di Gennaro Carotenuto, sabato 4 giugno
La breve campagna referendaria sta rivelandosi particolarmente triste. Soprattutto sul merito del nucleare il cittadino che volesse farsi un’opinione senza pregiudizi, che è poi l’essenza dell’istituto referendario, si scontra più che con argomenti con una sorta di teledolore che non merita. L’ottimo Mario Lusi ha impeccabilmente commentato la trasmissione di Anno Zero di giovedì sera. Questa, come spesso accade, è riuscita a sintetizzare l’interfaccia che la classe dirigente di destra e di sinistra offre ai cittadini, ovvero un popolo bue al quale ammannire umori e sensazioni (mai fatti o analisi) per spostare il branco dentro o fuori della stalla secondo la convenienza del momento.
L’impeto, quello che è stato inadeguatamente definito “vento del nord”, è in questo momento favorevole per quanto si suppone essere “di sinistra”. E’ una novità positiva dopo 30 anni di egemonia culturale di destra. E’ una novità fragile, che si poggia sugli umori più che sulle ragioni: no al Signor B., no alla signora M., no al nucleare. Se prima e senza Fukushima ciò non sarebbe successo, trattare l’energia nucleare da una parte come fosse l’Apocalisse di San Giovanni e dall’altra come se l’unica alternativa all’atomo fosse il medioevo, non serve a formare quello che in campo sanitario si chiama “consenso informato”.
Sì può accettare di farne una questione di vita o di morte usando il "Re degli ignoranti" Adriano Celentano? E i nuclearisti possono rispondere con personaggini come il prof. Battaglia o Chicco Testa che insultano gli italiani spergiurando che loro a Chernobyl andrebbero in vacanza?
Siamo di bocca buona in questo momento, ma un osservatore piovuto da Marte non potrebbe non interrogarsi e restare sconcertato dalla conversione sulla via di Damasco (Damasco ch’è lontana laddove Bengasi è vicina) del Partito Democratico che si è improvvisamente, strumentalmente, scoperto antinuclearista, a favore dell’acqua pubblica e perfino un po’ –orrore- giustizialista. E’ un rovesciamento opportunista che continua a raccontarci del PD come di una scatola vuota. Oggi è politicamente redditizio essere contro il nucleare o la privatizzazione dell’acqua esattamente come ieri non lo era e domani chissà. Ma si può decidere la politica energetica di un grande paese come l’Italia non sul merito ma sull’opportunità di colpire un governante sia pur pericoloso come Berlusconi?
L’umoralità opportunistica di tale riposizionamento è ben rappresentato dalla scelta degli antinuclearisti di puntare costantemente non su fatti e numeri ma sulla pietà (fino al pietismo) per le vittime di catastrofi nucleari. Lo ha fatto perfino Ignazio Marino, non onorando la propria statura. E’ una scelta al ribasso che può tenere solo perché fotografa un paese dove la cultura scientifica è ormai sconosciuta.
Se la cultura scientifica è in crisi non può non essere in crisi l’istituto referendario. Appare tristemente fallita nella sostanza –va ascritto ai bilanci del 150°- la religione civile ottocentesca del creare una cittadinanza capace di decidere. E’ fallita (ma lo diceva già Lippmann nel 1921) l’idea stessa di opinione pubblica: ondivaga, manipolabile indifferentemente in una direzione o nell’altra. In queste condizioni si imposta la linea politica sull’umore del momento, sulle emozioni, sulla pancia, sapendo che il 90% dei cittadini non è semplicemente in grado di prendere una decisione cosciente ed informata.
Così nelle posizioni antinucleariste, più che un’idea di futuro diverso, si ritrovano elementi di antimodernità che assumono tratti che vanno oltre il pregiudizio fino alla superstizione. Si preferisce oscurare, a favore di elementi emozionali, fatti e argomenti contundenti contro il nucleare stesso, che però supporrebbero ragionamenti complessi e scomodi sul modificare radicalmente questo modello di sviluppo che la società non appare in grado di sostenere e che la classe dirigente non vuole e non sa esplicitare. Il non detto, il non chiarito, e per molti il non pensato, è che l’energia nucleare è indispensabile per sostenere questo modello di sviluppo e vi si può rinunciare solo trasformando radicalmente lo stesso.
