di Samir Amin. Fonte: asudnet
Le circostanze storiche create dall'implosione del capitalismo contemporaneo richiedono una sinistra radicale, così al Nord come al Sud, che sia capace di formulare un'alternativa politica al sistema esistente. Il proposito di questo articolo è mostrare perché è necessaria l'audacia e cosa questa significhi.
Perché audacia?
1. Il capitalismo contemporaneo è un capitalismo di monopoli generalizzati. Con questo voglio dire che i monopoli non sono più le isole più grandi in un mare di imprese relativamente autonome, bensì un sistema integrato che controlla assolutamente tutti i sistemi di produzione. Piccole e medie imprese, incluse le grandi corporazioni che non sono strettamente oligopoli, sono sotto il controllo di una rete che rimpiazza i monopoli. Il loro grado di autonomia si è ridotto al punto da arrivare a convertirsi in subcontraenti dei monopoli.
Questo sistema di monopoli generalizzati è prodotto da una nuova fase di centralizzazione del capitale che ha avuto luogo durante gli anni 80 e 90 nei paesi che compongono la Triade: Stati Uniti, Europa e Giappone.
I monopoli generalizzati, in questo momento, dominano l'economia mondiale. “Globalizzazione” è il nome che hanno dato all'insieme delle domande tramite le quali esercitano il proprio controllo sui sistemi produttivi della periferia del capitalismo globale (periferia intesa come il mondo al di sotto della Triade). Questo non è nient'altro che una nuova fase di imperialismo.
2. Il capitalismo dei monopoli generalizzati e globalizzati è un sistema che garantisce che questi monopoli facciano gravare le imposte sulla massa di plusvalore(trasformata in profitto) che il capitale estrae dallo sfruttamento del lavoro. Per quanto questi monopoli stiano operando nelle periferie del sistema globale, la rendita monopolica è rendita imperialista. Il processo di accumulazione capitalista – che definisce il capitalismo in tutte le sue forme storiche – è determinato dalla massimizzazione della rendita monopolica/imperialista.
Questo spostamento del centro di gravità dell'accumulazione del capitale è la fonte della continua concentrazione dell'ingresso e della ricchezza a beneficio dei monopoli, ampiamente controllata dalle oligarchie (plutocrazie) che governano i gruppi oligopolistici a spese della remunerazione del lavoro e della remunerazione del capitale non monopolico.
3. Questo mette a rischio la stessa crescita, disequilibrando la fonte di finalizzazione del sistema economico. Con questo mi riferisco al fatto che il segmento crescente del plusvalore non può essere investito nell'espansione e nell' approfondimento dei sistemi di produzione e, di conseguenza, l'investimento finanziario dello smisurato plusvalore diventa l'unica opzione per sostenere l'accumulazione sotto il controllo dei monopoli.
L'implementazione che il capitale realizza in determinati sistemi, permette alla finanziarizzazione di operare in modi diversi, generando:
(i) la subordinazione della gestione delle imprese al principio del “valore delle azioni”.
(ii) la sostituzione del sistema basato sulla capitalizzazione per la distribuzione delle pensioni (fondi pensione).
(iii) l' adozione del principio di “scambio di tasse flessibili”.
(iv) l'abbandono del principio secondo il quale le banche centrali determinano i tassi di interesse – principio di liquidità – ed il trasferimento di questa responsabilità al “mercato”.
La finanziarizzazione ha trasferito la responsabilità principale del controllo della riproduzione del sistema di accumulazione a 30 grandi banche che sono parte della Triade. Gli eufemisticamente chiamati “mercati” non sono nient'altro che i luoghi dove vengono spiegate le strategie degli attori che dominano la scena economica.
Di conseguenza, questa finanziarizzazione, che è responsabile della crescita della disuguaglianza nella distribuzione degli ingressi (ricchezza), genera lo stesso plusvalore che la sostiene. L' “investimento finanziario” (meglio detto investimento in speculazioni finanziarie) continua a crescere a grande velocità senza corrispondere alla crescita del Prodotto Interno Lordo (che attualmente si è convertito in qualcosa di fittizio) o all'investimento nella produzione reale.
La crescita esplosiva dell'investimento finanziario richiede e si alimenta dell'esistenza di debito in tutte le sue forme, specialmente il debito pubblico. Quando i governi che sono al potere dicono di perseguire la riduzione del debito, stanno deliberatamente mentendo. Per mettere in pratica la strategia di finanziarizzazione dei monopoli è necessaria la crescita del debito, una cosa che alla quale i monopoli ambiscono e non combattono, come una maniera di assorbire il proprio guadagno. Le politiche di austerità imposte per “ridurre il debito”, hanno avuto come risultato (così come ci si aspettava) l'incremento del volume dello stesso.
4. E' questo sistema – chiamato popolarmente neoliberale, il sistema del monopolio generalizzato capitalista, “globalizzato” (imperialista) e finanziarizzato (come una necessità per la sua stessa riproduzione) – che implode davanti ai nostri occhi. Questo sistema, apparentemente incapace di sconfiggere le sue contraddizioni interne, è condannato a continuare la sua selvaggia espansione.
La “crisi del sistema” è causata dal suo stesso “successo”. In effetti, la strategia utilizzata dai monopoli ha sempre prodotto i risultati desiderati: i piani di “austerità” ed i piani di riduzione sociale (in realtà anti-sociale) continuano ad essere imposti, a prescindere dalla resistenza e dalle lotte. Attualmente, l'iniziativa giace tra le mani dei monopoli (“i mercati”) e dei loro servi politici (governi subordinati alle domande del “mercato”).
5. A queste condizioni il capitale monopolico ha dichiarato apertamente la guerra ai lavoratori così come ai popoli. Questa dichiarazione è parte del progetto del “liberalismo non negoziabile”. Il capitale monopolico continuerà ad espandersi senza rallentare. La critica alla “regolazione” che spiegherò a continuazione, è basata su questo.
Non stiamo vivendo in un momento storico in cui la ricerca di un “compromesso sociale” è un’opzione possibile. Ci sono stati momenti in passato, come il compromesso sociale durante la post Guerra tra il capitale e il lavoro riferito ad uno Stato sociale democratico in occidente, il socialismo attualmente esistente nell’est ed i progetti nazionalisti e popolari nel sud, ma il momento storico attuale non è lo stesso. Il conflitto attuale si produce tra il capitale monopolico, i lavoratori e la gente che è chiamata ad arrendersi incondizionatamente. Le strategie difensive di resistenza a queste condizioni non sono efficienti e posso anche portare alla sconfitta. Nella guerra dichiarata dal capitale monopolico, i lavoratori e i popoli devono sviluppare strategie che gli permettano di passare all’offensiva.
Il periodo di guerra sociale è necessariamente accompagnato dalla proliferazione di conflitti politici internazionali e di interventi militari da parte delle forze imperialiste della Triade. La strategia di “controllo militare del pianeta” da parte delle forze armate degli USA e i suoi alleati della NATO, è, in ultima istanza, l’unico mezzo attraverso il quale i monopoli imperialisti della Triade possano continuare ad esercitare il proprio dominio sui popoli, nazioni e Stati del Sud. Davanti a questa sfida della guerra dichiarata dai monopoli, quali sono le alternative?
Prima risposta: “ regolazione dei mercati” (finanziari e di altro tipo)
La regolazione è un’iniziativa che i monopoli e i governi rivendicano. Senza dubbio questa è solo vuota retorica, creata per confondere l’opinione pubblica. Queste iniziative non possono arrestare la sfrenata corsa al beneficio finanziario, risultato della logica di accumulazione controllata dai monopoli. Sono, per tanto, una falsa alternativa.
Seconda risposta: un ritorno ai modelli post-Guerra
Queste risposte alimentano una tripla nostalgia: (i) la ricostruzione di una vera “socialdemocrazia” in Europa occidentale, (ii) la risurrezione dei “socialismi” basati sui principi che hanno governato il secolo XX (iii) il ritorno a formule di nazionalismo popolare nella periferia del Sud. Queste nostalgie portano a immaginare che sia possibile obbligare alla retrocessione il capitalismo monopolico, forzandolo a ritornare a come era negli anni 1945. Però, la storia, non permette mai ritorni al passato. Il Capitalismo deve essere affrontato così come è oggi, non come noi avremmo desiderato che fosse stato immaginandoci un blocco nella sua evoluzione. Cosa che, senza dubbio, continua a tormentare buona parte della sinistra globale.
