L'America Latina è un patrimonio per la biodiversità del pianeta e una cassaforte di risorse naturali che fanno gola a molte potenze occidentali. Oggi i due Paesi andini si propongono si rompere lo sciacallaggio del loro tesoro e si presentarsi come un nuovo modello di coesistenza civile rivolta al futuro
di Gianni Tarquini. Fonte: arcoiris
Un libro che parla di acqua, petrolio e gestione delle risorse naturali guarda al futuro prossimo del nostro pianeta indagando sugli elementi chiave che sono già oggi alla base dei conflitti e dello scontro per conservare o guadagnarsi l’egemonia. Il petrolio e il suo accaparramento restano fondamentali nello scacchiere geopolitico, con l’occidente che, lungi dall’affrancarsene, ne resta fortemente dipendente, affannandosi nell’impiego di sempre più sofisticate tecnologie e risorse per lo sfruttamento di fonti sabbiose, bitumose o in profondità marine, finora ritenute economicamente non convenienti.
Le guerre e le tensioni internazionali degli ultimi anni lo vedono sempre, sullo sfondo, come protagonista. L’acqua è il bene su cui si giocano gli scenari dei prossimi decenni e verso cui le ‘intelligence’ dei Paesi egemonici hanno già operato mappature planetarie e forme di controllo a danno delle società e dei sistemi che tradizionalmente l’uomo aveva sviluppato per gestirlo come bene comunitario e naturale. Questa raccolta di saggi e di interviste si occupa di tali problematiche (in maniera specifica con le due sostanziose ricerche di Ciervo, sulla guerra dell’acqua a Cochabamba, e Colleoni-Proaño, sull’influsso delle compagnie petrolifere nei confronti delle popolazioni amazzoniche ecuadoriane), partendo dal riscatto di due Paesi, la Bolivia e l’Ecuador, che hanno fondato la loro rinascita politica, sociale e culturale su un nuovo modello di convivenza, che si poggia sulla ritrovata vitalità e il protagonismo delle popolazioni indigene e sulla loro cultura ‘resistente’.
Dopo secoli di sottomissione sono capaci, infatti, di proporre modalità relazionali valide e alternative al sistema produttivo vigente, proprio nel momento in cui questo vive una crisi legata alla sua eccessiva espansione e, soprattutto, al rischio di rottura dell’equilibrio ambientale connesso all’accaparramento insensato delle risorse naturali. Bolivia ed Ecuador, seppur con modalità differenti, grazie ai ‘saperi’ dei popoli originari emergono oggi con tutta la loro saggezza di vicinanza alla terra che noi occidentali abbiamo perso nell’ubriacatura della modernità tecnologica e consumistica e rappresentano una punta avanzata nel nuovo corso politico latinoamericano.
L’America latina è stata storicamente, ed è tuttora, un immenso patrimonio di biodiversità, risorse naturali, fonti energetiche, ricchezze vecchie e nuove, cibo inesistente nel resto del mondo (come la patata e il pomodoro), argento, legno, rame, gas, illimitati appezzamenti di terra coltivabile, litio, petrolio e acqua. Le popolazioni originarie sono state nei secoli custodi di questo straordinario tesoro della Pachamama, la Madre Terra, e ne hanno saputo trarre le risorse necessarie alla sopravvivenza e la loro cosmovisione, preservandole, fino all’irruzione della società del consumo e della produzione con le sue imprese multinazionali, il commercio internazionale, la differenziazione di classe e la spasmodica necessità di appropriarsi di queste risorse.
Quasi inaspettatamente l’Ecuador e la Bolivia, con un’evoluzione politica che ha portato i due Stati a una rifondazione del patto di convivenza nazionale rappresentato dal varo di nuove Costituzioni, a fine del 2008 e nel 2009, si propongono di cambiare il paradigma dello sfruttamento delle loro tante ricchezze naturali e hanno già operato per modificarne il controllo e lo sfruttamento. La strada ci sembra ben segnata, ma il cammino è solo all’inizio. Restano, infatti, contraddizioni e confitti tra le politiche estrattive dei governi in carica – che puntano al riscatto nazionale e al recupero della sovranità ma perpetuano nell’utilizzo delle risorse naturali -, e il movimento indigeno, impegnato nella strenua difesa dell’ambiente e nella creazione di relazioni sociali che siano rispettose, come ha ricordato Eduardo Galeano in questo libro, della maggioranza autoctona e del pluralismo culturale, per troppi secoli tradito, e della sacralità della natura, per troppi secoli profanata.
