di Marco Niro.
Per chi, nonostante tutto, trova ancora a sinistra – intesa nel senso fresco, aggiornato e post-ideologico ben espresso qualche settimana fa da Giulietto Chiesa – il proprio universo di riferimento politico, queste elezioni sono un vero e proprio rebus. Chi la sinistra sostiene di rappresentare, in questa tornata, ha compiuto autentici capolavori di masochismo, andando oltre il fondo che già ormai pensavamo si fosse definitivamente toccato negli anni precedenti.
A cominciare è stato Vendola, con la decisione suicida di allearsi con il Partito Democratico. A Vendola sarebbe bastato guardare alla sua sinistra e dire “uniamoci e torniamo in Parlamento”, e non avrebbe fatto fatica a porsi alla guida di una coalizione saldamente ancorata a sinistra, alternativa al PD, facilmente accreditabile di una percentuale di voti ben superiore a quell’8% necessario ad entrare in entrambi i rami del Parlamento.
Invece Vendola, ad un’opposizione libera da condizionamenti e capace di rinvigorire e cementare una sinistra italiana uscita disastrata dalle politiche del 2008, ha preferito spaccarla ulteriormente e puntare su un’alleanza innaturale col PD, che lo costringe ogni giorno che passa di questa campagna elettorale a fare i salti mortali per garantire al suo elettorato che lui con Monti non si alleerà mai (come se, del resto, essere alleati di Enrico Letta e Fioroni, invece, sia una cosa che un elettore di sinistra, oggi, possa digerire facilmente…). Dal che discende, oltre che un’emorragia di voti per SEL (oggi accreditata della metà dei consensi che i sondaggi gli assegnavano prima della decisione di “sposare” il PD), un vero e proprio enigma per un suo elettore: se vota SEL, lo fa perché vuole contribuire, da sinistra, a un’alleanza di governo, altrimenti voterebbe Rivoluzione Civile; ma che senso avrebbe allora votare SEL se, come è evidente, Bersani sarà costretto all’alleanza con Monti e Vendola a quel punto si sfilerà, come non si stanca mai di assicurare?
Lasciando gli elettori di SEL al loro enigma, passiamo appunto a Rivoluzione Civile. Ricreare la fallimentare accozzaglia elettorale che era stata la Sinistra Arcobaleno nel 2008 pareva francamente arduo. Cinque anni dopo ci si è riusciti addirittura peggiorandola, con l’innesto di un corpo estraneo, Di Pietro (che, visto da sinistra, non può che essere considerato tale), e con l’affidamento incondizionato ad un improvvisato “deus ex machina”, Ingroia, nel segno di un personalismo politico modaiolo e banale che con la sinistra dovrebbe centrare poco o nulla (pur con tutto il rispetto per Ingroia). Intendiamoci: quello di Rivoluzione Civile è un programma interessante di cui un elettore di sinistra potrebbe pure accontentarsi (ammesso che, a sinistra come a destra, esistano ancora elettori interessati ai programmi). Tuttavia, la dinamica frettolosa con cui Rivoluzione Civile è nata, che finisce con il farla apparire come una sorta di Frankenstein prematuramente partorito, rischia di annullare la bontà di qualunque programma, già poco dopo la chiusura delle urne.
L’aspetto masochistico di tutto ciò è che la nascita di Rivoluzione Civile a scopi meramente elettorali ha finito con il frenare bruscamente – se non addirittura compromettere – l’unico vero processo di costruzione democratica e dal basso in Italia di un soggetto politico di sinistra, quello che stava avvenendo all’interno di “Cambiare si può”, come dimostra la presa di distanza da Rivoluzione Civile da parte dei cosiddetti “professori” che di “Cambiare si può” sono la mente. Così, per il nostro elettore di sinistra, si ripropone con Rivoluzione Civile un altro enigma: se vota Rivoluzione Civile, lo fa perché vuole che nel prossimo Parlamento ci sia un’alternativa a sinistra della coalizione PD-SEL; ma che senso avrebbe votare Rivoluzione Civile se questo soggetto dovrà poi fare i conti con un collante elettorale destinato a venire subito meno, col rischio – molto concreto – di assistere ad un triste spettacolo di disunione interna, dal quale l’alternativa di sinistra uscirebbe del tutto indebolita, per di più col rischio che questa dinamica si ripercuota anche fuori dal Parlamento, come lascia intendere quanto già avvenuto nell’ambito di “Cambiare si può”?
In questo enigmatico contesto, ecco che – paradossalmente – il nostro frastornato elettore di sinistra potrebbe essere tentato dall’idea che il voto speso meglio sia quello dato al Movimento 5 Stelle, guidato, anzi “capeggiato”, da uno che di sinistra non è mai stato, Beppe Grillo. Con lui, i rischi che si corrono con SEL e Rivoluzione Civile non ci sono: non c’è nessun dilemma-alleanze come nel caso di Vendola e nemmeno un dilemma-tenuta come nel caso di Rivoluzione Civile, ovvero si può stare certi che il Movimento 5 Stelle, una volta in Parlamento, farà per tutta la legislatura un’opposizione netta, radicale e granitica.
I problemi, con Grillo, sono altri e ben noti, guardandolo da sinistra. E non stiamo parlando dei dubbi sul fatto che si tratti di una forza realmente di sinistra. Ha scritto uno dei più acuti osservatori del Movimento 5 Stelle, Andrea Scanzi, sul Fatto Quotidiano, facendo riferimento al loro programma: «sanità pubblica, scuola pubblica, reddito minimo garantito per tutti, pacifismo, ambiente, liste pulite, abbattimento dei costi della politica, no agli inceneritori, etc: il Movimento 5 Stelle è di destra come Storace di sinistra». I problemi sono piuttosto altri, e innegabili: l’appiattimento sul “Capo” e la dipendenza totale da lui, la scarsa democrazia interna (sempre citando Scanzi: «il M5S contiene anche questa anomalia di inseguire la democrazia dal basso - “Uno vale uno” - ma di essere al tempo stesso la dimostrazione - per ora - del contrario») e il populismo urlato dei toni (non dei contenuti).
Ecco quindi la domanda: può un elettore di sinistra tapparsi occhi, orecchie e naso di fronte a questi che da sinistra non possono che essere visti come degli inaccettabili difetti del Movimento 5 Stelle e concentrarsi solo su quella che dal suo punto di vista può apparire come un’evidente qualità, ovvero essere la forza in gioco che meglio può garantire di poter contare, dentro il prossimo Parlamento, su un’opposizione netta, radicale e granitica fondata su contenuti di sinistra?
Non lo sappiamo. Quello che è certo, tuttavia, è che si verificherebbe, a quel punto, ciò che proprio Grillo ha più volte affermato con enfasi: colui per il quale voto diventa un mio dipendente, e deve fare quello che io gli chiedo. E questo, forse, potrebbe essere il miglior modo di neutralizzare, da sinistra, ogni rischio di deriva populista e anti-democratica del Movimento 5 Stelle.
Agli elettori di sinistra, da sempre minoritari e ora anche frastornati, l’ardua decisione.
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