di Maria R. Calderoni (Liberazione del 15/07/2011) Fonte: controlacrisi
«Cari compagni, sì, compagni, perché è un nome bello e antico che non dobbiamo lasciare in disuso; deriva dal latino "cum panis", che accomuna coloro che mangiano lo stesso pane. Coloro che lo fanno condividono anche la stessa esistenza, con tutto quello che comporta: gioia, lavoro, lotta e anche sofferenze. E' molto più bello compagni che camerati come si nominano coloro che frequentano lo stesso luogo per dormire, e anche di commilitoni, che sono i compagni d'arme. Ecco, noi della Resistenza siamo compagni, perché abbiamo sì diviso il pane quando si aveva fame, ma anche insieme vissuto il pane della libertà, che è il più difficile da conquistare e mantenere. Oggi che, come diceva Primo Levi, abbiamo una casa calda e il ventre sazio, ci sembra risolto il problema dell'esistere e ci sediamo a sonnecchiare davanti alla televisione. All'erta, compagni! Non è il tempo di prendere in mano un'arma ma di non disarmare il cervello sì, e l'arma della ragione è più difficile da usare che non la violenza. Meditiamo su quello che è stato e non lasciamoci lusingare da una civiltà che propone per tutti autoveicoli sempre più belli e ragazze sempre più svestite. Altri sono i proplemi della nostra società: la pace, certo, ma anche un lavoro per tutti, la libertà di accedere allo studio, una vecchiaia serena; non solo egoisticamente per noi, ma per tutti i cittadini. Così nei principi fondamentali della nostra Costituzione nata dalla Resistenza. Vi raggiunga il mio saluto, compagni dell'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia, e Resistenza sempre. Vostro Rigoni Stern». Questa la lettera che l'autore dell'indimenticabile Il sergente nella neve ha inviato nel 2007 al convegno provinciale dell'Anpi di Treviso: pubblicata, in memoria, da Il Calendario del Popolonel numero agosto-settembre 2008 e ripresa da Sergio Romano sul Corriere della Sera(pro-memoria per Vendola). "Compagni avanti il gran partito/noi siam dei lavorator". Correva l'anno 1901. Sono i primi versi della versione in lingua italiana dell'Internazionale, la canzone scritta da Eugène Pottier nel 1871 in onore della Comune di Parigi. In Italia sarà adottato e cantato in seguito - con quella parola compagniin testa - dal movimento operaio in tutte le sue declinazioni politiche: comuniste, socialiste, socialdemocratiche, anarchiche, bakuniniane, libertarie. Da allora sempre cantato in tutto il mondo, con la sua parola "compagni" in testa. La parola che non è riuscito a "dismettere" nemmeno Achille Occhetto - persino lui - che, nell'annunciare a Rimini la fine del Pci, apre con quella che gli storici chiamano «la classica forma allocutiva tradizionale comunista»: "Compagne e compagni"... (pro-memoria per Vendola).
"Su fratelli, su compagni / su venite in fitta schiera/ sulla libera bandiera/ splende il sol dell'avvenir/ Nelle pene e nell'insulto/ci stringemmo in mutuo patto"... Primo Maggio, Inno dei lavoratori, parole di Filippo Turati, musica di Amintore Gallo, anno 1886. L'inno nasce a Milano per l'inaugurazione dello stendardo della Lega dei Figli del Lavoro. La Milano che è già una città industriale in forte sviluppo, dove però i salari degli operai sono da fame e il Fascio operaio, organo del Partito operaio, scrive: «Siamo i figli di quella classe che lavora e soffre, senza adeguati compensi, senza eque retribuzioni, sempre e dappertutto tenuta ignorante e oppressa. E tuttavia, "Su fratelli e sue compagni", la strada è terribilmente in salita, ma come ricordano i versi dell'inno "se divisi siam canaglia/stretti in fascio siam potenti"... (pro-memoria per Vendola).
"Compagno cittadino fratello partigiano/teniamoci per mano in questi giorni tristi/ di nuovo a Reggio Emilia di nuovo là in Sicilia/ son morti dei compagni per mano dei fascisti"...
Morti di Reggio Emilia. Ovidio Franchi, Lauro Farioli, Marino Serri, Afro Tondelli, Emilio Reverberi: compagni (pro-memoria per Vendola).
p.s. Ogni commento è superfluo...