Terza risposta: la ricerca di un consenso “umanista”
Io definisco questo devoto desiderio nel seguente modo: l’illusione che un accordo tra gli interessi in conflitto sia possibile. Alcuni ingenui movimenti ecologisti, tra gli altri, condividono questa illusione.
Quarta risposta: le illusioni del passato
Queste illusioni invocano “la specificità” e “il diritto alla differenza” senza preoccuparsi di capirne la portata ed il significato. Il passato ci ha già risposto alle domande del futuro. Questi “culturalismi” possono adottare varie forme etniche o para-religiose. Teocrazie ed etnocrazie si convertono in sostituti delle lotte sociali democratiche che vedono svuotata la propria agenda.
Quinta risposta: la priorità della “libertà personale”.
La gamma delle risposte basate su questa priorità, considerata il “valore supremo”, includono tra le proprie file i retrogradi difensori della “democrazia elettorale rappresentativa”, alla quale equiparano la democrazia stessa. La formula separa la democratizzazione della società dal progresso sociale, tollerando inoltre un’associazione di fatto con la regressione sociale per non porre a rischio e discreditare la democrazia, ridotta allo status di una tragica farsa.
Eppure, ci sono variazioni di questa posizione anche più pericolose. Mi riferisco qui ad alcuni tipici “post moderni” attuali (come Toni Negri in particolare) che immaginano che l’individuo si sia convertito già nel protagonista della storia, come se il comunismo, che permette all’individuo di emanciparsi dall’alienazione e convertirsi nel protagonista della storia, già fosse stato instaurato.
E’ chiaro che tutte le risposte che arrivano, incluse quelle della destra (come le regolazioni che non colpiscono la proprietà privata dei monopoli) hanno tuttavia una poderosa eco per una maggioranza di persone di sinistra.
6. La guerra dichiarata dal generalizzato capitalismo monopolico dell’imperialismo contemporaneo non ha niente da temere dalle false alternative che ho descritto fin qui
Cosa fare quindi?
Questo momento ci offre l’opportunità storica di andare molto più lontano; ci richiede come unica ed effettiva risposta una audace e coraggiosa radicalizzazione nella formulazione di alternative capaci di mobilitare lavoratori e popoli per mettersi all'attacco e difendersi dalla strategia di guerra dei nemici. Queste formulazioni, basate sull’analisi del capitalismo attualmente esistente, devono affrontare direttamente il futuro da costruire e tirarci fuori dalla nostalgia del passato e dalle illusioni dell’identità o del consenso.
Programmi audaci per una sinistra radicale
Organizzerò i seguenti modelli in base a tre idee centrali: (i) la socializzazione della proprietà dei monopoli (ii) la definanziarizzazione della gestione dell’economia (iii) de globalizzazione delle relazioni internazionali.
Socializzazione della proprietà dei monopoli.
L’effettività della risposta alternativa richiede necessariamente la messa in discussione del principio della proprietà privata del monopolio del capitale. La proposta di “regolare” le operazioni finanziarie, il ritorno dei mercati alla “trasparenza” per permettere che le aspettative degli agenti si convertano in “razionali” e stabiliscano i termini di un consenso di queste riforme, senza abolire la proprietà privata dei monopoli, non è che un chiaro intento di confondere un pubblico ingenuo. I monopoli sono chiamati a “gestire” riforme contro i loro stessi interessi, ignorando di fatto che perseverano 'mille e una forma' per gabbare gli obiettivi di queste riforme.
Il progetto sociale alternativo dovrebbe invertire la direzione dell’attuale ordine sociale (disordine sociale) prodotto dalle strategie dei monopoli, con il proposito di assicurare piena e stabile occupazione, garantendo salari onesti e allo stesso tempo generando la produttività del lavoro sociale. Questo obiettivo è praticamente impossibile senza l’espropriazione del potere dei monopoli.
Il “software dei teorici dell’economia” deve essere ricostruito (usando le parole di Francois Morin) così come l’assurda ed impossibile teoria economica secondo la quale le “aspettative” promuovono la democrazia perché permettono un maggiore controllo sulle decisioni economiche. L’audacia in questo momento richiede riforme radicali nell’educazione per la formazione non solo degli economisti, ma anche di coloro chiamati ad occupare il posto di gestori.
I monopoli sono corpi istituzionali che devono essere maneggiati in conformità con i principi della democrazia, in conflitto diretto con chi santifica la proprietà privata. Nonostante il termine “beni”, importato dalla parola anglosassone, sia in se stesso ambiguo perché è disconnesso dal dibattito sul significato dei conflitti sociali (il linguaggio anglosassone ignora deliberatamente la realtà delle classi sociali), il termine qui può essere utilizzato in maniera specifica per denominare i monopoli come parte dei “beni”.
L’abolizione della proprietà privata dei monopoli deve avvenire attraverso la nazionalizzazione. Questo primo passo legale è inevitabile. Però, l’ audacia implica a questo punto di andare più in là di questo passo legale per proporre la socializzazione della gestione dei monopoli nazionalizzati e la promozione delle lotte sociali democratiche articolate in questo processo.
Farò un esempio concreto che possa includersi nei piani di socializzazione.
Tanto i proprietari di terra ‘capitalisti’ (quelli dei paesi sviluppati) quanto i proprietari ‘contadini’ (principalmente del Sud) sono prigionieri sia dei monopoli che forniscono inputs e crediti, sia da quelli dai quali dipendono per i processi di trasporto e commercializzazione dei loro prodotti. Però, nessuno dei due gruppi ha un’ autonomia reale nel processo decisionale. A questo si aggiunge il fatto che la produttività raggiunta è appropriata per i monopoli che riducono i produttori allo stato di “subcontraenti”. Dinanzi a questo, qual è l’alternativa possibile?
I monopoli dovrebbero essere sostituiti con istituzioni pubbliche che lavorino in un ambito legale come parte della propria forma di governo. Queste istituzioni dovrebbero essere costituite da rappresentanti di: (i) contadini (principali interessati), (ii) unità ascendenti (produzione di inputs, banche) e discendenti (industria alimentare, catene commerciali), (iii) consumatori, (iv) autorità locali impegnate con l’ambiente e la società (scuole, ospedali, pianificazione urbana, alloggi, trasporti), (v) lo Stato (cittadini). Questi rappresentanti dovrebbero essere selezionati in base a procedimenti corrispondenti alla propria maniera di gestione sociale, come per esempio unità di produzione di inputs gestita da consigli di amministrazione formati dai lavoratori direttamente impiegati dalle relative unità , così come coloro che sono impiegati in unità di subcontratto. Queste strutture dovrebbero essere progettate in modo tale da associare la gestione del personale ad ognuno di questi livelli, così come con centri d’investigazione indipendente, e tecnologia appropriata. Potremmo addirittura concepire l'idea di una rappresentanza dei fornitori di capitale (piccoli azionisti) eredi della nazionalizzazione, se utile.
Stiamo parlando, per tanto, di approssimazioni istituzionali che sono più complesse delle riforme di autogestione o cooperative conosciute fino ad oggi. E’ necessario inventare i cammini di questo processo in modo tale da promuovere l’esercizio di una democrazia vera nella gestione dell’economia, esercizio basato su negoziazioni aperte tra tutte le parti interessate. Si richiede una formula che vincoli sistematicamente la democratizzazione della società al progresso sociale, in contrasto con la realtà del capitalismo che dissocia la democrazia, riducendola alla gestione formale della politica, con le condizioni sociali abbandonate al “mercato” dominato da ciò che il monopolio di capitale produce . Solo a quel punto potremo parlare di una vera trasparenza dei mercati, quando questi saranno regolati da forme istituzionalizzate di gestione socializzata.
L’esempio può sembrare marginale nei paesi capitalisti sviluppati dato che i piccoli proprietari di terra e contadini sono solo una piccola porzione dei lavoratori (3-7%). Senza dubbio, questo tema è centrale per il Sud, dove la popolazione rurale continuerà ad essere significativa per molto altro tempo. Qui, l’accesso alla terra, che deve essere garantito per tutti (con la maggiore equità possibile nella distribuzione) è fondamentale per avanzare con l’agricoltura contadina. Questa “agricoltura contadina” non deve essere intesa come sinonimo di “agricoltura statica” o “tradizionale e folclorica”. Il progresso necessario dell’agricoltura contadina implica una certa “modernizzazione” (nonostante il termine sia poco appropriato dato che suggerisce immediatamente la modernizzazione attraverso il capitalismo). Piu’ inputs effettivo, crediti e catene di produzione e distribuzione sono necessarie per impulsare la produttività del lavoro contadino. Le formule proposte qui hanno l’obiettivo di aumentare la modernizzazione sotto forme orientate da uno spirito “non capitalista”, ovvero, da un orizzonte socialista.
