L'Altersummit dei movimenti ad Atene. Una due giorni di confronto per rimettere in moto un movimento sociale, fermare l'austerity e costruire un'Europa democratica, sociale, ecologica e femminista. Perchè dai servizi essenziali ai beni comuni la strada in tutta Europa è quella della privatizzazione a beneficio di pochi
Costruire un movimento per un'Europa democratica, sociale, ecologica e femminista. Su queste parole d'ordine i movimenti europei si sono ritrovati ad Atene venerdì e sabato scorso. Un Altersummit che ha visto riuniti nello stadio olimpico della capitale greca centinaia di persone in una due giorni di confronto animata da workshop e seminari tematici. Le conseguenze dell'austerity sono sotto gli occhi di tutti. Dai servizi essenziali come la sanità ai beni comuni e alla difesa del territorio, la strada in tutta Europa è quella della privatizzazione a beneficio di pochi. In un mondo globalizzato dove si santifica la libertà di circolazione per i capitali, i movimenti delle persone in fuga da guerre e privazioni sono ostacolati in ogni modo. Migranti e donne sono i soggetti sociali che più soffrono le conseguenze dell'austerità, spiegano gli attivisti arrivati da tutti i paesi d'Europa (e non solo). Ma se l'analisi è condivisa, a cinque anni dall'inizio della grande crisi, il punto è come rimettere in moto un movimento sociale a livello europeo che sia in grado di incidere e cambiare davvero le cose.
Un'uscita dall'euro, d'altro canto, non solo non è fattibile ma non è neppure auspicabile. Sulla questione che nelle ultime settimane ha preso piede anche nel dibattito a sinistra, il seminario organizzato dagli economisti Atterrés e dalla Rete europea degli economisti progressisti (EuroPen) venerdì scorso durante l'Altersummit di Atene, non lascia margine a dubbi o perplessità. Il problema è come uscire dalle politiche di austerità cosa che l'uscita dall'euro proposta recentemente da Oskar Lafontaine (Die Linke) e rilanciata nelle mani dei movimenti, a pochi giorni dall'Altersummit, da Bernard Cassen (Le Monde diplomatique) non garantisce affatto.
Cambiare le istituzioni per cambiare l'Europa, spiega Mireille Bruyère (Economistes Atterrés), “questa non è una conferenza, aggiunge, l'idea è quella di pensare insieme alle alternative per arrivare a un'Europa sociale e solidale”. All'Europa, è il punto di partenza, non ci sono alternative. Anche perchè l'ipotesi di una uscita dall'Ue non garantirebbe nessun cambiamento delle politiche neoliberiste e di austerità. “Possiamo lasciare l'Europa e avere comunque a che fare con il liberismo”, spiega Mariana Mortagua, giovane economista portoghese: “Il problema non riguarda l'euro ma l'Unione europea, dobbiamo cambiare l'Europa da dentro”. L'austerity stessa, sostiene John Milios (Università di Atene) non è una politica europea, ma una politica di classe che in questi anni ha comportato una redistribuzione verso l'alto del valore prodotto. Da questo punto di vista, aggiunge Josè Mella del collettivo di economisti spagnoli Econonuestra, anche l'acuirsi del divario tra il Nord e il Sud dell'Europa va letto non solo in una chiave geografica ma soprattutto dal punto di vista di quale è il blocco sociale vincente o perdente sia nel Nord che nel Sud d'Europa.
È analisi comune anche il fatto che il debito anziché essere causa della crisi ne è una conseguenza. Di più: il debito è stato usato dai governi nazionali per incrementare le politiche di austerità. Poi c'è l'aspetto finanziario e anche monetario della crisi. Secondo Bruno Théret dell'università Paris-Dauphine una soluzione sostenibile potrebbe essere quella di un sistema bimonetario dove alla moneta comune, l'euro, si affiancherebbero le valute nazionali. Un sistema calibrato un po' sull'esempio dell'Argentina che, secondo Théret, ridurrebbe le possibilità di indebitarsi e potrebbe anche contribuire alla riformulazione della struttura sociale. Secondo Frederic Boccara (Economistes Atterrés e EuroPen) uno degli obiettivi a breve termine deve essere anche quello di finanziare sviluppo: a farlo, è la proposta, potrebbe essere un “fondo” speciale europeo dedicato, intermedio tra la Banca centrale europea e gli Stati nazionali.
“Bisogna ripartire dalle questioni sociali e dai temi ecologici, continuiamo a discutere all'interno del network europeo”, conclude il seminario Mireille Bruyère. Il prossimo appuntamento, come ricorda l'economista greca Marica Frangakis, è il seminario promosso e organizzato da Euromemorandum a Londra per settembre. Sarà un appuntamento importante anche per definire l'agenda delle mobilitazioni in vista del rinnovo del Parlamento europeo la prossima primavera.