Voterò con convinzione quattro sì. Ma con gran pena.
Gennaro Carotenuto su http://www.gennarocarotenuto.it
L’impeto, quello che è stato inadeguatamente definito “vento del nord”, è in questo momento favorevole per quanto si suppone essere “di sinistra”. E’ una novità positiva dopo 30 anni di egemonia culturale di destra. E’ una novità fragile, che si poggia sugli umori più che sulle ragioni: no al Signor B., no alla signora M., no al nucleare. Se prima e senza Fukushima ciò non sarebbe successo, trattare l’energia nucleare da una parte come fosse l’Apocalisse di San Giovanni e dall’altra come se l’unica alternativa all’atomo fosse il medioevo, non serve a formare quello che in campo sanitario si chiama “consenso informato”.
Sì può accettare di farne una questione di vita o di morte usando il "Re degli ignoranti" Adriano Celentano? E i nuclearisti possono rispondere con personaggini come il prof. Battaglia o Chicco Testa che insultano gli italiani spergiurando che loro a Chernobyl andrebbero in vacanza?
Siamo di bocca buona in questo momento, ma un osservatore piovuto da Marte non potrebbe non interrogarsi e restare sconcertato dalla conversione sulla via di Damasco (Damasco ch’è lontana laddove Bengasi è vicina) del Partito Democratico che si è improvvisamente, strumentalmente, scoperto antinuclearista, a favore dell’acqua pubblica e perfino un po’ –orrore- giustizialista. E’ un rovesciamento opportunista che continua a raccontarci del PD come di una scatola vuota. Oggi è politicamente redditizio essere contro il nucleare o la privatizzazione dell’acqua esattamente come ieri non lo era e domani chissà. Ma si può decidere la politica energetica di un grande paese come l’Italia non sul merito ma sull’opportunità di colpire un governante sia pur pericoloso come Berlusconi?
L’umoralità opportunistica di tale riposizionamento è ben rappresentato dalla scelta degli antinuclearisti di puntare costantemente non su fatti e numeri ma sulla pietà (fino al pietismo) per le vittime di catastrofi nucleari. Lo ha fatto perfino Ignazio Marino, non onorando la propria statura. E’ una scelta al ribasso che può tenere solo perché fotografa un paese dove la cultura scientifica è ormai sconosciuta.
Se la cultura scientifica è in crisi non può non essere in crisi l’istituto referendario. Appare tristemente fallita nella sostanza –va ascritto ai bilanci del 150°- la religione civile ottocentesca del creare una cittadinanza capace di decidere. E’ fallita (ma lo diceva già Lippmann nel 1921) l’idea stessa di opinione pubblica: ondivaga, manipolabile indifferentemente in una direzione o nell’altra. In queste condizioni si imposta la linea politica sull’umore del momento, sulle emozioni, sulla pancia, sapendo che il 90% dei cittadini non è semplicemente in grado di prendere una decisione cosciente ed informata.
Così nelle posizioni antinucleariste, più che un’idea di futuro diverso, si ritrovano elementi di antimodernità che assumono tratti che vanno oltre il pregiudizio fino alla superstizione. Si preferisce oscurare, a favore di elementi emozionali, fatti e argomenti contundenti contro il nucleare stesso, che però supporrebbero ragionamenti complessi e scomodi sul modificare radicalmente questo modello di sviluppo che la società non appare in grado di sostenere e che la classe dirigente non vuole e non sa esplicitare. Il non detto, il non chiarito, e per molti il non pensato, è che l’energia nucleare è indispensabile per sostenere questo modello di sviluppo e vi si può rinunciare solo trasformando radicalmente lo stesso.
Voterò con convinzione quattro sì. Ma con gran pena.
Gennaro Carotenuto su http://www.gennarocarotenuto.it
Nessun commento:
Posta un commento