Quotidiano, rovente, distruttivo, soprattutto disarmante. È lo spettacolo delle nostre divisioni a sinistra, ogni giorno più acute e plateali. Una cartina al tornasole della irresponsabile sottovalutazione della posta in gioco nel voto del 24 febbraio. Che ormai rasenta l'assenza di una seria presa di responsabilità verso quella parte del paese che spera (ancora), che crede (da troppo tempo), nella possibilità di andare a votare per una vera svolta politica . Lo scontro tra Vendola e Ingroia, tra Sel e la Lista capeggiata dal magistrato, il continuo rinfacciarsi l'un l'altro il «tradimento» della comune causa, ne è la clamorosa, deprimente testimonianza.
Una diaspora che ieri ha toccato il livello più basso con la reciproca accusa di scomparire il giorno dopo il voto. Da una parte si dice che l'alleanza di Sel con il Pd si sfascerà quando sarà chiaro che il partito di Bersani andrà al governo con Monti. Dall'altra si prevede che le forze riunite sotto l'insegna di Ingroia torneranno a dividersi nei mille pezzi che la compongono.
Non si tratta di lanciare appelli all'unità di facciata, né resuscitare ramoscelli d'ulivo o arcobaleni radiosi. Le divisioni ci sono, sono importanti, coinvolgono giudizi sullo stato delle forze in campo e vanno guardate senza veli. La scelta di coalizzarsi con il Pd per affrontare la sfida del governo del paese, o quella di dare forza elettorale a un movimento-partito per condizionare dall'esterno il Pd sono non solo due opzioni legittime, ma anche il frutto di una sconfitta storica della sinistra. Quel che non persuade e anzi semina un disorientamento crescente, è assistere a uno scontro sterile, persino fittizio, utile solo a prosciugare consensi a entrambi gli schieramenti.
Se lasciamo da parte le modalità (pure importanti) con cui si è giunti a queste tattiche di «coalizione», e guardiamo ai contenuti, non si potrà negare la prossimità dei due campi e le ragioni di un'affinità politico-culturale che li unisce. Sull'antiliberismo e sulla pace, sul neoambientalismo e sul modello di sviluppo c'è una stretta parentela tra Vendola e la lista Ingroia, più di quanta non se ne riesca a vedere tra Vendola e Bersani, o, per converso, tra Ferrero e Di Pietro. Così come su «la rotta d'Europa» si scontrano, invece, in questa parte della sinistra, due orientamenti, e forse due culture politiche diverse.
E' troppo chiedere di mantenere alto il livello del confronto? E' possibile evitare di ferirsi con le armi spuntate del «tradimento» da scagliare contro i rispettivi eserciti? L'elettorato di sinistra non si convince con le sceneggiate televisive, troppe e brucianti le delusioni accumulate negli ultimi anni per sopportare ancora le schermaglie mediatiche. Utili solo a seminare la voglia di restarsene a casa.
Una diaspora che ieri ha toccato il livello più basso con la reciproca accusa di scomparire il giorno dopo il voto. Da una parte si dice che l'alleanza di Sel con il Pd si sfascerà quando sarà chiaro che il partito di Bersani andrà al governo con Monti. Dall'altra si prevede che le forze riunite sotto l'insegna di Ingroia torneranno a dividersi nei mille pezzi che la compongono.
Non si tratta di lanciare appelli all'unità di facciata, né resuscitare ramoscelli d'ulivo o arcobaleni radiosi. Le divisioni ci sono, sono importanti, coinvolgono giudizi sullo stato delle forze in campo e vanno guardate senza veli. La scelta di coalizzarsi con il Pd per affrontare la sfida del governo del paese, o quella di dare forza elettorale a un movimento-partito per condizionare dall'esterno il Pd sono non solo due opzioni legittime, ma anche il frutto di una sconfitta storica della sinistra. Quel che non persuade e anzi semina un disorientamento crescente, è assistere a uno scontro sterile, persino fittizio, utile solo a prosciugare consensi a entrambi gli schieramenti.
Se lasciamo da parte le modalità (pure importanti) con cui si è giunti a queste tattiche di «coalizione», e guardiamo ai contenuti, non si potrà negare la prossimità dei due campi e le ragioni di un'affinità politico-culturale che li unisce. Sull'antiliberismo e sulla pace, sul neoambientalismo e sul modello di sviluppo c'è una stretta parentela tra Vendola e la lista Ingroia, più di quanta non se ne riesca a vedere tra Vendola e Bersani, o, per converso, tra Ferrero e Di Pietro. Così come su «la rotta d'Europa» si scontrano, invece, in questa parte della sinistra, due orientamenti, e forse due culture politiche diverse.
E' troppo chiedere di mantenere alto il livello del confronto? E' possibile evitare di ferirsi con le armi spuntate del «tradimento» da scagliare contro i rispettivi eserciti? L'elettorato di sinistra non si convince con le sceneggiate televisive, troppe e brucianti le delusioni accumulate negli ultimi anni per sopportare ancora le schermaglie mediatiche. Utili solo a seminare la voglia di restarsene a casa.
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