009, che a sua volta modificava l'art. 23 bis della legge 133/2008) l'obbligo di privatizzare i servizi pubblici locali (rifiuti, acqua, trasporti...) entro il 31 dicembre 2011. Così, dal 1 gennaio 2012, servizi fondamentali per la vita delle collettività e dei singoli come i servizi idrici – costruiti a volte nel corso dei decenni dalle comunità locali con molti sacrifici e spesso gestiti dalla mano pubblica in modo efficiente ed economico – saranno consegnate nelle mani di società private controllate da multinazionali estere, a cui, per sovrappiù, sarà garantito per legge un profitto del 7%, addirittura senza alcun vincolo in materia di investimenti e di miglioramento del servizio!
Con queste norme l'acqua diventa una merce come tutte le altre, soggetta alla speculazione e al profitto. Ciò significa che tutti quanti noi siamo espropriati di un nostre bene comune; siamo trasformati da cittadini-padroni in clienti-dipendenti; le comunità perdono il controllo su una risorsa vitale da cui dipende la loro vita e il loro benessere e per il cui accesso dipenderanno d'ora in poi dal prezzo che i boss di una qualche multinazionale lontana decideranno di stabilire in base a mere convenienze economiche.
Tutto questo è inaccettabile per ragioni etiche e sociali, oltre che per ragioni economiche e politiche. L'acqua non può essere trattata come una merce, deve restare un bene comune e un diritto universale.
La campagna referendaria è un'occasione per dire "basta!"
I tre referendum promossi da un larghissimo fronte di associazioni e soggetti di vario orientamento politico e ideale in nome della difesa dell'acqua bene comune e pubblico, sono il punto di arrivo di una mobilitazione cresciuta negli ultimi anni e che ha visto il 20 marzo scorso in piazza a Roma la sua rappresentazione anche fisica.
Sono l'occasione per dire "basta!" e per cercare di invertire questa deriva: "basta!" alla privatizzazione dell'acqua e dei beni comuni; "basta!" a questa progressiva espropriazione del controllo sulle proprie condizioni di esistenza dei singoli e delle comunità locali; "basta!" alla speculazione sui bisogni vitali delle persone; "basta!" alla cancellazione dei diritti universali in nome del mercato e del profitto; ma anche "basta!" all'acquiescenza di larga parte dell'opinione pubblica e soprattutto del ceto politico anche della sinistra e ambientalista verso le politiche dettate dal capitale e all'ideologia che la giustifica.
E' un primo tentativo di costruire una controffensiva e una battaglia generale su un terreno concreto di grande portata e di grande valenza simbolica.
I contenuti e il senso della battaglia referendaria
I quesiti dei tre referendum hanno il merito politico (del merito tecnico non sono così sicuro) di porre con chiarezza questioni di ampia portata:
- il 1° referendum chiede di abrogare le norme modificate dalla legge 166/2009 che obbligano a privatizzare i servizi pubblici locali: si firma per fermare la privatizzazione dell'acqua;
- il 2° referendum chiede di abrogare le norme del decreto legislativo 152/2006 ("Norme in materia ambientale") che obbligano ad affidare l'acqua a società di capitale: si firma per consentire la ripubblicizzazione dell'acqua, fondata su una vera gestione democratica sotto il controllo dei lavoratori e degli utenti;
- il 3° referendum chiede di abrogare la norma del decreto legislativo 152/2006 ("Norme in materia ambientale") che stabilisce un profitto garantito sul capitale; si firma per dire che l'acqua non è una merce su cui fare profitto, ma un bisogno e un diritto!
Al di là del merito dei tre quesiti, la battaglia dell'acqua deve a mio parere avere questa posta il gioco:
- il riconoscimento dell'acqua come diritto universale incondizionato;
- un concreto miglioramento del servizio offerto ai cittadini, un coerente impegno contro l'inquinamento e gli sprechi, la difesa e l'uso razionale di tutte le risorse idriche (fonti, acque di superficie, falde freatiche...), risorse scarse e di fondamentale valore ecologico;
- l'affermazione di un modello di economia sottratta al profitto, in cui contino i bisogni e i diritti delle persone e delle comunità e il rispetto delle compatibilità ambientali;
- nuove forme di gestione pubblica, sottratte alle clientele e alla corruzione, fondate per quanto possibile su organismi di democrazia non delegata, sottoposti al controllo dei lavoratori, degli utenti e delle comunità locali.
Più in generale, è importante sostenere, diffondere e difendere la battaglia referendaria perché non solo è importante conquistare e vincere i referendum e fermare la privatizzazione dell'acqua, ma è importantissimo far diventare la questione dei beni comuni un tema politico per milioni di lavoratori e di cittadini; per porre al centro dell'attenzione generale i temi del fallimento delle privatizzazioni e del mercato; per proporre l'esigenza di conquistare nuove forme di gestione della cosa pubblica sottratte ai "comitati d'affari" dei partiti e del capitale; per porre l'esigenza di rivendicare e di praticare il controllo dei lavoratori, degli utenti e delle comunità sulle imprese e sugli enti da cui dipende la loro esistenza.
Si tratta di porre in ultima analisi l'esigenza di costruire una svolta di civiltà per uscire dalla crisi economica, sociale ed ecologica del mondo attuale; di una diversa gestione dell'economia, in cui la produzione e la distribuzione dei beni e dei servizi fondamentali siano sottratte all'anarchia capitalistica, alla speculazione privata e alla molla del profitto e siano affidate alla proprietà comune e a una gestione collettiva, fondata sulla pianificazione democratica, sul controllo dei lavoratori, degli utenti e delle comunità, in cui comincino finalmente a contare i bisogni e i diritti delle persone, in una cornice di equilibrato rapporto con l'ambiente naturale e di consapevole preservazione del pianeta per le generazioni future.
Si tratta, in sintesi, di riproporre in concreto e in modi attuali l'alternativa che caratterizza il mondo contemporaneo, l'alternativa socialismo o barbarie.
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