Gli importanti cambiamenti che stanno avvenendo nei due Paesi andini, negli equilibri tra i gruppi sociali e nel rapporto con le risorse della terra per un loro maggior rispetto, comportano ripensamenti sul piano etico e sul ‘fare’ della storia che vanno oltre i due piccoli Paesi e meriterebbero una maggiore attenzione da parte degli studiosi e dei politici del mondo. Ma se la cultura egemone degli ultimi cinque secoli ha ignorato ed emarginato le culture originarie colonizzate in America latina, queste hanno saputo conservarsi, resistere e proporsi in forme sincretiche e innovative. Proprio per questo motivo il volume dedica spazio alla storia degli indigeni della Bolivia e dell’Ecuador, alle loro rivolte contro le diverse fasi della colonizzazione e ai movimenti e alle organizzazioni politiche che hanno preso forza negli ultimi decenni.
Senza conoscere le tappe fondamentali del movimento indigeno sarebbe arduo comprendere a fondo la loro vicinanza alla Madre Terra, il rispetto per la natura e la loro incomprensione verso le forme di sfruttamento a larga scala. Ed è da questa storia, dalla forza e dalla politica dei movimenti indigeni e dei nuovi governi che provengono le straordinarie proposte che hanno saputo imporsi al mondo negli ultimi mesi, quali il riconoscimento dell’accesso all’acqua come diritto umano universale e fondamentale – voluto dalla Bolivia e votato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 28 luglio 2010 con 122 voti a favore, 41 astenuti e nessuno contrario -, e l’accordo del 3 agosto 2010 tra Ecuador e UNDP, supportato da molti Stati e associazioni di tutto il pianeta e che potrebbe essere da esempio per tutti, che vede la rinuncia all’estrazione di uno dei giacimenti di petrolio più importanti del sudamerica per proteggere il parco dello Yasuní, di 950 mila ettari – all’interno della foresta amazzonica ecuadoriana -, dove vivono diverse comunità indigene e dove è presente una delle più importanti aree di biodiversità del mondo.
Il 2010, anno internazionale della biodiversità, non sarà certo ricordato per l’impegno dei Paesi più ricchi a favore della sua preservazione (il fallimento del vertice di Copenaghen per il clima e il basso profilo di Cancùn lo confermano), mentre le due iniziative di Bolivia ed Ecuador, insieme alla mobilitazione in occasione della “Conferenza mondiale dei popoli sul cambio climatico e i diritti della Madre Terra” tenutasi a Cochabamba, a dieci anni e nella stessa città della vittoria dei movimenti nella guerra dell’acqua, e da cui è scaturito il rafforzamento della proposta di un Tribunale mondiale per la Giustizia Climatica e Ambientale, rappresentano atti importanti e un’inversione di tendenza nei confronti dell’acqua, dello sfruttamento petrolifero, dell’equilibrio da mantenere verso l’ambiente e le sue risorse.
Le pagine del libro raccolgono analisi attente e osservazione della concretezza. Se a volte si avrà la sensazione di alcuni passaggi ‘militanti’ essi sono ‘militanti della realtà dei fatti’ e mai derivanti da una visione precostituita, proprio per la complessità e la dinamicità degli argomenti che abbiamo affrontato. Gli autori sono affermati studiosi delle tematiche sociali e antropologiche indigene di spessore internazionale e testimoni diretti dei fatti (Albó, Cerbino), ricercatori che hanno realizzato uno studio approfondito e sul campo sul tema che propongono (Angelucci, Ciervo, Colleoni,Martone, Tarantino) o protagonisti diretti dei fatti storici che raccontiamo (Santi, Proaño, Fernández, Rivera). Ci è sembrato utile iniziare con l’interessante intervista a Francesco Martone, membro del Tribunale Permanente dei Popoli, perché partendo dalle responsabilità di alcune transnazionali italiane ed europee nei confronti dell’ambiente e delle popolazioni autoctone, fossero da subito chiari il metodo predatorio operato dalle imprese nei confronti delle ricchezze ambientali e il tipo di relazione cui sono stati sottoposti da sempre i popoli originari della Bolivia e dell’Ecuador. La speranza è che questo libro possa contribuire alla conoscenza dei nuovi modelli di convivenza proposti dalla cultura dei popoli originari e la storia da cui provengono.
odelli che, pur contaminati da elementi e forme della cultura occidentale, cercano cammini alternativi al sistema egemonico basandosi principalmente su un nuovo approccio nel rapporto e nell’utilizzo delle risorse della natura.