Ovviamente, l’esempio specifico scelto in questo articolo ha bisogno di essere istituzionalizzato. La nazionalizzazione/socializzazione della gestione dei monopoli nei settori dell’industria e del trasporto, banche e altre istituzioni finanziarie, devono essere immaginate con lo stesso spirito, prendendo le specificità delle loro economie e funzioni sociali per la costruzione dei consigli di amministrazione. Come è stato già segnalato, questi consigli devono includere i lavoratori della compagnia, così come i subcontraenti, rappresentanti delle industrie, banche, istituti di investigazione, consumatori e cittadini.
La nazionalizzazione/socializzazione dei monopoli ci sottolinea una necessità fondamentale come asse centrale della sfida che i lavoratori ed il popolo sotto un capitalismo contemporaneo di monopoli generalizzati devono accettare. Questo è l’unico cammino per detenere l’accumulazione per dispossesso alla quale ci sta portando la gestione dell’economia da parte dei monopoli.
De-finanziarizzazione: un mondo senza sin Wall Street
La nazionalizzazione/socializzazione dei monopoli dovrebbe abolire il principio di “valore delle azioni” imposto dalla strategia di accumulazione al servizio della rete monopolica. L’obiettivo è essenziale per qualsiasi agenda che voglia sfuggire all’anchilosamento al quale ci costringe l’attuale gestione dell’economia. L’implementazione di un processo di nazionalizzazione dissesta la gestione dell’economia. Stiamo ritornando alla famosa “eutanasia del guadagno” coniata da Keynes durante la sua epoca? Non necessariamente, e di certo, non completamente. Si può incoraggiare il risparmio, ma in base alla condizione della sua origine (risparmio dei lavoratori, affari, comunità) e le condizioni di garanzia, che siano ben definite. Il discorso di risparmio macroeconomico nella teoria economica convenzionale nasconde la pretesa di accesso esclusivo al mercato di capitale da parte dei monopoli. Il cosiddetto “guadagno generato dal mercato” non è altro che il mezzo per garantire la crescita della rendita monopolica.
Certamente, la nazionalizzazione/socializzazione dei monopoli si può anche utilizzare per le banche, o per lo meno per quelle più grandi. Ma, la socializzazione degli interventi (“politiche di credito”) ha caratteristiche specifiche che richiedono più precisione nella costruzione dei consigli di amministrazione. La nazionalizzazione nel senso più classico si riferisce unicamente alla sostituzione dei consigli di amministrazione formati da azionisti privati con altri definiti dallo Stato. Questo consentirebbe l’implementazione di politiche di credito formulate dallo Stato, il che non è poco. Ma non è sufficiente se consideriamo che la socializzazione richiede la partecipazione di azionisti sociali rilevanti nella gestione della banca. Qui la gestione delle banche da parte degli stessi lavoratori non sarebbe la cosa più adeguata. Il personale colpito sarebbe incorporato nelle decisioni riguardanti le proprie condizioni di lavoro, e poco più, dato che non sarebbe suo compito determinare le politiche di credito da implementare.
Se i consigli di amministrazione devono mediare il conflitto d’interessi tra coloro che forniscono prestiti (le banche) e coloro che li ricevono (le imprese), la formula per la composizione dei consigli di amministrazione deve essere progettata tenendo conto di quali sono queste imprese e di cosa hanno bisogno. C’è bisogno di una ristrutturazione del sistema bancario, sistema che si è convertito in qualcosa di eccessivamente centralizzato da quando il marco regolatore degli ultimi due secoli fu abbandonato nelle ultime quattro decadi. Questo è un argomento forte che giustifica la ricostruzione della specializzazione bancaria in funzione alle richieste dei beneficiari dei crediti, così come alla loro funzione economica (provvedere liquidità nel breve periodo, contribuire al finanziamento di investimento nel medio e lungo periodo).
Dovremmo quindi, per esempio, creare una “banca agricola” (o un congiunto coordinato di banche agricole) con una clientela che include non solo piccoli proprietari terrieri e contadini ma anche tutti coloro involucrati nelle differenti 'entità' agricole descritte sopra. Il consiglio di amministrazione della banca potrebbe incorporare da un lato i “bancari” (personale di banca, reclutato dal consiglio d'amministrazione),altri clienti (piccoli proprietari terrieri o contadini), e altre entità.
Possiamo immaginare anche un altro tipo di sistema articolato di banche, adattate a differenti settori industriali, dove i consigli di amministrazione potrebbero includere clienti industriali, così come centri di investigazione, tecnologia e servizi, per assicurare il controllo dell'impatto ecologico dell'industria, ed in questo mondo garantire il minimo rischio (chiaro che nessuna azione umana è completamente libera dal rischio) e vincolando un dibattito trasparente e democratico.
La definanzializzazione della gestione economica richiede due tipi di legislazione. La prima, riferita all'autorità di uno Stato sovrano che proibisca che i fondi speculativi (fondi di copertura) operino sul territorio. La seconda è in riferimento ai fondi pensione, i quali si sono convertiti attualmente nei maggiori operatori della finanziarizzazione del sistema economico. Questi fondi furono creati, in prima luogo, ovviamente, negli USA, per trasferire ai lavoratori i rischi normalmente assunti dal capitale, che costituiscono le ragioni alle quali ci si è soliti appellare per giustificare la remunerazione del capitale! Ma quest'invenzione è uno strumento ideale per le strategie di accumulazione dominate dai monopoli.
L'abolizione dei fondi pensione è necessaria per il beneficio dei sistemi redistributivi delle pensioni, i quali, per natura, richiedono un dibattito democratico per determinare le quantità ed i periodi di contribuzione così come la relazione tra le quantità delle pensioni ed i pagamenti. In una democrazia che rispetti i diritti sociali, i sistemi di pensione sono universalmente accessibili per tutti i lavoratori.
Tutti i mezzi di definanziarizzazione suggeriti fin qui' ci portano ad una conclusione ovvia: un mondo senza Wall Street, prendendo in prestito il titolo di un libro di François Morin, è possibile e preferibile.
In un mondo senza Wall Street, l'economia è comunque controllata dal mercato. Ma, per la prima volta, i mercati sono realmente trasparenti, regolati da una negoziazione democratica tra attori sociali genuini (attori che per la prima volta non sono avversari, come succede con il capitalismo). E' il “mercato” finanziario, offuscato per natura, e il carattere dei requisiti di gestione per il beneficio dei monopoli, che scompare. Potremmo persino indagare se sia utile o meno porre fine allo scambio di azioni, dato che i diritti alla proprietà (tanto nella sua forma privata come in quella sociale) saranno indirizzati diversamente. Il simbolismo, in qualsiasi caso – un mondo senza Wall Street- conserva tutto il suo potere.
Definanziarizzazione non significa in qualsiasi caso l'abolizione della politica macroeconomia ed in particolare la gestione macro del credito. Al contrario, ripristina la sua efficienza liberandola dalla sottomissione a strategie che cercano la massimizzazione del profitto dei monopoli. La restaurazione dei poteri delle banche centrali nazionali, già non più “indipendenti” ma dipendenti tanto dallo Stato quanto dai mercati e regolati dalla negoziazione democratica tra gli azionisti sociali, ci permette di formulare una politica macro di credito capace di permettere una gestione sociale dell'economia.
A livello internazionale: disconnessione
A questo punto utilizzero' il termine “disconnessione” che proposi mezzo secolo fa, un concetto che il discorso contemporaneo ha apparentemente sostituito con il sinonimo “deglobalizzazione”. Non ho mai concettualizzato la disconnessione come una forma autarchica di rifugio, ma come un cambiamento strategico delle forze interne ed esterne in risposta a richieste inevitabili di sviluppo autodeterminato. La disconnessione promuove la ricostruzione di una globalizzazione basata sulla negoziazione invece che una subordinazione agli interessi esclusivi dei monopoli imperialisti. La disconnessione rende anche possibile la riduzione delle disuguaglianze internazionali.
