Finirà anche stavolta. Ma la tempesta non passa da sola
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/finira-anche-stavolta-finira/2140553
di Giorgio Bocca - Fonte: medioevosociale.
Chi spera che finisca l'era della politica al servizio dei giochi del sultano può essere ottimista. A patto di impegnarsi. Perché la libertà non è un regalo ma una conquista
25 aprile, partigiani
Finirà questa discesa nel vuoto, questa disgregazione del paese Italia, civile e fisica? In quest'autunno di pioggia senza fine gli italiani guardano in televisione il loro "bel paese ch'Appennin parte, e 'l mar circonda et l'Alpe" disfarsi in frane e smottamenti, lo "sfascio pendulo" che si consuma, che vien giù con le sue case e le sue chiese millenarie, i superstiti che indicano ai cronisti la linea bianca della frana e raccontano storie di parenti, di amici scomparsi sotto il fiume di fango.
Finirà questo imbarbarimento della politica ridotta ai giochi e alla volgarità di un sultano che l'ha sostituita, coperta con la sua ossessiva fame di potere, di ricchezza e di protagonismo?
Finirà, finirà anche questa volta: chi ha conosciuto la caduta del fascismo e il ritorno alla democrazia e gli anni dei miracoli economici e politici sa che finirà, che si troveranno sempre i mille di Garibaldi o della guerra partigiana, le minoranze capaci di riunire il Paese o di combattere gli invasori, capaci di rovesciare gli opportunismi millenari, di chiedere al signore della storia di dargli tempo, dopo l'8 settembre del '43, di pagare il ritorno alla libertà, non di averlo in regalo.
Una cosa va detta: nessuno, neanche il più pessimista, pensava che saremmo finiti così in basso, che il sultano brianzolo sarebbe arrivato al pubblico dileggio della democrazia, all'esortazione a "non leggere giornali", a garantire i segreti dei potenti.
C'è chi ha detto del sultano: la sua eccellenza politica consiste in questo: ha fatto degli italiani suoi complici, che riconoscono nei suoi difetti i loro difetti, la loro furbizia, il loro gallismo, i loro piaceri plebei, la loro voglia di harem, il loro squadrismo. L'ha fatto perché è fatto così o per calcolo sottile, perché conosce se stesso e il suo prossimo, perché sa che il male è più divertente del bene. Di certo le ultime sortite contro l'informazione, contro la giustizia, contro lo Stato, contro la democrazia erano mirate all'eterno qualunquismo italico, e così l'esibizionismo dei suoi piaceri volgari a misura piccolo borghese, le feste che piacciono al generone, coca e puttane, ville nei Caraibi, in Sardegna e sul lago Maggiore. E su tutto l'attivismo incessante, il "faso tuto mi", anche l'amor del prossimo, la protezione delle minorenni ladruncole.
Finirà, anche stavolta finirà.
Non lo dico per una vana patriottica speranza, ma perché so che può accadere, che è già accaduto, nel settembre del '43 quando i mille che diedero il via alla guerra partigiana salirono in montagna. Il pensiero affliggente e paradossale di quella minoranza era: non sarà troppo tardi? Gli alleati angloamericani padroni del mare e del cielo non sbarcheranno in Liguria come sono sbarcati in Sicilia? Quanti giorni ci rimarranno per meritarci sul campo il ritorno alla democrazia e alla libertà? Sì, a dirlo può sembrare retorico, ma la guerra che continuava, la lenta risalita dei liberatori dalla Sicilia alla Pianura padana furono per la Resistenza un sollievo: inspiegabilmente la strategia dei vincitori ci concedeva il tempo per il nostro esame di riparazione, avremmo avuto il tempo di formare un esercito di popolo, il Corpo volontari della libertà come fu chiamato.
Anche allora gli attendisti, i prudenti, quelli di buon senso pensavano che fosse meglio aspettare che la tempesta passasse da sola, "chinati giunco che il maltempo se ne andrà". Ma avevano ragione i mille, la libertà la si conquista, non la si riceve in regalo.
