Il Pd è sulle orme dell'Spd che condivide le politiche di Merkel. A Bruxelles popolari e socialisti hanno votato il Two pack Un nuovo tempo della partita politica in corso in Italia si giocherà il 22 settembre su un altro campo, quello tedesco. Quella domenica si voterà nel paese leader di questa Europa del pilota automatico, caro a Draghi, ma dal volo che sempre più assomiglia a quello dell'ultimo film di Almodovar, Gli amanti passeggeri, che non sa se e dove riuscirà ad atterrare.
I sondaggi tedeschi danno Merkel in vantaggio al 60 per cento nel gradimento dei cittadini; e il suo partito, la Cdu, intorno al 40. La Spd fatica sotto il 30 e il suo candidato premier, l'ex ministro delle finanze della stessa Merkel, Steinbrueck, arranca. A movimentare il quadro è arrivato il nuovo partito, Alternativa per la Germania, che mette in discussione la continuità della moneta unica. Prevedere cosa verrà fuori dal voto non è facile. Ma tra gli scenari possibili, e non tra i meno accreditati, c'è una nuova grande coalizione Cdu-Spd. D'altronde in questi anni Cdu e Spd hanno condiviso gran parte delle scelte relative all'Europa della austerità Se dunque non basterà alla Cancelliera il sostegno dei liberali, se non ci sarà uno scossone derivante dal partito anti euro, la Grosse Koalitione avrà buone probabilità di realizzarsi.
Del resto in Germania si arriva al massimo a parlare di un allentamento della austerità e di un abbinamento con più crescita, ma si fatica a trovare una vera messa in discussione della posizione dominante della Germania, purtroppo sostenuta da un ampio patto corporativo. Non a caso Verdi e Spd escludono accordi con l'unica forza, la Linke, che ha avuto il coraggio di proporla. Per giunta la fase di crisi accentua le difficoltà ad un vero cambio politico ed anzi crea spazio a ulteriori revanscismi che non a caso alimentano le posizioni del nuovo partito della alternativa. Se le elezioni tedesche consegneranno una grande coalizione, questa parlerà inevitabilmente a quella italiana (che ha in peggio la peculiarità di essere con Berlusconi) e inciderà pesantemente sull'anno europeo che si apre e che culminerà con le elezioni per il nuovo parlamento di Bruxelles già convocate per il 22/25 maggio 2014.
D'altronde questo scenario possibile è tutt'altro che sorprendente se si pensa a come le linee cardine dell'Europa attuale sono state condivise dalle due principali forze politiche europee, popolari e socialisti. Condivise dai governi che li hanno visti insieme o in alternanza; condivise nelle sedi comunitarie e nelle nuove strutture di governance della austerità; condivise nello stesso parlamento dove popolari e socialisti hanno votato insieme il nuovo Two pack, il provvedimento che darà alla Commissione il potere di riscrivere le finanziarie nazionali. Di questa realtà è bene essere consapevoli anche per ragionare sul perché di certe scelte che possono apparire suicide, come quelle fatte dal Pasok in Grecia e oggi dal Pd in Italia. Ma anche per comprendere la perdita di consensi di Hollande, invischiato nella gestione della austerità. La struttura morfologica della nuova Europa post democratica e il peso delle élite economiche è tale da aver spinto i partiti a farsi assai più parte della governance stessa che espressioni della società europea. È stata negata la pratica della armonizzazione, economica e sociale, che potrebbe affrontare gli elementi strutturali della crisi e che doveva provare a fare dell'Europa quello che oggi non è: un'area compatibile con una moneta unica perché la governa e governa la propria economia intervenendo sui differenziali produttivi, sui gap esportativi, sui dumping sociali. È stato fatto l'esatto contrario: si è assunto il modello export-led tedesco come guida, facendone lo strumento per una stagione di massacro sociale e di privatizzazioni senza precedenti. Si è usata la moneta unica non come il «buon servitore» di cui parla Latouche, per rilanciare il modello sociale europeo, ma come il «pessimo padrone» che lo smantella e fa entrare tutto l'accumulo pubblico storico di cui è fatta l'Europa (sanità, pensioni, scuola) nella sfera di profittabilità del capitale finanziario. La Bundesbank lo scrive apertamente.
