di Goffredo Fofi - Fonte L'Unita'
Le città che mi hanno maggiormente segnato sono state Palermo e Torino, quelle in cui ho vissuto più a lungo Milano e Napoli.
Le città che mi hanno maggiormente segnato sono state Palermo e Torino, quelle in cui ho vissuto più a lungo Milano e Napoli.
Vivo attualmente a Roma (forse perché sta al centro) ma nelle città che ho citato vado molto spesso e vi conosco molte persone, di più generazioni e classi sociali.
Non c’è regione che non abbia frequentato assiduamente, con maggior o minor frequenza a seconda di ciò che vi si muove e dunque mi attira, ma anche di quel che non vi si muove e dunque mi attira. Di conseguenza mi sembra, e non da adesso, di conoscere meglio l’Italia di tanti politici e giornalisti, e m’illudo di avvertirne le mutazioni con un certo anticipo su di loro. Napoli, dunque, dove vado molto spesso.
Per i suoi umori e problemi credo di avere antenne abbastanza sensibili e la mia impressione è che oggi la città, sotto una calma apparente, viva un periodo delicatissimo e che, forse, stia per scoppiare.
Perché? Perché i poveri sono sempre più poveri, e al cosiddetto sottoproletariato non è lasciata alcuna possibilità di scelta tra economia sommersa o marginale ed economia criminale. Perché il potere d’acquisto del ceto medio si è ridotto di molto, e il disagio dei suoi membri rende credibile l’ipotesi, qualche anno fa ancora fantascientifica, di Ballard secondo cui le prossime rivoluzioni le farà, appunto, il ceto medio.
Perché la politica è in mano a incapaci o impotenti quasi assoluti (e vacui come il sindaco Jervolino) e a sinistra il lascito bassoliniano è stato di puro disastro, una generazione di amministratori senza idee e senza progetto oltre la sopravvivenza propria e dei propri gruppi di appartenenza, incistati nelle pieghe e rughe del sotto-potere; e anche quando c’è qualcuno che sembra «ancora credere in qualcosa» (tipi come Sales) non vede lontano e fuori dal recinto o, più esattamente, stalla della politica (e non si condannerà mai abbastanza la responsabilità enorme del politico post-comunista post-sindaco ed ex governatore regionale di aver reso ciniche due generazioni o più di napoletani che hanno creduto a in ciò che diceva di rappresentare). Perché gli intellettuali si sono afflosciati e spenti, o si sono persi nelle loro beghe o in lotte meschine per l’affermazione personale (o sono, non pochi, fuggiti via).
Perché gli artisti scontano l’assenza di un dibattito alto e sembrano galline in un pollaio dove la massaia lesina sul mangime o lo nega, perché delle arti nulla importa alla sua nauseante volgarità.
Perché i giovani, lasciati a se stessi, si incanagliscono in vari modi che sono peraltro sempre gli stessi, dalla droga alla politica, dal tifo sportivo alla violenza, dalla denuncia ai rave e ad altre forme di stupidità solitaria o di gruppo.
Perché i giornali servono solo a confondere le acque e le menti, e fanno il possibile, come ovunque in Italia, per impedire lo studio e la riflessione e per chiudere il presente nelle sue bassezze. Perché la chiesa si barcamena come sempre ha fatto tra gli interessi che rappresenta, i propri, quelli dei ricchi e quelli dei poveri, e si guarda bene dal fare scelte che la dividerebbero.
Perché ovviamente i ricchi pensano solo a se stessi o a barricare le proprie ville, e i ricchi e i mezzo ricchi sono tutti, per definizione, “berlusconiani dentro” anche quando divergono – di poco – nella scelta dello schieramento politico di riferimento.
Perché c’è una camorra che nasce da sé e una che è, la più pericolosa, il prodotto della cancrena. Perché nessuno sembra avere idee e progetti attendibili e nessuno si fida più di nessuno.
Perché È difficile far previsioni, ma lo scontento lo si sente e lo si respira nell’aria, nonostante l’abituale caos e inquinamento della città, nonostante il rumore e nonostante la puzza che torna a venire dai cumuli di mondezza nuovamente crescenti.
Basta poco perché scoppino nuovi casini, ma forse essi saranno ora più forti che in passato, e in una generalizzata diffidenza verso tutti i poteri e verso i mediatori professionali, guru compresi. E non potranno certo le poche persone e gruppi di buona volontà, che per fortuna ci sono e resistono tra crescenti difficoltà, porre un argine, e neanche indicare strade possibili, oltre la basilare e generosa capacità di far da modello di democrazia di base, di intervento di base. Se alla base qualcosa rimane, è in alto e tra i mediatori di professione che la cancrena cresce più rapidamente.
Basta poco perché spunti qualche masaniello analfabeta o laureato e attizzi il fuoco, e di masanielli l’Italia è sempre stata ricca, a destra e a sinistra e anche al centro, e il modello può anche essere quello dei masanielli televisivi (e se politici o giornalisti o comici fa lo stesso, ma si tratterà più facilmente di volti nuovi, di nomi inediti).
Il bello è che, se leggete i giornali, se ascoltate i politici, tutto va come sempre e come deve andare, e noi non sappiamo se augurarci che qualcosa infine scoppi o al contrario temerlo e spaventarcene.
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