Le strategie di politica internazionale che i paesi europei stanno seguendo sono sbagliate. Ottenere più flessibilità di spesa al loro interno servirà a ben poco, visto che non verrebbe rimosso il vincolo di austerità. Se si vuole uscire dal ristagno europeo va rilanciata la domanda finale, ma ciò va fatto “alla grande”, come le politiche Obama insegnano
- sbilanciamoci -
Arrogante ignoranza e stupidità in crescita dei dirigenti europei sembrano inseguirsi sempre più velocemente. Nel giro di una manciata di secondi da uno dei tanti giornali radio sento le tre cose seguenti: il fatturato delle aziende italiane è diminuito del 7% su base annua; il Ministro Giovannini conta di far diminuire la disoccupazione giovanile di 8 punti percentuali; il premier Letta cinguetta, dichiarandosi soddisfatto del fatto che i primi ministri europei hanno accettato di occuparsi di occupazione e sviluppo in uno dei prossimi vertici, fermi restando i “giusti principi del risanamento dei conti pubblici”.
È difficile digerire questa sagra dell’ottimismo. Qualsiasi artigiano o commerciante è in grado di spiegare che, visto che il fatturato è diminuito dopo essere già diminuito in precedenza, le aspettative sulle vendite future difficilmente possono essere tali da spingere le aziende ad assumere. Se poi si riflette sul fatto che la diminuzione del fatturato è maggiore di quella del Pil, è chiaro che le aziende si trovano a dover smaltire un bel po’ di magazzino prima di pensare a produrre di più e a fare assunzioni. In un contesto di tal genere è chiaro che gli obbiettivi del ministro Giovannini sono quelli di rimaneggiare la composizione della disoccupazione, rinunciando a farla diminuire. Forse era meglio dirlo con chiarezza tanto da farlo capire perfino ai grandi media.
La disoccupazione giovanile è un grande dramma sociale ed economico, per varie ragioni. Quindi può aver senso politico pensare ad una diversa distribuzione di occupazione e disoccupazione, esattamente come ha senso aprire nuovi confronti su una redistribuzione di opzioni di lavoro, opzioni di tempo libero, minore consumo.
Ma deve essere chiaro a tutti, senza ambiguità, che la riduzione della disoccupazione, senza aggettivi, passa per strumenti del tutto diversi e che la disoccupazione giovanile è solo un aspetto della disoccupazione generale. È questa a costituire il segno incisivo di disfunzioni organizzative nelle nostre economie, rese palesi dalla incapacità di saldare la presenza di fattori produttivi disoccupati (capacità produttiva e lavoro) con bisogni insoddisfatti.
Il problema della disoccupazione è il ristagno europeo.
Se lo si vuole risolvere va rilanciata la domanda finale, ma ciò va fatto “alla grande”, come le politiche Obama insegnano. Le strategie di politica internazionale che i paesi europei in difficoltà stanno seguendo è sbagliata. La loro pressione per avere più flessibilità di spesa al loro interno serve a ben poco, visto che non verrebbe rimosso il vincolo di austerità.
Andrebbe invece chiesto che sia la Germania e gli altri paesi in surplus commerciale a rilanciare la propria domanda. Sembra di essere a Bretton Woods, quando Keynes tentava di chiarire che gli squilibri, nel quadro di un accordo monetario e commerciale internazionale, andavano corretti (e con ciò resi automaticamente temporanei) non solo agendo sul piano delle politiche restrittive che avrebbero dovuto essere praticate dai paesi in deficit, ma “imponendo” politiche espansive ai paesi in surplus.
Ma l’Unione europea non era qualcosa in più di un accordo monetario e commerciale?
L’Unione avrebbe dovuto e potuto essere molto di più dei trattati di Bretton Woods. Nel suo ambito esisterebbe una ulteriore, direi esaltante alternativa, illustrata da molti europeisti, economisti e non, in contrasto con la stupidità prevalente: quella di accelerare la creazione di un bilancio federale europeo di rilevanti dimensioni, accogliere l’ipotesi che le politiche per il rilancio dell’Europa quale polo competitivo planetario si collochino nel quadro di tale rinnovato e ampio bilancio europeo, accogliere infine l’idea che le spese associate alle politiche di rilancio possano essere finanziate attraverso la creazione netta di moneta.
L’Europa della Conoscenza era un’idea che poteva incardinare politiche coordinate sul piano della ricerca, dell’educazione superiore, dell’innovazione. L’idea era fondamentalmente giusta e avrebbe potuto facilmente trovare strumenti organizzativi adatti. Tuttavia le “mancavano i soldi!”, un bel segno della stupidità organizzativa di cui parlavo più sopra.