La disconnessione è necessaria perché senza di essa, le soluzioni esposte nelle due sezioni precedenti di questo articolo, non potranno mai essere implementate su scala globale, o nemmeno a livello regionale (per esempio in Europa). Queste soluzioni potranno cominciare a realizzarsi nel contesto degli Stati/nazioni a partire da lotte sociali e politiche, legate ad un processo di socializzazione di gestione della loro economia.
L'imperialismo, fin dopo la Seconda Guerra Mondiale, generò un forte contrasto tra centri imperialisti industrializzati e periferie dominate dove l'industria venne proibita. Le vittorie dei movimenti di liberazione nazionale iniziarono il processo di industrializzazione delle periferie, tramite l'implementazione di politiche di disconnessione necessarie per raggiungere lo sviluppo endogeno. Associati alle riforme sociali, che per quei tempi erano riforme radicali, queste disconnessioni crearono le condizioni per un eventuale “crescita” dei paesi che erano arrivati più lontani in questa direzione – ovviamente con la Cina in testa a questo blocco di paesi.
Invece l'imperialismo dell'attuale momento storico, l'imperialismo della Triade, è costretto a rinegoziare e “aggiustarsi” alle condizioni imposte da questo nuovo momento e, per tanto, a ricostruirsi su nuove basi, centrate su “vantaggi” mediante i quali si cerca di mantenere il privilegio dell'esclusività classificato secondo cinque categorie. Queste si riferiscono al controllo di:
· tecnología;
· accesso alle risorse naturali del pianeta;
.integrazione globale del sistema monetario e finanziario;
.sistemi di comunicazione e informazione;
.armi di distruzione di massa.
Attualmente, la principale forma di disconnessione è definita esattamente da questi cinque privilegi dell'imperialismo contemporaneo. I paesi emergenti sono destinati alla disconnessione di questi cinque privilegi, con diversi gradi di controllo e autodeterminazione. Mentre il risultato durante le passate due decadi di disconnessione permise l'accelerazione del suo sviluppo - in particolare attraverso lo sviluppo industriale dentro il sistema “liberale” globalizzato, ovvero “capitalista” - questo risultato ha alimentato la disillusione sulla possibilità di continuare a percorrere questo cammino emergendo come nuovi “soci capitalisti allo stesso livello”. L'intenzione di “cooptare” i più prestigiosi tra questi paesi mediante la creazione del G20 ha fomentato queste illusioni.
Con l'attuale implosione del sistema imperialista (chiamata “globalizzazione”) queste illusioni devono dissiparsi. Il conflitto tra i poteri imperialisti della Triade e i paesi emergenti è già visibile, e ci si aspetta che peggiori. Se vogliono avanzare, le società dei paesi emergenti saranno forzate ad indirizzarsi verso un modello di sviluppo autosufficiente tramite piani nazionali e tramite il rafforzamento della cooperazione Sud-sud.
L'audacia, in queste circostanze, deve includere un compromesso vigoroso e coerente fino alla fine, che vincoli le soluzioni di disconnessione richieste con lo sperato avanzamento del progresso sociale.
L'obiettivo di questa radicalizzazione implica: la democratizzazione della società; il conseguente processo sociale associato; la presa di posizione antimperialista. Un compromesso in questa direzione è possibile, non solo per le società dei paesi emergenti, ma anche per i paesi “abbandonati” o “invisibili” del Sud globale. Questi paesi sono stati ricolonizzati attraverso programmi di aggiustamento strutturale degli anni 80. Le popolazioni sono attualmente mobilitate, hanno conquistato delle vittorie (in America del Sud) o non ci sono ancora riuscite (mondo arabo) .
Audacia significa che la sinistra di queste società deve avere il coraggio necessario per misurare le sfide che affronta e appoggiare la continuazione e la radicalizzazione delle lotte necessarie attualmente in marcia.
La disconnessione del Sud prepara il cammino per la destrutturazione del sistema imperialista. Questo è particolarmente ovvio per le aree colpite dalla gestione del sistema monetario e finanziario globale, risultato dell'egemonia del dollaro.
Ma attenzione: è un illusione sperare che questo sistema venga sostituito con “un altro mondo monetario e un altro sistema finanziario” che sia più equilibrato e favorevole allo sviluppo delle periferie. Come accade solitamente, la ricerca di un “consenso” basato sulla ricostruzione internazionale e generato dall'alto è un mero desiderio in attesa che si compia un miracolo. Quello che è ora sull'agenda è la decostruzione del sistema esistente – la sua implosione – e la ricostruzione dei sistemi nazionali alternativi (per i paesi, continenti e regioni), qualcosa che comincia ad accadere in America del Sud. Audacia è avere il coraggio di avanzare con la maggiore determinazione possibile, senza preoccuparsi troppo di come reagirà l'imperialismo.
La stessa questione della disconnessione è ugualmente importante per l'Europa, che è una specie di sub-scenario di globalizzazione dominato dai monopoli. Il progetto europeo fu creato dall'esterno e costruito sistematicamente per privare la gente della capacità di esercitare il potere democratico. L'Unione Europea fu progettata come un protettorato di monopoli. Con l'implosione della zona euro, la subordinazione al profitto dei monopoli ha significato l'abolizione della democrazia, che è stata ridotta allo status di farsa e che adotta forme estreme, concentrandosi solo sulla domanda: Come reagiranno il “mercato” (ossia i monopoli) e le “agenzie di rating” (ossia, i nuovo monopoli)?Attualmente, questa è l'unica questione che sia stata posta. La reazione della gente non è una questione presa in considerazione.
E' chiaro che né qui né li esiste un' alternativa all'audacia: è necessario “disobbedire” alle regole imposte dalla “Costituzione Europea” e dalla fittizia BCE. In altre parole, non esiste altra alternativa se non quella di decostruire le istituzioni europee e la zona euro. Questo è il pre-requisito ineluttabile per l'eventuale ricostruzione di “un'altra Europa” di popoli e nazioni.
In conclusione: Audacia, più audacia, sempre audacia
In definitiva, questo è quello che intendo con “audacia”:
(i) Per la sinistra radicale delle società della Triade imperialista, la necessità di un compromesso per costruire un blocco sociale antimonopolico.
(ii) Per la sinistra radicale delle società della periferia, il compromesso di costruire un blocco sociale alternativo anti-compratore.
Ci vuole del tempo per avanzare nella costruzione di questi blocchi, però si potrebbe accelerare se la sinistra radicale si muovesse con determinazione e si compromettesse nell'avanzamento lungo il cammino verso il socialismo. E' senza dubbio necessario proporre strategie non per “uscire dalla crisi del capitalismo” ma per “uscire dal capitalismo in crisi”, come dice il titolo di uno dei miei recenti lavori.
Ci troviamo in un periodo cruciale della storia. L'unica legittimità del capitalismo è aver creato le condizioni per il passaggio al socialismo, che dobbiamo interpretare come una fase più avanzata di civilizzazione. Il capitalismo è ormai un sistema obsoleto, la sua continuità può solo portarci alla barbarie. Non è possibile un altro capitalismo. La possibilità di uno scontro di civilizzazioni è, come sempre, incerta. O la sinistra radicale trionfa tramite l'audacia delle sue stesse iniziative per elaborare obiettivi rivoluzionari, o la controrivoluzione vincerà.
Tutte le strategie della sinistra non radicale non sono di fatto strategie, ma solo aggiustamenti congiunturali agli alti e bassi di un sistema che implode. E se il potere che si vuole, come Le Guépard , è di “cambiare tutto affinché niente cambi”, e se i candidati di sinistra credono sia possibile “cambiare la vita senza toccare il potere dei monopoli”, la sinistra non radicale non arresterà il trionfo della barbarie del capitalismo. Hanno già perso la battaglia per non aver voluto affrontarlo.
Audacia è quello che manca per provocare l'autunno del capitalismo, autunno che verrà annunciato dall'implosione del sistema e dalla nascita di un autentica primavera dei popoli, una primavera possibile.
Bibliografia:
Samir Amin, Sortir de la crise du capitalisme ou sortir du capitalisme en crise ; Le temps des cerises, 2009.
Samir Amin, Ending the crisis of capitalism or ending capitalism. Pambazuka Press 2011
Samir Amin, Du capitalisme à la civilisation ; Syllepse, 2008.
Aurélien Bernier, Désobéissons à l’Union Européenne ; Les mille et une nuits, 2011.
Jacques Nikonoff, Sortir de l’euro ; Mes mille et une nuits, 2011.
François Morin, Un monde sans Wall Street ; Le seuil, 2011.
