Intervista ad Emiliano Brancaccio, docente economia politica Emiliano Brancaccio Università del Sannio.
Mentre Atene e tutta la Grecia bruciano, le Borse di tutto il mondo crollano, l’euro raggiunge un altro minimo storico (1,288 dollari) e gli investitori si buttano alla caccia dei bund tedeschi, spinti dalla paura di un contagio della crisi.
Come se non bastasse, dopo Atene anche Madrid e Lisbona rischiano grosso: l’agenzia di rating Moody’s ha messo sotto controllo per tre mesi, con rischio di declassarlo, il rating sul debito del Portogallo.
Per risalire alle cause di tutto ciò e per ipotizzare scenari futuri Liberazione ha intervistato Emiliano Brancaccio, docente di economia politica all’Università del Sannio.
D. Per prima cosa, come commenti quanto sta succedendo in Grecia al secondo giorno consecutivo di sciopero generale?
R. Credo che ci sia un problema: occorre individuare le responsabilità politiche di quello che sta avvenendo. Tanto più è grave quello che succede tanto più è urgente farlo.
D. E di chi sono le responsabilità?
R. Due le ipotesi: o ci accodiamo alla opinione comune secondo cui questa crisi e le sue conseguenze dipendono dalle responsabilità del precedente Governo greco, spendaccione e falsificatore di conti pubblici e corrotto e dedito alla finanza allegra, oppure andiamo più a fondo e ci rendiamo conto che la crisi greca in realtà è il sintomo di uno squilibrio strutturale profondo nell’intero assetto dell’unione monetaria europea, che quindi riguarda tutti e in particolare la politica economica e commerciale del Paese economicamente più forte, cioè la Germania.
D. Dove stanno le colpe della Germania?
R. La Grecia è sintomo di uno squilibrio generale dovuto al fatto che i capitali tedeschi sono dotati di una straordinaria capacità di penetrazione nei mercati esteri. Questo perché la produttività cresce più rapidamente che altrove e perché da diversi anni la Germania attua una politica di forte contenimento dei salari e della spesa interna.
Il risultato è che la Germania si è caratterizzata per un forte surplus con i conti sull’estero perché vende molto all’estero e compra molto poco dall’estero. Di conseguenza i Paesi relativamente deboli dell’Ue, come Spagna, Portogallo - e un po’ meno l’Italia - registrano conti in deficit con l’estero.
Il fatto che il Paese più forte dell’Unione monetaria attui una politica restrittiva è la causa principale dell’indebitamento degli altri paesi. La Germania avrebbe dovuto comprare dall’estero.
D. Quindi, il prestito non basta?
R. No, non basta. La Ue e la Germania non se la caveranno con un po’ di soldi in prestito, che non risolvono i problemi ma li rinviano. Inoltre va ricordato che i soldi vengono erogati in cambio di una politica di austerità. Ma noi dovremmo ricordarci del 1992, quando l’Italia attuò un drastico piano di austerità, fondato sul rigido controllo del costo del lavoro e, nonostante l’austerity, poche settimane dopo l’approvazione, l’Italia uscì dal sistema dei cambi fissi e lasciò fluttuare la lira. Quindi non è affatto detto che i piani di austerità risolvano le crisi, anzi possono aggravarle. Se dovessimo scommettere, dovremmo dire che questo piano non risolve l’equilibrio strutturale alla base del problema, quindi la Grecia non reggerà. Non è un caso che gli speculatori continuino a vendere titoli greci, perché sospettano che da qui a breve la Grecia potrebbe abbandonare l’euro, svalutare la moneta e quindi il debito che ha contratto non varrebbe più molto.
D. Quali erano quindi le alternative?
R. E’ chiaro che in assenza di una presa di responsabilità da parte tedesca sarebbe stato meglio procedere subito all’uscita della Grecia dall’euro e ad una svalutazione del suo debito. Meglio sarebbe se i tedeschi facessero espansione, e iniziassero finalmente a comprare. Ma non bisogna essere ingenui, in Germania esiste un interesse forte a mantenere la situazione così com’è: quanto più si inasprisce la lotta competitiva fra i capitali, tanto più il capitale tedesco si ritroverà in una situazione favorevole nella competizione intercapitalista, con un aumento progressivo delle quote di mercato tedesche e indebolimento dei capitali degli altri Paesi.
D. E cosa potrebbe succedere ai Paesi in difficoltà?
R. C’è chi ritiene che potrebbero diventare territori desertificati, in cui risiedono solo lavoratori a basso costo e azionisti di minoranza di aziende che hanno la testa in Germania.
D. Una prospettiva non molto allettante...
R. Per i capitalisti tedeschi lo sarebbe. Tuttavia esiste un punto al di là del quale questa politica conduce al tracollo del sistema: quando la crisi si avvita su una deflazione e lo sbocco di mercato per le merci non si trova più.
A quel punto si precipiterebbe in una seconda grande crisi, forse più pesante di quella del 2008-2009. Vedremo se la Germania ha interesse a accentuare la sua politica di feroce competizione o se prevarrà a un certo punto il timore di scatenare una seconda crisi.
D. In tutto questo ragionamento l’Europa unita non c’entra nulla?
R. In questo momento l’Europa unita è una mera espressione retorica. Piuttosto che rimasticare vecchi slogan retorici, i Governi dei Paesi deboli dovrebbero far voce comune per segnalare al governo tedesco che se non cambia il suo orientamento c’è il rischio di alimentare una reazione protezionista. A sinistra abbiamo storicamente avuto nei confronti del protezionismo una ingenua ritrosia, mentre sarebbe opportuno rendersi contro che eliminare questa opzione dagli strumenti di lotta politica, potrebbe rilevarsi un errore che si paga caro.
D. Un’ultima domanda: come giudichi l’operato delle tre grandi agenzie di rating durante tutta questa vicenda?
R. Ripeto, lo squilibrio è strutturale e si colloca alla base di tutto, la crisi non deriva dalle agenzie. Detto questo, il loro comportamento è indicativo del fatto che il mercato finanziario non si comporta in modo concorrenziale ma è dominato da pochi attori dotati di un potere oligopolistico. Questo è importantissimo da chiarire. La litania del mercato finanziario efficiente, spesso evocata anche a sinistra, è completamente priva di basi reali.
Nessun commento:
Posta un commento