di Ida Dominijanni sul Manifesto.
Accade ai regimi di sgretolarsi dall'interno, su eventi apparentemente minori. E' quello che sta accadendo al regime sessual-politico di Silvio Berlusconi. Non un contrattacco dell'opposizione, non una sostituzione ai posti di comando del Palazzo d'Inverno. Solo un imprevedibile, lento ma inesorabile, rivoltarsi contro il Sultano delle sue donne. Non serve più neanche che sia consapevole. Consapevole, pubblico, e a suo modo politico era stato il gesto di denuncia di Veronica Lario e di Patrizia D'Addario, la moglie e la prostituta uscite allo scoperto per denudare il re.
Accade ai regimi di sgretolarsi dall'interno, su eventi apparentemente minori. E' quello che sta accadendo al regime sessual-politico di Silvio Berlusconi. Non un contrattacco dell'opposizione, non una sostituzione ai posti di comando del Palazzo d'Inverno. Solo un imprevedibile, lento ma inesorabile, rivoltarsi contro il Sultano delle sue donne. Non serve più neanche che sia consapevole. Consapevole, pubblico, e a suo modo politico era stato il gesto di denuncia di Veronica Lario e di Patrizia D'Addario, la moglie e la prostituta uscite allo scoperto per denudare il re.
Il caso di Nicole Minetti, l'organizzatrice del circo delle favorite a pagamento, è diverso, e diversamente significativo.
Minetti non esce allo scoperto di sua spontanea volontà, e in pubblico continua a coprire e a difendere il premier, negando di aver davvero pensato le cose che di lui ha pur detto al telefono. Ma in privato cede, si sfoga, non ne può più: il prezzo che rischia di pagare è troppo alto, lui è troppo vecchio e «pur di salvarsi il culo non gliene importa niente»; e «c'è un limite a tutto».
Minetti non esce allo scoperto di sua spontanea volontà, e in pubblico continua a coprire e a difendere il premier, negando di aver davvero pensato le cose che di lui ha pur detto al telefono. Ma in privato cede, si sfoga, non ne può più: il prezzo che rischia di pagare è troppo alto, lui è troppo vecchio e «pur di salvarsi il culo non gliene importa niente»; e «c'è un limite a tutto».
La scena si ribalta: chi aveva in mano il gioco ne è giocato, chi stava disciplinatamente al gioco minaccia di alzarsi dal tavolo da un momento all'altro. Il rapporto di potere non regge più. Michel Foucault, uno che di potere se ne intendeva, saprebbe che dire: è proprio nei soggetti che il potere ha meglio conformato a se stesso che si annidano i punti di resistenza capaci di spezzarlo.
Un regime che si è costruito imprimendosi sui corpi, vestendoli, agghindandoli, scopandoli, facendoli muovere e parlare a propria immagine e somiglianza non può finire che a opera di quegli stessi corpi, non appena si discostino da quell'immagine e da quella somiglianza. Si chiama smottamento, e non c'è menzogna di regime che possa tenere a lungo. Per questo, e non per la «tattica del contagocce» che gli avvocati del Sultano rimproverano alla procura di Milano, continueremo a vederne, per citare la stessa Minetti, «di ogni».
Raggela, di fronte a tanto movimento e tanto colore della soap ambientata nei bassifondi, la paralisi violacea dei Palazzi della politica. Inquieta il livore oltranzista della corte del premier, i «consigli di guerra» in cui prende istruzioni, la recita cinica del copione televisivo serale sul «nulla di penalmente rilevante», i muscoli facciali fermi nel negare l'evidenza, la dipendenza dal leader sorda all'impresentabilità dell'uomo, l'arroccamento spavaldo sul mantra algebrico della «maggioranza coi numeri», le professioni di lealtà eterna di Bossi, al «celodurismo» s'intende. E sgomenta il pallore dell'opposizione, l'attacco statico e stanco che non trova altre parole che quelle sullo «squallore» di Arcore, sulla perdita di «decoro» e sulla ferita della «dignità» delle istituzioni. Come se le tappe di un golpe neanche tanto strisciante non fossero già scritte nella linea di attacco frontale del premier alla magistratura e nella sua determinazione a portare nelle mani del popolo, preventivamente stordito dalle sue tv, la partita finale fra legittimità e legalità. Come se dai bassifondi di Arcore non emergesse non una scena lasciva di loisir, ma un'idea di società, di libertà, di godimento, un nodo scorsoio stringe la presa sui corpi (minorenni) allacciando sesso, merce e potere. Come se l'uomo che gioca al bunga-bunga non fosse la stessa cosa del premier che gioca al governo, e a tenerli uniti non fosse la stessa messinscena di una onnipotenza, politica e sessuale, sostenuta da un fantasma di impotenza, sessuale e politica.
Sesso e potere sono da sempre annodati nel fuori-scena della cosa pubblica, ma mai s'è vista una tale coincidenza fra una maschera della virilità e una maschera del governo. La seconda non cadrà senza che dall'opposizione altri uomini si decidano a strappare la prima, spezzando definitivamente l'incantesimo della sua seduttività.
Un regime che si è costruito imprimendosi sui corpi, vestendoli, agghindandoli, scopandoli, facendoli muovere e parlare a propria immagine e somiglianza non può finire che a opera di quegli stessi corpi, non appena si discostino da quell'immagine e da quella somiglianza. Si chiama smottamento, e non c'è menzogna di regime che possa tenere a lungo. Per questo, e non per la «tattica del contagocce» che gli avvocati del Sultano rimproverano alla procura di Milano, continueremo a vederne, per citare la stessa Minetti, «di ogni».
Raggela, di fronte a tanto movimento e tanto colore della soap ambientata nei bassifondi, la paralisi violacea dei Palazzi della politica. Inquieta il livore oltranzista della corte del premier, i «consigli di guerra» in cui prende istruzioni, la recita cinica del copione televisivo serale sul «nulla di penalmente rilevante», i muscoli facciali fermi nel negare l'evidenza, la dipendenza dal leader sorda all'impresentabilità dell'uomo, l'arroccamento spavaldo sul mantra algebrico della «maggioranza coi numeri», le professioni di lealtà eterna di Bossi, al «celodurismo» s'intende. E sgomenta il pallore dell'opposizione, l'attacco statico e stanco che non trova altre parole che quelle sullo «squallore» di Arcore, sulla perdita di «decoro» e sulla ferita della «dignità» delle istituzioni. Come se le tappe di un golpe neanche tanto strisciante non fossero già scritte nella linea di attacco frontale del premier alla magistratura e nella sua determinazione a portare nelle mani del popolo, preventivamente stordito dalle sue tv, la partita finale fra legittimità e legalità. Come se dai bassifondi di Arcore non emergesse non una scena lasciva di loisir, ma un'idea di società, di libertà, di godimento, un nodo scorsoio stringe la presa sui corpi (minorenni) allacciando sesso, merce e potere. Come se l'uomo che gioca al bunga-bunga non fosse la stessa cosa del premier che gioca al governo, e a tenerli uniti non fosse la stessa messinscena di una onnipotenza, politica e sessuale, sostenuta da un fantasma di impotenza, sessuale e politica.
Sesso e potere sono da sempre annodati nel fuori-scena della cosa pubblica, ma mai s'è vista una tale coincidenza fra una maschera della virilità e una maschera del governo. La seconda non cadrà senza che dall'opposizione altri uomini si decidano a strappare la prima, spezzando definitivamente l'incantesimo della sua seduttività.
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