Costruire un movimento per un'Europa democratica, sociale, ecologica e femminista. Su queste parole d'ordine i movimenti europei si sono ritrovati ad Atene venerdì e sabato scorso. Un Altersummit che ha visto riuniti nello stadio olimpico della capitale greca centinaia di persone in una due giorni di confronto animata da workshop e seminari tematici. Le conseguenze dell'austerity sono sotto gli occhi di tutti. Dai servizi essenziali come la sanità ai beni comuni e alla difesa del territorio, la strada in tutta Europa è quella della privatizzazione a beneficio di pochi. In un mondo globalizzato dove si santifica la libertà di circolazione per i capitali, i movimenti delle persone in fuga da guerre e privazioni sono ostacolati in ogni modo. Migranti e donne sono i soggetti sociali che più soffrono le conseguenze dell'austerità, spiegano gli attivisti arrivati da tutti i paesi d'Europa (e non solo). Ma se l'analisi è condivisa, a cinque anni dall'inizio della grande crisi, il punto è come rimettere in moto un movimento sociale a livello europeo che sia in grado di incidere e cambiare davvero le cose.
Un'uscita dall'euro, d'altro canto, non solo non è fattibile ma non è neppure auspicabile. Sulla questione che nelle ultime settimane ha preso piede anche nel dibattito a sinistra, il seminario organizzato dagli economisti Atterrés e dalla Rete europea degli economisti progressisti (EuroPen) venerdì scorso durante l'Altersummit di Atene, non lascia margine a dubbi o perplessità. Il problema è come uscire dalle politiche di austerità cosa che l'uscita dall'euro proposta recentemente da Oskar Lafontaine (Die Linke) e rilanciata nelle mani dei movimenti, a pochi giorni dall'Altersummit, da Bernard Cassen (Le Monde diplomatique) non garantisce affatto.
Cambiare le istituzioni per cambiare l'Europa, spiega Mireille Bruyère (Economistes Atterrés), “questa non è una conferenza, aggiunge, l'idea è quella di pensare insieme alle alternative per arrivare a un'Europa sociale e solidale”. All'Europa, è il punto di partenza, non ci sono alternative. Anche perchè l'ipotesi di una uscita dall'Ue non garantirebbe nessun cambiamento delle politiche neoliberiste e di austerità. “Possiamo lasciare l'Europa e avere comunque a che fare con il liberismo”, spiega Mariana Mortagua, giovane economista portoghese: “Il problema non riguarda l'euro ma l'Unione europea, dobbiamo cambiare l'Europa da dentro”. L'austerity stessa, sostiene John Milios (Università di Atene) non è una politica europea, ma una politica di classe che in questi anni ha comportato una redistribuzione verso l'alto del valore prodotto. Da questo punto di vista, aggiunge Josè Mella del collettivo di economisti spagnoli Econonuestra, anche l'acuirsi del divario tra il Nord e il Sud dell'Europa va letto non solo in una chiave geografica ma soprattutto dal punto di vista di quale è il blocco sociale vincente o perdente sia nel Nord che nel Sud d'Europa.
È analisi comune anche il fatto che il debito anziché essere causa della crisi ne è una conseguenza. Di più: il debito è stato usato dai governi nazionali per incrementare le politiche di austerità. Poi c'è l'aspetto finanziario e anche monetario della crisi. Secondo Bruno Théret dell'università Paris-Dauphine una soluzione sostenibile potrebbe essere quella di un sistema bimonetario dove alla moneta comune, l'euro, si affiancherebbero le valute nazionali. Un sistema calibrato un po' sull'esempio dell'Argentina che, secondo Théret, ridurrebbe le possibilità di indebitarsi e potrebbe anche contribuire alla riformulazione della struttura sociale. Secondo Frederic Boccara (Economistes Atterrés e EuroPen) uno degli obiettivi a breve termine deve essere anche quello di finanziare sviluppo: a farlo, è la proposta, potrebbe essere un “fondo” speciale europeo dedicato, intermedio tra la Banca centrale europea e gli Stati nazionali.
“Bisogna ripartire dalle questioni sociali e dai temi ecologici, continuiamo a discutere all'interno del network europeo”, conclude il seminario Mireille Bruyère. Il prossimo appuntamento, come ricorda l'economista greca Marica Frangakis, è il seminario promosso e organizzato da Euromemorandum a Londra per settembre. Sarà un appuntamento importante anche per definire l'agenda delle mobilitazioni in vista del rinnovo del Parlamento europeo la prossima primavera.
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