Samir Amin, economista egiziano, presidente del Foro Mondiale delle Alternative
Le circostanze storiche create dall'implosione del capitalismo contemporaneo richiedono una sinistra radicale, così al Nord come al Sud, che sia capace di formulare un'alternativa politica al sistema esistente. Il proposito di questo articolo è mostrare perché è necessaria l'audacia e cosa questa significhi.
Perché audacia?
1. Il capitalismo contemporaneo è un capitalismo di monopoli generalizzati. Con questo voglio dire che i monopoli non sono più le isole più grandi in un mare di imprese relativamente autonome, bensì un sistema integrato che controlla assolutamente tutti i sistemi di produzione. Piccole e medie imprese, incluse le grandi corporazioni che non sono strettamente oligopoli, sono sotto il controllo di una rete che rimpiazza i monopoli. Il loro grado di autonomia si è ridotto al punto da arrivare a convertirsi in subcontraenti dei monopoli.
Questo sistema di monopoli generalizzati è prodotto da una nuova fase di centralizzazione del capitale che ha avuto luogo durante gli anni 80 e 90 nei paesi che compongono la Triade: Stati Uniti, Europa e Giappone.
I monopoli generalizzati, in questo momento, dominano l'economia mondiale. “Globalizzazione” è il nome che hanno dato all'insieme delle domande tramite le quali esercitano il proprio controllo sui sistemi produttivi della periferia del capitalismo globale (periferia intesa come il mondo al di sotto della Triade). Questo non è nient'altro che una nuova fase di imperialismo.
2. Il capitalismo dei monopoli generalizzati e globalizzati è un sistema che garantisce che questi monopoli facciano gravare le imposte sulla massa di plusvalore(trasformata in profitto) che il capitale estrae dallo sfruttamento del lavoro. Per quanto questi monopoli stiano operando nelle periferie del sistema globale, la rendita monopolica è rendita imperialista. Il processo di accumulazione capitalista – che definisce il capitalismo in tutte le sue forme storiche – è determinato dalla massimizzazione della rendita monopolica/imperialista.
Questo spostamento del centro di gravità dell'accumulazione del capitale è la fonte della continua concentrazione dell'ingresso e della ricchezza a beneficio dei monopoli, ampiamente controllata dalle oligarchie (plutocrazie) che governano i gruppi oligopolistici a spese della remunerazione del lavoro e della remunerazione del capitale non monopolico.
3. Questo mette a rischio la stessa crescita, disequilibrando la fonte di finalizzazione del sistema economico. Con questo mi riferisco al fatto che il segmento crescente del plusvalore non può essere investito nell'espansione e nell' approfondimento dei sistemi di produzione e, di conseguenza, l'investimento finanziario dello smisurato plusvalore diventa l'unica opzione per sostenere l'accumulazione sotto il controllo dei monopoli.
L'implementazione che il capitale realizza in determinati sistemi, permette alla finanziarizzazione di operare in modi diversi, generando:
(i) la subordinazione della gestione delle imprese al principio del “valore delle azioni”.
(ii) la sostituzione del sistema basato sulla capitalizzazione per la distribuzione delle pensioni (fondi pensione).
(iii) l' adozione del principio di “scambio di tasse flessibili”.
(iv) l'abbandono del principio secondo il quale le banche centrali determinano i tassi di interesse – principio di liquidità – ed il trasferimento di questa responsabilità al “mercato”.
La finanziarizzazione ha trasferito la responsabilità principale del controllo della riproduzione del sistema di accumulazione a 30 grandi banche che sono parte della Triade. Gli eufemisticamente chiamati “mercati” non sono nient'altro che i luoghi dove vengono spiegate le strategie degli attori che dominano la scena economica.
Di conseguenza, questa finanziarizzazione, che è responsabile della crescita della disuguaglianza nella distribuzione degli ingressi (ricchezza), genera lo stesso plusvalore che la sostiene. L' “investimento finanziario” (meglio detto investimento in speculazioni finanziarie) continua a crescere a grande velocità senza corrispondere alla crescita del Prodotto Interno Lordo (che attualmente si è convertito in qualcosa di fittizio) o all'investimento nella produzione reale.
La crescita esplosiva dell'investimento finanziario richiede e si alimenta dell'esistenza di debito in tutte le sue forme, specialmente il debito pubblico. Quando i governi che sono al potere dicono di perseguire la riduzione del debito, stanno deliberatamente mentendo. Per mettere in pratica la strategia di finanziarizzazione dei monopoli è necessaria la crescita del debito, una cosa che alla quale i monopoli ambiscono e non combattono, come una maniera di assorbire il proprio guadagno. Le politiche di austerità imposte per “ridurre il debito”, hanno avuto come risultato (così come ci si aspettava) l'incremento del volume dello stesso.
4. E' questo sistema – chiamato popolarmente neoliberale, il sistema del monopolio generalizzato capitalista, “globalizzato” (imperialista) e finanziarizzato (come una necessità per la sua stessa riproduzione) – che implode davanti ai nostri occhi. Questo sistema, apparentemente incapace di sconfiggere le sue contraddizioni interne, è condannato a continuare la sua selvaggia espansione.
La “crisi del sistema” è causata dal suo stesso “successo”. In effetti, la strategia utilizzata dai monopoli ha sempre prodotto i risultati desiderati: i piani di “austerità” ed i piani di riduzione sociale (in realtà anti-sociale) continuano ad essere imposti, a prescindere dalla resistenza e dalle lotte. Attualmente, l'iniziativa giace tra le mani dei monopoli (“i mercati”) e dei loro servi politici (governi subordinati alle domande del “mercato”).
5. A queste condizioni il capitale monopolico ha dichiarato apertamente la guerra ai lavoratori così come ai popoli. Questa dichiarazione è parte del progetto del “liberalismo non negoziabile”. Il capitale monopolico continuerà ad espandersi senza rallentare. La critica alla “regolazione” che spiegherò a continuazione, è basata su questo.
Non stiamo vivendo in un momento storico in cui la ricerca di un “compromesso sociale” è un’opzione possibile. Ci sono stati momenti in passato, come il compromesso sociale durante la post Guerra tra il capitale e il lavoro riferito ad uno Stato sociale democratico in occidente, il socialismo attualmente esistente nell’est ed i progetti nazionalisti e popolari nel sud, ma il momento storico attuale non è lo stesso. Il conflitto attuale si produce tra il capitale monopolico, i lavoratori e la gente che è chiamata ad arrendersi incondizionatamente. Le strategie difensive di resistenza a queste condizioni non sono efficienti e posso anche portare alla sconfitta. Nella guerra dichiarata dal capitale monopolico, i lavoratori e i popoli devono sviluppare strategie che gli permettano di passare all’offensiva.
Il periodo di guerra sociale è necessariamente accompagnato dalla proliferazione di conflitti politici internazionali e di interventi militari da parte delle forze imperialiste della Triade. La strategia di “controllo militare del pianeta” da parte delle forze armate degli USA e i suoi alleati della NATO, è, in ultima istanza, l’unico mezzo attraverso il quale i monopoli imperialisti della Triade possano continuare ad esercitare il proprio dominio sui popoli, nazioni e Stati del Sud. Davanti a questa sfida della guerra dichiarata dai monopoli, quali sono le alternative?
Prima risposta: “ regolazione dei mercati” (finanziari e di altro tipo)
La regolazione è un’iniziativa che i monopoli e i governi rivendicano. Senza dubbio questa è solo vuota retorica, creata per confondere l’opinione pubblica. Queste iniziative non possono arrestare la sfrenata corsa al beneficio finanziario, risultato della logica di accumulazione controllata dai monopoli. Sono, per tanto, una falsa alternativa.
Seconda risposta: un ritorno ai modelli post-Guerra
Queste risposte alimentano una tripla nostalgia: (i) la ricostruzione di una vera “socialdemocrazia” in Europa occidentale, (ii) la risurrezione dei “socialismi” basati sui principi che hanno governato il secolo XX (iii) il ritorno a formule di nazionalismo popolare nella periferia del Sud. Queste nostalgie portano a immaginare che sia possibile obbligare alla retrocessione il capitalismo monopolico, forzandolo a ritornare a come era negli anni 1945. Però, la storia, non permette mai ritorni al passato. Il Capitalismo deve essere affrontato così come è oggi, non come noi avremmo desiderato che fosse stato immaginandoci un blocco nella sua evoluzione. Cosa che, senza dubbio, continua a tormentare buona parte della sinistra globale.