È questo lo scenario che ha decretato il fallimento storico del centrosinistra italiano, che lo ha reso incapace in questi 20 anni di governi che avessero un profilo riformatore e che ora addirittura ha sventato un governo ancor prima di nascere, delle cui solenni carte d'intenti sottoscritte resta l'adesione al fiscal compact. Né questa può essere confinata ad anomalia italiana, che pure c'è, vista la natura ibrida del Pd, proponendo come soluzione quella che è invece un'altra parte del problema, e cioè il socialismo europeo. Che è imbarcato nello stesso aereo con il pilota automatico. La realtà ci dice che o c'è in campo una vera alternativa o non ci sono margini per la politica, tanto meno per quella di sinistra.
Se si guarda ai fatti italiani non è arbitrario dire che finché è esistita una sinistra autonoma dal centrosinistra la partita è rimasta almeno aperta. Ma l'alternativa oggi ha necessariamente una dimensione europea. Chiede una rottura radicale con la logica dell'austerità e la governance tecnocratica. Chiede di costruire soggetti sociali e coalizioni europee. Chiede un vero processo costituente democratico. Un parlamento sovrano, eletto per liste europee che faccia le leggi e i governi.
Di questo non c'è traccia nel dibattito politico europeo. L'unica cosa che va maturando è una sorta di presidenzialismo per cui si dovrebbe arrivare ad indicare un leader che risulterebbe candidato ad essere presidente della Commissione. Non è certo il presidenzialismo la soluzione ai problemi di democrazia, anzi.
Ma per l'importanza che hanno le prossime elezioni europee sarebbe utile ci fosse in campo una candidatura che abbia il segno di una rottura radicale con il recinto in cui sta confinata la politica del pilota automatico e vissuta come tale dai movimenti che lottano per l'altra Europa. A me viene in mente un nome, quello di Alexis Tsipras, il giovane leader di Syriza, di quella Grecia, culla della Europa, della politica e della democrazia, martoriata dalla Troika.
I sondaggi tedeschi danno Merkel in vantaggio al 60 per cento nel gradimento dei cittadini; e il suo partito, la Cdu, intorno al 40. La Spd fatica sotto il 30 e il suo candidato premier, l'ex ministro delle finanze della stessa Merkel, Steinbrueck, arranca. A movimentare il quadro è arrivato il nuovo partito, Alternativa per la Germania, che mette in discussione la continuità della moneta unica. Prevedere cosa verrà fuori dal voto non è facile. Ma tra gli scenari possibili, e non tra i meno accreditati, c'è una nuova grande coalizione Cdu-Spd. D'altronde in questi anni Cdu e Spd hanno condiviso gran parte delle scelte relative all'Europa della austerità Se dunque non basterà alla Cancelliera il sostegno dei liberali, se non ci sarà uno scossone derivante dal partito anti euro, la Grosse Koalitione avrà buone probabilità di realizzarsi.
Del resto in Germania si arriva al massimo a parlare di un allentamento della austerità e di un abbinamento con più crescita, ma si fatica a trovare una vera messa in discussione della posizione dominante della Germania, purtroppo sostenuta da un ampio patto corporativo. Non a caso Verdi e Spd escludono accordi con l'unica forza, la Linke, che ha avuto il coraggio di proporla. Per giunta la fase di crisi accentua le difficoltà ad un vero cambio politico ed anzi crea spazio a ulteriori revanscismi che non a caso alimentano le posizioni del nuovo partito della alternativa. Se le elezioni tedesche consegneranno una grande coalizione, questa parlerà inevitabilmente a quella italiana (che ha in peggio la peculiarità di essere con Berlusconi) e inciderà pesantemente sull'anno europeo che si apre e che culminerà con le elezioni per il nuovo parlamento di Bruxelles già convocate per il 22/25 maggio 2014.