Per il finanziamento in deficit occorrerebbe forse rivedere alcune clausole del Trattato, probabilmente quelle che fanno divieto alla Bce di sottoscrivere alla emissione i titoli del debito emessi dagli stati membri (lascio ai giuristi stabilire se la Bce possa sottoscrivere all’emissione titoli emessi dall’Unione stessa in relazione al suo bilancio federale). Nell’affrontare tale problema occorre in ogni caso risalire all’origine di quelle clausole. Esse erano state inserite per volontà delle banche centrali nazionali per “sovra-proteggersi” dai condizionamenti politici. Immagino che oggi, sulla base dell’esperienza comparativa Europa-Usa dell’ultimo decennio, la maggior parte delle banche centrali (Germania a parte) sarebbero disposte a rinunciare a quelle clausole, accettando l’invito di Obama a fare della Bce qualcosa di simile alla Fed.
È difficile digerire questa sagra dell’ottimismo. Qualsiasi artigiano o commerciante è in grado di spiegare che, visto che il fatturato è diminuito dopo essere già diminuito in precedenza, le aspettative sulle vendite future difficilmente possono essere tali da spingere le aziende ad assumere. Se poi si riflette sul fatto che la diminuzione del fatturato è maggiore di quella del Pil, è chiaro che le aziende si trovano a dover smaltire un bel po’ di magazzino prima di pensare a produrre di più e a fare assunzioni. In un contesto di tal genere è chiaro che gli obbiettivi del ministro Giovannini sono quelli di rimaneggiare la composizione della disoccupazione, rinunciando a farla diminuire. Forse era meglio dirlo con chiarezza tanto da farlo capire perfino ai grandi media.
La disoccupazione giovanile è un grande dramma sociale ed economico, per varie ragioni. Quindi può aver senso politico pensare ad una diversa distribuzione di occupazione e disoccupazione, esattamente come ha senso aprire nuovi confronti su una redistribuzione di opzioni di lavoro, opzioni di tempo libero, minore consumo.
Ma deve essere chiaro a tutti, senza ambiguità, che la riduzione della disoccupazione, senza aggettivi, passa per strumenti del tutto diversi e che la disoccupazione giovanile è solo un aspetto della disoccupazione generale. È questa a costituire il segno incisivo di disfunzioni organizzative nelle nostre economie, rese palesi dalla incapacità di saldare la presenza di fattori produttivi disoccupati (capacità produttiva e lavoro) con bisogni insoddisfatti.
Il problema della disoccupazione è il ristagno europeo.
Se lo si vuole risolvere va rilanciata la domanda finale, ma ciò va fatto “alla grande”, come le politiche Obama insegnano. Le strategie di politica internazionale che i paesi europei in difficoltà stanno seguendo è sbagliata. La loro pressione per avere più flessibilità di spesa al loro interno serve a ben poco, visto che non verrebbe rimosso il vincolo di austerità.
Andrebbe invece chiesto che sia la Germania e gli altri paesi in surplus commerciale a rilanciare la propria domanda. Sembra di essere a Bretton Woods, quando Keynes tentava di chiarire che gli squilibri, nel quadro di un accordo monetario e commerciale internazionale, andavano corretti (e con ciò resi automaticamente temporanei) non solo agendo sul piano delle politiche restrittive che avrebbero dovuto essere praticate dai paesi in deficit, ma “imponendo” politiche espansive ai paesi in surplus.
Ma l’Unione europea non era qualcosa in più di un accordo monetario e commerciale?
L’Unione avrebbe dovuto e potuto essere molto di più dei trattati di Bretton Woods. Nel suo ambito esisterebbe una ulteriore, direi esaltante alternativa, illustrata da molti europeisti, economisti e non, in contrasto con la stupidità prevalente: quella di accelerare la creazione di un bilancio federale europeo di rilevanti dimensioni, accogliere l’ipotesi che le politiche per il rilancio dell’Europa quale polo competitivo planetario si collochino nel quadro di tale rinnovato e ampio bilancio europeo, accogliere infine l’idea che le spese associate alle politiche di rilancio possano essere finanziate attraverso la creazione netta di moneta.
L’Europa della Conoscenza era un’idea che poteva incardinare politiche coordinate sul piano della ricerca, dell’educazione superiore, dell’innovazione. L’idea era fondamentalmente giusta e avrebbe potuto facilmente trovare strumenti organizzativi adatti. Tuttavia le “mancavano i soldi!”, un bel segno della stupidità organizzativa di cui parlavo più sopra.
Per il finanziamento in deficit occorrerebbe forse rivedere alcune clausole del Trattato, probabilmente quelle che fanno divieto alla Bce di sottoscrivere alla emissione i titoli del debito emessi dagli stati membri (lascio ai giuristi stabilire se la Bce possa sottoscrivere all’emissione titoli emessi dall’Unione stessa in relazione al suo bilancio federale). Nell’affrontare tale problema occorre in ogni caso risalire all’origine di quelle clausole. Esse erano state inserite per volontà delle banche centrali nazionali per “sovra-proteggersi” dai condizionamenti politici. Immagino che oggi, sulla base dell’esperienza comparativa Europa-Usa dell’ultimo decennio, la maggior parte delle banche centrali (Germania a parte) sarebbero disposte a rinunciare a quelle clausole, accettando l’invito di Obama a fare della Bce qualcosa di simile alla Fed.
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