Terza risposta: la ricerca di un consenso “umanista”
Io definisco questo devoto desiderio nel seguente modo: l’illusione che un accordo tra gli interessi in conflitto sia possibile. Alcuni ingenui movimenti ecologisti, tra gli altri, condividono questa illusione.
Quarta risposta: le illusioni del passato
Queste illusioni invocano “la specificità” e “il diritto alla differenza” senza preoccuparsi di capirne la portata ed il significato. Il passato ci ha già risposto alle domande del futuro. Questi “culturalismi” possono adottare varie forme etniche o para-religiose. Teocrazie ed etnocrazie si convertono in sostituti delle lotte sociali democratiche che vedono svuotata la propria agenda.
Quinta risposta: la priorità della “libertà personale”.
La gamma delle risposte basate su questa priorità, considerata il “valore supremo”, includono tra le proprie file i retrogradi difensori della “democrazia elettorale rappresentativa”, alla quale equiparano la democrazia stessa. La formula separa la democratizzazione della società dal progresso sociale, tollerando inoltre un’associazione di fatto con la regressione sociale per non porre a rischio e discreditare la democrazia, ridotta allo status di una tragica farsa.
Eppure, ci sono variazioni di questa posizione anche più pericolose. Mi riferisco qui ad alcuni tipici “post moderni” attuali (come Toni Negri in particolare) che immaginano che l’individuo si sia convertito già nel protagonista della storia, come se il comunismo, che permette all’individuo di emanciparsi dall’alienazione e convertirsi nel protagonista della storia, già fosse stato instaurato.
E’ chiaro che tutte le risposte che arrivano, incluse quelle della destra (come le regolazioni che non colpiscono la proprietà privata dei monopoli) hanno tuttavia una poderosa eco per una maggioranza di persone di sinistra.
6. La guerra dichiarata dal generalizzato capitalismo monopolico dell’imperialismo contemporaneo non ha niente da temere dalle false alternative che ho descritto fin qui
Cosa fare quindi?
Questo momento ci offre l’opportunità storica di andare molto più lontano; ci richiede come unica ed effettiva risposta una audace e coraggiosa radicalizzazione nella formulazione di alternative capaci di mobilitare lavoratori e popoli per mettersi all'attacco e difendersi dalla strategia di guerra dei nemici. Queste formulazioni, basate sull’analisi del capitalismo attualmente esistente, devono affrontare direttamente il futuro da costruire e tirarci fuori dalla nostalgia del passato e dalle illusioni dell’identità o del consenso.
Programmi audaci per una sinistra radicale
Organizzerò i seguenti modelli in base a tre idee centrali: (i) la socializzazione della proprietà dei monopoli (ii) la definanziarizzazione della gestione dell’economia (iii) de globalizzazione delle relazioni internazionali.
Socializzazione della proprietà dei monopoli.
L’effettività della risposta alternativa richiede necessariamente la messa in discussione del principio della proprietà privata del monopolio del capitale. La proposta di “regolare” le operazioni finanziarie, il ritorno dei mercati alla “trasparenza” per permettere che le aspettative degli agenti si convertano in “razionali” e stabiliscano i termini di un consenso di queste riforme, senza abolire la proprietà privata dei monopoli, non è che un chiaro intento di confondere un pubblico ingenuo. I monopoli sono chiamati a “gestire” riforme contro i loro stessi interessi, ignorando di fatto che perseverano 'mille e una forma' per gabbare gli obiettivi di queste riforme.
Il progetto sociale alternativo dovrebbe invertire la direzione dell’attuale ordine sociale (disordine sociale) prodotto dalle strategie dei monopoli, con il proposito di assicurare piena e stabile occupazione, garantendo salari onesti e allo stesso tempo generando la produttività del lavoro sociale. Questo obiettivo è praticamente impossibile senza l’espropriazione del potere dei monopoli.
Il “software dei teorici dell’economia” deve essere ricostruito (usando le parole di Francois Morin) così come l’assurda ed impossibile teoria economica secondo la quale le “aspettative” promuovono la democrazia perché permettono un maggiore controllo sulle decisioni economiche. L’audacia in questo momento richiede riforme radicali nell’educazione per la formazione non solo degli economisti, ma anche di coloro chiamati ad occupare il posto di gestori.
I monopoli sono corpi istituzionali che devono essere maneggiati in conformità con i principi della democrazia, in conflitto diretto con chi santifica la proprietà privata. Nonostante il termine “beni”, importato dalla parola anglosassone, sia in se stesso ambiguo perché è disconnesso dal dibattito sul significato dei conflitti sociali (il linguaggio anglosassone ignora deliberatamente la realtà delle classi sociali), il termine qui può essere utilizzato in maniera specifica per denominare i monopoli come parte dei “beni”.
L’abolizione della proprietà privata dei monopoli deve avvenire attraverso la nazionalizzazione. Questo primo passo legale è inevitabile. Però, l’ audacia implica a questo punto di andare più in là di questo passo legale per proporre la socializzazione della gestione dei monopoli nazionalizzati e la promozione delle lotte sociali democratiche articolate in questo processo.
Farò un esempio concreto che possa includersi nei piani di socializzazione.
Tanto i proprietari di terra ‘capitalisti’ (quelli dei paesi sviluppati) quanto i proprietari ‘contadini’ (principalmente del Sud) sono prigionieri sia dei monopoli che forniscono inputs e crediti, sia da quelli dai quali dipendono per i processi di trasporto e commercializzazione dei loro prodotti. Però, nessuno dei due gruppi ha un’ autonomia reale nel processo decisionale. A questo si aggiunge il fatto che la produttività raggiunta è appropriata per i monopoli che riducono i produttori allo stato di “subcontraenti”. Dinanzi a questo, qual è l’alternativa possibile?
I monopoli dovrebbero essere sostituiti con istituzioni pubbliche che lavorino in un ambito legale come parte della propria forma di governo. Queste istituzioni dovrebbero essere costituite da rappresentanti di: (i) contadini (principali interessati), (ii) unità ascendenti (produzione di inputs, banche) e discendenti (industria alimentare, catene commerciali), (iii) consumatori, (iv) autorità locali impegnate con l’ambiente e la società (scuole, ospedali, pianificazione urbana, alloggi, trasporti), (v) lo Stato (cittadini). Questi rappresentanti dovrebbero essere selezionati in base a procedimenti corrispondenti alla propria maniera di gestione sociale, come per esempio unità di produzione di inputs gestita da consigli di amministrazione formati dai lavoratori direttamente impiegati dalle relative unità , così come coloro che sono impiegati in unità di subcontratto. Queste strutture dovrebbero essere progettate in modo tale da associare la gestione del personale ad ognuno di questi livelli, così come con centri d’investigazione indipendente, e tecnologia appropriata. Potremmo addirittura concepire l'idea di una rappresentanza dei fornitori di capitale (piccoli azionisti) eredi della nazionalizzazione, se utile.
Stiamo parlando, per tanto, di approssimazioni istituzionali che sono più complesse delle riforme di autogestione o cooperative conosciute fino ad oggi. E’ necessario inventare i cammini di questo processo in modo tale da promuovere l’esercizio di una democrazia vera nella gestione dell’economia, esercizio basato su negoziazioni aperte tra tutte le parti interessate. Si richiede una formula che vincoli sistematicamente la democratizzazione della società al progresso sociale, in contrasto con la realtà del capitalismo che dissocia la democrazia, riducendola alla gestione formale della politica, con le condizioni sociali abbandonate al “mercato” dominato da ciò che il monopolio di capitale produce . Solo a quel punto potremo parlare di una vera trasparenza dei mercati, quando questi saranno regolati da forme istituzionalizzate di gestione socializzata.
L’esempio può sembrare marginale nei paesi capitalisti sviluppati dato che i piccoli proprietari di terra e contadini sono solo una piccola porzione dei lavoratori (3-7%). Senza dubbio, questo tema è centrale per il Sud, dove la popolazione rurale continuerà ad essere significativa per molto altro tempo. Qui, l’accesso alla terra, che deve essere garantito per tutti (con la maggiore equità possibile nella distribuzione) è fondamentale per avanzare con l’agricoltura contadina. Questa “agricoltura contadina” non deve essere intesa come sinonimo di “agricoltura statica” o “tradizionale e folclorica”. Il progresso necessario dell’agricoltura contadina implica una certa “modernizzazione” (nonostante il termine sia poco appropriato dato che suggerisce immediatamente la modernizzazione attraverso il capitalismo). Piu’ inputs effettivo, crediti e catene di produzione e distribuzione sono necessarie per impulsare la produttività del lavoro contadino. Le formule proposte qui hanno l’obiettivo di aumentare la modernizzazione sotto forme orientate da uno spirito “non capitalista”, ovvero, da un orizzonte socialista.