(Questo testo è un brano tratto dal libro La guerra dell’acqua e del petrolio – Bolivia ed Ecuador tra risorse e sfruttamento a cura di Gianni Tarquini con prefazione di Fausto Bertinotti e Patrizia Sentinelli, Edilet, maggio 2011)
di Gianni Tarquini. Fonte: arcoiris
Un libro che parla di acqua, petrolio e gestione delle risorse naturali guarda al futuro prossimo del nostro pianeta indagando sugli elementi chiave che sono già oggi alla base dei conflitti e dello scontro per conservare o guadagnarsi l’egemonia. Il petrolio e il suo accaparramento restano fondamentali nello scacchiere geopolitico, con l’occidente che, lungi dall’affrancarsene, ne resta fortemente dipendente, affannandosi nell’impiego di sempre più sofisticate tecnologie e risorse per lo sfruttamento di fonti sabbiose, bitumose o in profondità marine, finora ritenute economicamente non convenienti.
Le guerre e le tensioni internazionali degli ultimi anni lo vedono sempre, sullo sfondo, come protagonista. L’acqua è il bene su cui si giocano gli scenari dei prossimi decenni e verso cui le ‘intelligence’ dei Paesi egemonici hanno già operato mappature planetarie e forme di controllo a danno delle società e dei sistemi che tradizionalmente l’uomo aveva sviluppato per gestirlo come bene comunitario e naturale. Questa raccolta di saggi e di interviste si occupa di tali problematiche (in maniera specifica con le due sostanziose ricerche di Ciervo, sulla guerra dell’acqua a Cochabamba, e Colleoni-Proaño, sull’influsso delle compagnie petrolifere nei confronti delle popolazioni amazzoniche ecuadoriane), partendo dal riscatto di due Paesi, la Bolivia e l’Ecuador, che hanno fondato la loro rinascita politica, sociale e culturale su un nuovo modello di convivenza, che si poggia sulla ritrovata vitalità e il protagonismo delle popolazioni indigene e sulla loro cultura ‘resistente’.
Dopo secoli di sottomissione sono capaci, infatti, di proporre modalità relazionali valide e alternative al sistema produttivo vigente, proprio nel momento in cui questo vive una crisi legata alla sua eccessiva espansione e, soprattutto, al rischio di rottura dell’equilibrio ambientale connesso all’accaparramento insensato delle risorse naturali. Bolivia ed Ecuador, seppur con modalità differenti, grazie ai ‘saperi’ dei popoli originari emergono oggi con tutta la loro saggezza di vicinanza alla terra che noi occidentali abbiamo perso nell’ubriacatura della modernità tecnologica e consumistica e rappresentano una punta avanzata nel nuovo corso politico latinoamericano.
L’America latina è stata storicamente, ed è tuttora, un immenso patrimonio di biodiversità, risorse naturali, fonti energetiche, ricchezze vecchie e nuove, cibo inesistente nel resto del mondo (come la patata e il pomodoro), argento, legno, rame, gas, illimitati appezzamenti di terra coltivabile, litio, petrolio e acqua. Le popolazioni originarie sono state nei secoli custodi di questo straordinario tesoro della Pachamama, la Madre Terra, e ne hanno saputo trarre le risorse necessarie alla sopravvivenza e la loro cosmovisione, preservandole, fino all’irruzione della società del consumo e della produzione con le sue imprese multinazionali, il commercio internazionale, la differenziazione di classe e la spasmodica necessità di appropriarsi di queste risorse.
Quasi inaspettatamente l’Ecuador e la Bolivia, con un’evoluzione politica che ha portato i due Stati a una rifondazione del patto di convivenza nazionale rappresentato dal varo di nuove Costituzioni, a fine del 2008 e nel 2009, si propongono di cambiare il paradigma dello sfruttamento delle loro tante ricchezze naturali e hanno già operato per modificarne il controllo e lo sfruttamento. La strada ci sembra ben segnata, ma il cammino è solo all’inizio. Restano, infatti, contraddizioni e confitti tra le politiche estrattive dei governi in carica – che puntano al riscatto nazionale e al recupero della sovranità ma perpetuano nell’utilizzo delle risorse naturali -, e il movimento indigeno, impegnato nella strenua difesa dell’ambiente e nella creazione di relazioni sociali che siano rispettose, come ha ricordato Eduardo Galeano in questo libro, della maggioranza autoctona e del pluralismo culturale, per troppi secoli tradito, e della sacralità della natura, per troppi secoli profanata.