D'altronde questo scenario possibile è tutt'altro che sorprendente se si pensa a come le linee cardine dell'Europa attuale sono state condivise dalle due principali forze politiche europee, popolari e socialisti. Condivise dai governi che li hanno visti insieme o in alternanza; condivise nelle sedi comunitarie e nelle nuove strutture di governance della austerità; condivise nello stesso parlamento dove popolari e socialisti hanno votato insieme il nuovo Two pack, il provvedimento che darà alla Commissione il potere di riscrivere le finanziarie nazionali. Di questa realtà è bene essere consapevoli anche per ragionare sul perché di certe scelte che possono apparire suicide, come quelle fatte dal Pasok in Grecia e oggi dal Pd in Italia. Ma anche per comprendere la perdita di consensi di Hollande, invischiato nella gestione della austerità. La struttura morfologica della nuova Europa post democratica e il peso delle élite economiche è tale da aver spinto i partiti a farsi assai più parte della governance stessa che espressioni della società europea. È stata negata la pratica della armonizzazione, economica e sociale, che potrebbe affrontare gli elementi strutturali della crisi e che doveva provare a fare dell'Europa quello che oggi non è: un'area compatibile con una moneta unica perché la governa e governa la propria economia intervenendo sui differenziali produttivi, sui gap esportativi, sui dumping sociali. È stato fatto l'esatto contrario: si è assunto il modello export-led tedesco come guida, facendone lo strumento per una stagione di massacro sociale e di privatizzazioni senza precedenti. Si è usata la moneta unica non come il «buon servitore» di cui parla Latouche, per rilanciare il modello sociale europeo, ma come il «pessimo padrone» che lo smantella e fa entrare tutto l'accumulo pubblico storico di cui è fatta l'Europa (sanità, pensioni, scuola) nella sfera di profittabilità del capitale finanziario. La Bundesbank lo scrive apertamente.
È questo lo scenario che ha decretato il fallimento storico del centrosinistra italiano, che lo ha reso incapace in questi 20 anni di governi che avessero un profilo riformatore e che ora addirittura ha sventato un governo ancor prima di nascere, delle cui solenni carte d'intenti sottoscritte resta l'adesione al fiscal compact. Né questa può essere confinata ad anomalia italiana, che pure c'è, vista la natura ibrida del Pd, proponendo come soluzione quella che è invece un'altra parte del problema, e cioè il socialismo europeo. Che è imbarcato nello stesso aereo con il pilota automatico. La realtà ci dice che o c'è in campo una vera alternativa o non ci sono margini per la politica, tanto meno per quella di sinistra.
Se si guarda ai fatti italiani non è arbitrario dire che finché è esistita una sinistra autonoma dal centrosinistra la partita è rimasta almeno aperta. Ma l'alternativa oggi ha necessariamente una dimensione europea. Chiede una rottura radicale con la logica dell'austerità e la governance tecnocratica. Chiede di costruire soggetti sociali e coalizioni europee. Chiede un vero processo costituente democratico. Un parlamento sovrano, eletto per liste europee che faccia le leggi e i governi.
Di questo non c'è traccia nel dibattito politico europeo. L'unica cosa che va maturando è una sorta di presidenzialismo per cui si dovrebbe arrivare ad indicare un leader che risulterebbe candidato ad essere presidente della Commissione. Non è certo il presidenzialismo la soluzione ai problemi di democrazia, anzi.
Ma per l'importanza che hanno le prossime elezioni europee sarebbe utile ci fosse in campo una candidatura che abbia il segno di una rottura radicale con il recinto in cui sta confinata la politica del pilota automatico e vissuta come tale dai movimenti che lottano per l'altra Europa. A me viene in mente un nome, quello di Alexis Tsipras, il giovane leader di Syriza, di quella Grecia, culla della Europa, della politica e della democrazia, martoriata dalla Troika.
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