Ovviamente, l’esempio specifico scelto in questo articolo ha bisogno di essere istituzionalizzato. La nazionalizzazione/socializzazione della gestione dei monopoli nei settori dell’industria e del trasporto, banche e altre istituzioni finanziarie, devono essere immaginate con lo stesso spirito, prendendo le specificità delle loro economie e funzioni sociali per la costruzione dei consigli di amministrazione. Come è stato già segnalato, questi consigli devono includere i lavoratori della compagnia, così come i subcontraenti, rappresentanti delle industrie, banche, istituti di investigazione, consumatori e cittadini.
La nazionalizzazione/socializzazione dei monopoli ci sottolinea una necessità fondamentale come asse centrale della sfida che i lavoratori ed il popolo sotto un capitalismo contemporaneo di monopoli generalizzati devono accettare. Questo è l’unico cammino per detenere l’accumulazione per dispossesso alla quale ci sta portando la gestione dell’economia da parte dei monopoli.
De-finanziarizzazione: un mondo senza sin Wall Street
La nazionalizzazione/socializzazione dei monopoli dovrebbe abolire il principio di “valore delle azioni” imposto dalla strategia di accumulazione al servizio della rete monopolica. L’obiettivo è essenziale per qualsiasi agenda che voglia sfuggire all’anchilosamento al quale ci costringe l’attuale gestione dell’economia. L’implementazione di un processo di nazionalizzazione dissesta la gestione dell’economia. Stiamo ritornando alla famosa “eutanasia del guadagno” coniata da Keynes durante la sua epoca? Non necessariamente, e di certo, non completamente. Si può incoraggiare il risparmio, ma in base alla condizione della sua origine (risparmio dei lavoratori, affari, comunità) e le condizioni di garanzia, che siano ben definite. Il discorso di risparmio macroeconomico nella teoria economica convenzionale nasconde la pretesa di accesso esclusivo al mercato di capitale da parte dei monopoli. Il cosiddetto “guadagno generato dal mercato” non è altro che il mezzo per garantire la crescita della rendita monopolica.
Certamente, la nazionalizzazione/socializzazione dei monopoli si può anche utilizzare per le banche, o per lo meno per quelle più grandi. Ma, la socializzazione degli interventi (“politiche di credito”) ha caratteristiche specifiche che richiedono più precisione nella costruzione dei consigli di amministrazione. La nazionalizzazione nel senso più classico si riferisce unicamente alla sostituzione dei consigli di amministrazione formati da azionisti privati con altri definiti dallo Stato. Questo consentirebbe l’implementazione di politiche di credito formulate dallo Stato, il che non è poco. Ma non è sufficiente se consideriamo che la socializzazione richiede la partecipazione di azionisti sociali rilevanti nella gestione della banca. Qui la gestione delle banche da parte degli stessi lavoratori non sarebbe la cosa più adeguata. Il personale colpito sarebbe incorporato nelle decisioni riguardanti le proprie condizioni di lavoro, e poco più, dato che non sarebbe suo compito determinare le politiche di credito da implementare.
Se i consigli di amministrazione devono mediare il conflitto d’interessi tra coloro che forniscono prestiti (le banche) e coloro che li ricevono (le imprese), la formula per la composizione dei consigli di amministrazione deve essere progettata tenendo conto di quali sono queste imprese e di cosa hanno bisogno. C’è bisogno di una ristrutturazione del sistema bancario, sistema che si è convertito in qualcosa di eccessivamente centralizzato da quando il marco regolatore degli ultimi due secoli fu abbandonato nelle ultime quattro decadi. Questo è un argomento forte che giustifica la ricostruzione della specializzazione bancaria in funzione alle richieste dei beneficiari dei crediti, così come alla loro funzione economica (provvedere liquidità nel breve periodo, contribuire al finanziamento di investimento nel medio e lungo periodo).
Dovremmo quindi, per esempio, creare una “banca agricola” (o un congiunto coordinato di banche agricole) con una clientela che include non solo piccoli proprietari terrieri e contadini ma anche tutti coloro involucrati nelle differenti 'entità' agricole descritte sopra. Il consiglio di amministrazione della banca potrebbe incorporare da un lato i “bancari” (personale di banca, reclutato dal consiglio d'amministrazione),altri clienti (piccoli proprietari terrieri o contadini), e altre entità.
Possiamo immaginare anche un altro tipo di sistema articolato di banche, adattate a differenti settori industriali, dove i consigli di amministrazione potrebbero includere clienti industriali, così come centri di investigazione, tecnologia e servizi, per assicurare il controllo dell'impatto ecologico dell'industria, ed in questo mondo garantire il minimo rischio (chiaro che nessuna azione umana è completamente libera dal rischio) e vincolando un dibattito trasparente e democratico.
La definanzializzazione della gestione economica richiede due tipi di legislazione. La prima, riferita all'autorità di uno Stato sovrano che proibisca che i fondi speculativi (fondi di copertura) operino sul territorio. La seconda è in riferimento ai fondi pensione, i quali si sono convertiti attualmente nei maggiori operatori della finanziarizzazione del sistema economico. Questi fondi furono creati, in prima luogo, ovviamente, negli USA, per trasferire ai lavoratori i rischi normalmente assunti dal capitale, che costituiscono le ragioni alle quali ci si è soliti appellare per giustificare la remunerazione del capitale! Ma quest'invenzione è uno strumento ideale per le strategie di accumulazione dominate dai monopoli.
L'abolizione dei fondi pensione è necessaria per il beneficio dei sistemi redistributivi delle pensioni, i quali, per natura, richiedono un dibattito democratico per determinare le quantità ed i periodi di contribuzione così come la relazione tra le quantità delle pensioni ed i pagamenti. In una democrazia che rispetti i diritti sociali, i sistemi di pensione sono universalmente accessibili per tutti i lavoratori.
Tutti i mezzi di definanziarizzazione suggeriti fin qui' ci portano ad una conclusione ovvia: un mondo senza Wall Street, prendendo in prestito il titolo di un libro di François Morin, è possibile e preferibile.
In un mondo senza Wall Street, l'economia è comunque controllata dal mercato. Ma, per la prima volta, i mercati sono realmente trasparenti, regolati da una negoziazione democratica tra attori sociali genuini (attori che per la prima volta non sono avversari, come succede con il capitalismo). E' il “mercato” finanziario, offuscato per natura, e il carattere dei requisiti di gestione per il beneficio dei monopoli, che scompare. Potremmo persino indagare se sia utile o meno porre fine allo scambio di azioni, dato che i diritti alla proprietà (tanto nella sua forma privata come in quella sociale) saranno indirizzati diversamente. Il simbolismo, in qualsiasi caso – un mondo senza Wall Street- conserva tutto il suo potere.
Definanziarizzazione non significa in qualsiasi caso l'abolizione della politica macroeconomia ed in particolare la gestione macro del credito. Al contrario, ripristina la sua efficienza liberandola dalla sottomissione a strategie che cercano la massimizzazione del profitto dei monopoli. La restaurazione dei poteri delle banche centrali nazionali, già non più “indipendenti” ma dipendenti tanto dallo Stato quanto dai mercati e regolati dalla negoziazione democratica tra gli azionisti sociali, ci permette di formulare una politica macro di credito capace di permettere una gestione sociale dell'economia.
A livello internazionale: disconnessione
A questo punto utilizzero' il termine “disconnessione” che proposi mezzo secolo fa, un concetto che il discorso contemporaneo ha apparentemente sostituito con il sinonimo “deglobalizzazione”. Non ho mai concettualizzato la disconnessione come una forma autarchica di rifugio, ma come un cambiamento strategico delle forze interne ed esterne in risposta a richieste inevitabili di sviluppo autodeterminato. La disconnessione promuove la ricostruzione di una globalizzazione basata sulla negoziazione invece che una subordinazione agli interessi esclusivi dei monopoli imperialisti. La disconnessione rende anche possibile la riduzione delle disuguaglianze internazionali.
La disconnessione è necessaria perché senza di essa, le soluzioni esposte nelle due sezioni precedenti di questo articolo, non potranno mai essere implementate su scala globale, o nemmeno a livello regionale (per esempio in Europa). Queste soluzioni potranno cominciare a realizzarsi nel contesto degli Stati/nazioni a partire da lotte sociali e politiche, legate ad un processo di socializzazione di gestione della loro economia.