«Cari compagni, sì, compagni, perché è un nome bello e antico che non dobbiamo lasciare in disuso; deriva dal latino "cum panis", che accomuna coloro che mangiano lo stesso pane. Coloro che lo fanno condividono anche la stessa esistenza, con tutto quello che comporta: gioia, lavoro, lotta e anche sofferenze. E' molto più bello compagni che camerati come si nominano coloro che frequentano lo stesso luogo per dormire, e anche di commilitoni, che sono i compagni d'arme. Ecco, noi della Resistenza siamo compagni, perché abbiamo sì diviso il pane quando si aveva fame, ma anche insieme vissuto il pane della libertà, che è il più difficile da conquistare e mantenere. Oggi che, come diceva Primo Levi, abbiamo una casa calda e il ventre sazio, ci sembra risolto il problema dell'esistere e ci sediamo a sonnecchiare davanti alla televisione. All'erta, compagni! Non è il tempo di prendere in mano un'arma ma di non disarmare il cervello sì, e l'arma della ragione è più difficile da usare che non la violenza. Meditiamo su quello che è stato e non lasciamoci lusingare da una civiltà che propone per tutti autoveicoli sempre più belli e ragazze sempre più svestite. Altri sono i proplemi della nostra società: la pace, certo, ma anche un lavoro per tutti, la libertà di accedere allo studio, una vecchiaia serena; non solo egoisticamente per noi, ma per tutti i cittadini. Così nei principi fondamentali della nostra Costituzione nata dalla Resistenza. Vi raggiunga il mio saluto, compagni dell'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia, e Resistenza sempre. Vostro Rigoni Stern». Questa la lettera che l'autore dell'indimenticabile Il sergente nella neve ha inviato nel 2007 al convegno provinciale dell'Anpi di Treviso: pubblicata, in memoria, da Il Calendario del Popolonel numero agosto-settembre 2008 e ripresa da Sergio Romano sul Corriere della Sera(pro-memoria per Vendola). "Compagni avanti il gran partito/noi siam dei lavorator". Correva l'anno 1901. Sono i primi versi della versione in lingua italiana dell'Internazionale, la canzone scritta da Eugène Pottier nel 1871 in onore della Comune di Parigi. In Italia sarà adottato e cantato in seguito - con quella parola compagniin testa - dal movimento operaio in tutte le sue declinazioni politiche: comuniste, socialiste, socialdemocratiche, anarchiche, bakuniniane, libertarie. Da allora sempre cantato in tutto il mondo, con la sua parola "compagni" in testa. La parola che non è riuscito a "dismettere" nemmeno Achille Occhetto - persino lui - che, nell'annunciare a Rimini la fine del Pci, apre con quella che gli storici chiamano «la classica forma allocutiva tradizionale comunista»: "Compagne e compagni"... (pro-memoria per Vendola).
"Su fratelli, su compagni / su venite in fitta schiera/ sulla libera bandiera/ splende il sol dell'avvenir/ Nelle pene e nell'insulto/ci stringemmo in mutuo patto"... Primo Maggio, Inno dei lavoratori, parole di Filippo Turati, musica di Amintore Gallo, anno 1886. L'inno nasce a Milano per l'inaugurazione dello stendardo della Lega dei Figli del Lavoro. La Milano che è già una città industriale in forte sviluppo, dove però i salari degli operai sono da fame e il Fascio operaio, organo del Partito operaio, scrive: «Siamo i figli di quella classe che lavora e soffre, senza adeguati compensi, senza eque retribuzioni, sempre e dappertutto tenuta ignorante e oppressa. E tuttavia, "Su fratelli e sue compagni", la strada è terribilmente in salita, ma come ricordano i versi dell'inno "se divisi siam canaglia/stretti in fascio siam potenti"... (pro-memoria per Vendola).
"Compagno cittadino fratello partigiano/teniamoci per mano in questi giorni tristi/ di nuovo a Reggio Emilia di nuovo là in Sicilia/ son morti dei compagni per mano dei fascisti"...
Morti di Reggio Emilia. Ovidio Franchi, Lauro Farioli, Marino Serri, Afro Tondelli, Emilio Reverberi: compagni (pro-memoria per Vendola).
p.s. Ogni commento è superfluo...
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