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/finira-anche-stavolta-finira/2140553
di Giorgio Bocca - Fonte: medioevosociale.
Chi spera che finisca l'era della politica al servizio dei giochi del sultano può essere ottimista. A patto di impegnarsi. Perché la libertà non è un regalo ma una conquista
25 aprile, partigiani
Finirà questa discesa nel vuoto, questa disgregazione del paese Italia, civile e fisica? In quest'autunno di pioggia senza fine gli italiani guardano in televisione il loro "bel paese ch'Appennin parte, e 'l mar circonda et l'Alpe" disfarsi in frane e smottamenti, lo "sfascio pendulo" che si consuma, che vien giù con le sue case e le sue chiese millenarie, i superstiti che indicano ai cronisti la linea bianca della frana e raccontano storie di parenti, di amici scomparsi sotto il fiume di fango.
Finirà questo imbarbarimento della politica ridotta ai giochi e alla volgarità di un sultano che l'ha sostituita, coperta con la sua ossessiva fame di potere, di ricchezza e di protagonismo?
Finirà, finirà anche questa volta: chi ha conosciuto la caduta del fascismo e il ritorno alla democrazia e gli anni dei miracoli economici e politici sa che finirà, che si troveranno sempre i mille di Garibaldi o della guerra partigiana, le minoranze capaci di riunire il Paese o di combattere gli invasori, capaci di rovesciare gli opportunismi millenari, di chiedere al signore della storia di dargli tempo, dopo l'8 settembre del '43, di pagare il ritorno alla libertà, non di averlo in regalo.
Una cosa va detta: nessuno, neanche il più pessimista, pensava che saremmo finiti così in basso, che il sultano brianzolo sarebbe arrivato al pubblico dileggio della democrazia, all'esortazione a "non leggere giornali", a garantire i segreti dei potenti.
C'è chi ha detto del sultano: la sua eccellenza politica consiste in questo: ha fatto degli italiani suoi complici, che riconoscono nei suoi difetti i loro difetti, la loro furbizia, il loro gallismo, i loro piaceri plebei, la loro voglia di harem, il loro squadrismo. L'ha fatto perché è fatto così o per calcolo sottile, perché conosce se stesso e il suo prossimo, perché sa che il male è più divertente del bene. Di certo le ultime sortite contro l'informazione, contro la giustizia, contro lo Stato, contro la democrazia erano mirate all'eterno qualunquismo italico, e così l'esibizionismo dei suoi piaceri volgari a misura piccolo borghese, le feste che piacciono al generone, coca e puttane, ville nei Caraibi, in Sardegna e sul lago Maggiore. E su tutto l'attivismo incessante, il "faso tuto mi", anche l'amor del prossimo, la protezione delle minorenni ladruncole.
Finirà, anche stavolta finirà.
Non lo dico per una vana patriottica speranza, ma perché so che può accadere, che è già accaduto, nel settembre del '43 quando i mille che diedero il via alla guerra partigiana salirono in montagna. Il pensiero affliggente e paradossale di quella minoranza era: non sarà troppo tardi? Gli alleati angloamericani padroni del mare e del cielo non sbarcheranno in Liguria come sono sbarcati in Sicilia? Quanti giorni ci rimarranno per meritarci sul campo il ritorno alla democrazia e alla libertà? Sì, a dirlo può sembrare retorico, ma la guerra che continuava, la lenta risalita dei liberatori dalla Sicilia alla Pianura padana furono per la Resistenza un sollievo: inspiegabilmente la strategia dei vincitori ci concedeva il tempo per il nostro esame di riparazione, avremmo avuto il tempo di formare un esercito di popolo, il Corpo volontari della libertà come fu chiamato.
Anche allora gli attendisti, i prudenti, quelli di buon senso pensavano che fosse meglio aspettare che la tempesta passasse da sola, "chinati giunco che il maltempo se ne andrà". Ma avevano ragione i mille, la libertà la si conquista, non la si riceve in regalo.
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