L'imperialismo, fin dopo la Seconda Guerra Mondiale, generò un forte contrasto tra centri imperialisti industrializzati e periferie dominate dove l'industria venne proibita. Le vittorie dei movimenti di liberazione nazionale iniziarono il processo di industrializzazione delle periferie, tramite l'implementazione di politiche di disconnessione necessarie per raggiungere lo sviluppo endogeno. Associati alle riforme sociali, che per quei tempi erano riforme radicali, queste disconnessioni crearono le condizioni per un eventuale “crescita” dei paesi che erano arrivati più lontani in questa direzione – ovviamente con la Cina in testa a questo blocco di paesi.
Invece l'imperialismo dell'attuale momento storico, l'imperialismo della Triade, è costretto a rinegoziare e “aggiustarsi” alle condizioni imposte da questo nuovo momento e, per tanto, a ricostruirsi su nuove basi, centrate su “vantaggi” mediante i quali si cerca di mantenere il privilegio dell'esclusività classificato secondo cinque categorie. Queste si riferiscono al controllo di:
· tecnología;
· accesso alle risorse naturali del pianeta;
.integrazione globale del sistema monetario e finanziario;
.sistemi di comunicazione e informazione;
.armi di distruzione di massa.
Attualmente, la principale forma di disconnessione è definita esattamente da questi cinque privilegi dell'imperialismo contemporaneo. I paesi emergenti sono destinati alla disconnessione di questi cinque privilegi, con diversi gradi di controllo e autodeterminazione. Mentre il risultato durante le passate due decadi di disconnessione permise l'accelerazione del suo sviluppo - in particolare attraverso lo sviluppo industriale dentro il sistema “liberale” globalizzato, ovvero “capitalista” - questo risultato ha alimentato la disillusione sulla possibilità di continuare a percorrere questo cammino emergendo come nuovi “soci capitalisti allo stesso livello”. L'intenzione di “cooptare” i più prestigiosi tra questi paesi mediante la creazione del G20 ha fomentato queste illusioni.
Con l'attuale implosione del sistema imperialista (chiamata “globalizzazione”) queste illusioni devono dissiparsi. Il conflitto tra i poteri imperialisti della Triade e i paesi emergenti è già visibile, e ci si aspetta che peggiori. Se vogliono avanzare, le società dei paesi emergenti saranno forzate ad indirizzarsi verso un modello di sviluppo autosufficiente tramite piani nazionali e tramite il rafforzamento della cooperazione Sud-sud.
L'audacia, in queste circostanze, deve includere un compromesso vigoroso e coerente fino alla fine, che vincoli le soluzioni di disconnessione richieste con lo sperato avanzamento del progresso sociale.
L'obiettivo di questa radicalizzazione implica: la democratizzazione della società; il conseguente processo sociale associato; la presa di posizione antimperialista. Un compromesso in questa direzione è possibile, non solo per le società dei paesi emergenti, ma anche per i paesi “abbandonati” o “invisibili” del Sud globale. Questi paesi sono stati ricolonizzati attraverso programmi di aggiustamento strutturale degli anni 80. Le popolazioni sono attualmente mobilitate, hanno conquistato delle vittorie (in America del Sud) o non ci sono ancora riuscite (mondo arabo) .
Audacia significa che la sinistra di queste società deve avere il coraggio necessario per misurare le sfide che affronta e appoggiare la continuazione e la radicalizzazione delle lotte necessarie attualmente in marcia.
La disconnessione del Sud prepara il cammino per la destrutturazione del sistema imperialista. Questo è particolarmente ovvio per le aree colpite dalla gestione del sistema monetario e finanziario globale, risultato dell'egemonia del dollaro.
Ma attenzione: è un illusione sperare che questo sistema venga sostituito con “un altro mondo monetario e un altro sistema finanziario” che sia più equilibrato e favorevole allo sviluppo delle periferie. Come accade solitamente, la ricerca di un “consenso” basato sulla ricostruzione internazionale e generato dall'alto è un mero desiderio in attesa che si compia un miracolo. Quello che è ora sull'agenda è la decostruzione del sistema esistente – la sua implosione – e la ricostruzione dei sistemi nazionali alternativi (per i paesi, continenti e regioni), qualcosa che comincia ad accadere in America del Sud. Audacia è avere il coraggio di avanzare con la maggiore determinazione possibile, senza preoccuparsi troppo di come reagirà l'imperialismo.
La stessa questione della disconnessione è ugualmente importante per l'Europa, che è una specie di sub-scenario di globalizzazione dominato dai monopoli. Il progetto europeo fu creato dall'esterno e costruito sistematicamente per privare la gente della capacità di esercitare il potere democratico. L'Unione Europea fu progettata come un protettorato di monopoli. Con l'implosione della zona euro, la subordinazione al profitto dei monopoli ha significato l'abolizione della democrazia, che è stata ridotta allo status di farsa e che adotta forme estreme, concentrandosi solo sulla domanda: Come reagiranno il “mercato” (ossia i monopoli) e le “agenzie di rating” (ossia, i nuovo monopoli)?Attualmente, questa è l'unica questione che sia stata posta. La reazione della gente non è una questione presa in considerazione.
E' chiaro che né qui né li esiste un' alternativa all'audacia: è necessario “disobbedire” alle regole imposte dalla “Costituzione Europea” e dalla fittizia BCE. In altre parole, non esiste altra alternativa se non quella di decostruire le istituzioni europee e la zona euro. Questo è il pre-requisito ineluttabile per l'eventuale ricostruzione di “un'altra Europa” di popoli e nazioni.
In conclusione: Audacia, più audacia, sempre audacia
In definitiva, questo è quello che intendo con “audacia”:
(i) Per la sinistra radicale delle società della Triade imperialista, la necessità di un compromesso per costruire un blocco sociale antimonopolico.
(ii) Per la sinistra radicale delle società della periferia, il compromesso di costruire un blocco sociale alternativo anti-compratore.
Ci vuole del tempo per avanzare nella costruzione di questi blocchi, però si potrebbe accelerare se la sinistra radicale si muovesse con determinazione e si compromettesse nell'avanzamento lungo il cammino verso il socialismo. E' senza dubbio necessario proporre strategie non per “uscire dalla crisi del capitalismo” ma per “uscire dal capitalismo in crisi”, come dice il titolo di uno dei miei recenti lavori.
Ci troviamo in un periodo cruciale della storia. L'unica legittimità del capitalismo è aver creato le condizioni per il passaggio al socialismo, che dobbiamo interpretare come una fase più avanzata di civilizzazione. Il capitalismo è ormai un sistema obsoleto, la sua continuità può solo portarci alla barbarie. Non è possibile un altro capitalismo. La possibilità di uno scontro di civilizzazioni è, come sempre, incerta. O la sinistra radicale trionfa tramite l'audacia delle sue stesse iniziative per elaborare obiettivi rivoluzionari, o la controrivoluzione vincerà.
Tutte le strategie della sinistra non radicale non sono di fatto strategie, ma solo aggiustamenti congiunturali agli alti e bassi di un sistema che implode. E se il potere che si vuole, come Le Guépard , è di “cambiare tutto affinché niente cambi”, e se i candidati di sinistra credono sia possibile “cambiare la vita senza toccare il potere dei monopoli”, la sinistra non radicale non arresterà il trionfo della barbarie del capitalismo. Hanno già perso la battaglia per non aver voluto affrontarlo.
Audacia è quello che manca per provocare l'autunno del capitalismo, autunno che verrà annunciato dall'implosione del sistema e dalla nascita di un autentica primavera dei popoli, una primavera possibile.
Bibliografia:
Samir Amin, Sortir de la crise du capitalisme ou sortir du capitalisme en crise ; Le temps des cerises, 2009.
Samir Amin, Ending the crisis of capitalism or ending capitalism. Pambazuka Press 2011
Samir Amin, Du capitalisme à la civilisation ; Syllepse, 2008.
Aurélien Bernier, Désobéissons à l’Union Européenne ; Les mille et une nuits, 2011.
Jacques Nikonoff, Sortir de l’euro ; Mes mille et une nuits, 2011.
François Morin, Un monde sans Wall Street ; Le seuil, 2011.
Samir Amin, economista egiziano, presidente del Foro Mondiale delle Alternative
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