Gli importanti cambiamenti che stanno avvenendo nei due Paesi andini, negli equilibri tra i gruppi sociali e nel rapporto con le risorse della terra per un loro maggior rispetto, comportano ripensamenti sul piano etico e sul ‘fare’ della storia che vanno oltre i due piccoli Paesi e meriterebbero una maggiore attenzione da parte degli studiosi e dei politici del mondo. Ma se la cultura egemone degli ultimi cinque secoli ha ignorato ed emarginato le culture originarie colonizzate in America latina, queste hanno saputo conservarsi, resistere e proporsi in forme sincretiche e innovative. Proprio per questo motivo il volume dedica spazio alla storia degli indigeni della Bolivia e dell’Ecuador, alle loro rivolte contro le diverse fasi della colonizzazione e ai movimenti e alle organizzazioni politiche che hanno preso forza negli ultimi decenni.
Senza conoscere le tappe fondamentali del movimento indigeno sarebbe arduo comprendere a fondo la loro vicinanza alla Madre Terra, il rispetto per la natura e la loro incomprensione verso le forme di sfruttamento a larga scala. Ed è da questa storia, dalla forza e dalla politica dei movimenti indigeni e dei nuovi governi che provengono le straordinarie proposte che hanno saputo imporsi al mondo negli ultimi mesi, quali il riconoscimento dell’accesso all’acqua come diritto umano universale e fondamentale – voluto dalla Bolivia e votato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 28 luglio 2010 con 122 voti a favore, 41 astenuti e nessuno contrario -, e l’accordo del 3 agosto 2010 tra Ecuador e UNDP, supportato da molti Stati e associazioni di tutto il pianeta e che potrebbe essere da esempio per tutti, che vede la rinuncia all’estrazione di uno dei giacimenti di petrolio più importanti del sudamerica per proteggere il parco dello Yasuní, di 950 mila ettari – all’interno della foresta amazzonica ecuadoriana -, dove vivono diverse comunità indigene e dove è presente una delle più importanti aree di biodiversità del mondo.
Il 2010, anno internazionale della biodiversità, non sarà certo ricordato per l’impegno dei Paesi più ricchi a favore della sua preservazione (il fallimento del vertice di Copenaghen per il clima e il basso profilo di Cancùn lo confermano), mentre le due iniziative di Bolivia ed Ecuador, insieme alla mobilitazione in occasione della “Conferenza mondiale dei popoli sul cambio climatico e i diritti della Madre Terra” tenutasi a Cochabamba, a dieci anni e nella stessa città della vittoria dei movimenti nella guerra dell’acqua, e da cui è scaturito il rafforzamento della proposta di un Tribunale mondiale per la Giustizia Climatica e Ambientale, rappresentano atti importanti e un’inversione di tendenza nei confronti dell’acqua, dello sfruttamento petrolifero, dell’equilibrio da mantenere verso l’ambiente e le sue risorse.
Le pagine del libro raccolgono analisi attente e osservazione della concretezza. Se a volte si avrà la sensazione di alcuni passaggi ‘militanti’ essi sono ‘militanti della realtà dei fatti’ e mai derivanti da una visione precostituita, proprio per la complessità e la dinamicità degli argomenti che abbiamo affrontato. Gli autori sono affermati studiosi delle tematiche sociali e antropologiche indigene di spessore internazionale e testimoni diretti dei fatti (Albó, Cerbino), ricercatori che hanno realizzato uno studio approfondito e sul campo sul tema che propongono (Angelucci, Ciervo, Colleoni,Martone, Tarantino) o protagonisti diretti dei fatti storici che raccontiamo (Santi, Proaño, Fernández, Rivera). Ci è sembrato utile iniziare con l’interessante intervista a Francesco Martone, membro del Tribunale Permanente dei Popoli, perché partendo dalle responsabilità di alcune transnazionali italiane ed europee nei confronti dell’ambiente e delle popolazioni autoctone, fossero da subito chiari il metodo predatorio operato dalle imprese nei confronti delle ricchezze ambientali e il tipo di relazione cui sono stati sottoposti da sempre i popoli originari della Bolivia e dell’Ecuador. La speranza è che questo libro possa contribuire alla conoscenza dei nuovi modelli di convivenza proposti dalla cultura dei popoli originari e la storia da cui provengono.
odelli che, pur contaminati da elementi e forme della cultura occidentale, cercano cammini alternativi al sistema egemonico basandosi principalmente su un nuovo approccio nel rapporto e nell’utilizzo delle risorse della natura.
(Questo testo è un brano tratto dal libro La guerra dell’acqua e del petrolio – Bolivia ed Ecuador tra risorse e sfruttamento a cura di Gianni Tarquini con prefazione di Fausto Bertinotti e Patrizia Sentinelli, Edilet, maggio 2011)
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