Ο παγκοσμοποιημένος καπιταλισμός βλάπτει σοβαρά την υγεία σας.
Il capitalismo globalizzato nuoce gravemente alla salute....
.... e puo' indurre, nei soggetti piu' deboli, alterazioni della vista e dell'udito, con tendenza all'apatia e la graduale perdita di coscienza ...

(di classe) :-))

Francobolllo

Francobollo.
Sarà un caso, ma adesso che si respira nuovamente aria fetida di destra smoderata e becera la polizia torna a picchiare la gente onesta.


Europa, SVEGLIA !!

Europa, SVEGLIA !!

giovedì 12 aprile 2012

Salari: la Cina è vicina

Posted by keynesblog
Un solipsimo senza fine, quello dell’Europa. Una gara infinita tra chi la sa più lunga sulle virtù dell’ “austerity” e sulle sue improbabili proprietà espansive sulla crescita. Tanto da non accorgersi più nemmeno che “la Cina è vicina” e, soprattutto, che il destino dei paesi emergenti è (guarda un po’) quello di crescere. E anche in fretta.

Ma i dati che ci provengono dall’Estremo Oriente sono più forti di qualunque mitologia voglia ancora rappresentare quei territori come un estremo della civiltà, dove stuoli di schiavi rassegnati lavorano senza tregua per soddisfare gli insaziabili bisogni degli occidentali.
Ed è quello stesso Economist che pochi mesi fa aveva rilevato l’ascesa di un nuovo “State Capitalism”, ad aggiornarci su una realtà cinese che sta facendo passi da gigante, gettando un bel po’ di scompiglio nell’economia mondiale.
Il grande protagonista di tutta questa storia è il manifatturiero, ben lungi dall’essere morto e seppellito, ma piuttosto interprete di nuove “catene del valore” in cui il ruolo dell’innovazione è assolutamente centrale. E dove il valore dell’innovazione conta, perché significa maggiore “valore aggiunto” e di conseguenza maggiore produttività (dato che questa, correttamente, deve essere misurata in relazione al valore di ciò che si produce). E tanto conta il valore delle nuove merci cinesi, da aver innescato una forte spinta al rialzo dei salari: cifre variabili, ma tutte considerevoli: 10%, 16%, addirittura 25% in qualche area produttiva. E il malcontento degli occidentali così dilaga.

L’Economist ci rende anche noto che Joerg Wuttke, membro della camera di commercio europea in Cina, stima che entro il 2020 l’ascesa salariale potrebbe portare ad un raddoppio o persino ad una triplicazione delle attuali retribuzioni. Un’incertezza previsionale, che parla da sola quanto a testimoniare l’impetuosa progressione del fenomeno e la più che giustificata preoccupazione dei tanti occidentali che hanno modulato i propri equilibri produttivi in questo paese, calmierando le richieste salariali nelle economie di origine. Certo, la produzione può anche andare altrove, continuare nei processi di delocalizzazione non è un problema. Se non fosse che bisogna intendersi su ciò che si produce: molti produttori di magliette hanno già lasciato la Cina da tempo, mentre se si parla di high-tech la Cina è considerata assai più affidabile di molti paesi limitrofi. E poiché la domanda mondiale è sempre più “vorace” di produzioni ad alto valore aggiunto, le conclusioni si possono trarre facilmente.

Che ne sarà dunque dell’ “Europa della conoscenza” che non riuscirà più così a farsi tornare i conti? E’ ancora presto per quantificare gli effetti del “miracolo cinese”, ma è innegabile che ci saranno e si faranno sentire. Anzi, si stanno già facendo sentire, come testimonia lo spostamento di IKEA in Italia, dove i salari sono fermi al palo da un bel po’ e nulla hanno a che vedere con le progressioni che stanno conseguendo nelle regioni asiatiche.
Due sono pertanto le riflessioni che questa nuova vicenda, ancorchè al suo inizio, ci lascia: a) la Cina (e l’Asia) stanno dismettendo le “magliette” ed è su altro che si andranno giocando la divisione internazionale del lavoro e la competitività; b) il “mondo dei bassi salari” ha iniziato ad essere messo in discussione, lasciandoci dunque sperare che quella della globalizzazione sia una storia ancora da scrivere.

Articolo sull’Economist

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