Enrico Piovesana. Fonte: peacereporter
Manifestazioni di piazza a Kabul contro gli Stati Uniti e la Nato e contro il “governo fantoccio” di Karzai. A organizzare la protesta il movimento extraparlamentare di sinistra Partito Afgano della Solidarietà (Hambastaghì)
Centinaia di manifestanti, uomini e donne, sono scesi in strada a Kabul per protestare contro l'occupazione militare straniera dell'Afghanistan nel decennale dell'invasione del Paese.
I dimostranti, sostenitori del movimento extraparlamentare di sinistra Partito Afgano della Solidarietà (Hambastaghì), hanno bruciato bandiere stelle e strisce, scandito slogan antiamericani e mostrato striscioni e cartelli che accusavano gli Stati Uniti e la Nato di massacri contro i civili e denunciavano il presidente Hamid Karzai come un fantoccio asservito a Washington.
"Occupazione=atrocità e brutalità" e "Occupazione=morte e distruzione" si leggeva su cartelli con le immagini di donne e bambini uccisi dai bombardamenti alleati. "No all'occupazione", recitava un altro. Uno striscione recava una caricatura di Karzai come un burattino con in mano una penna mentre firma un documento intitolato "Prometto agli Stati Uniti".
Un altro mostrava il simbolo della Nato con un teschio al centro e la scritta "Nato fuori dall'Afghanistan". Un cartello riproduceva la foto del soldato americano Andrew Holmes in posa sorridente accanto al cadavere di un adolescente afgano che aveva appena ucciso, e la scritta "Il vero volto dell'occupazione".
"Lo spargimento di sangue, il sangue dei civili vittime della Nato ma anche di quelli uccisi dai talebani, è il risultato dell'invasione statunitense dell'Afghanistan. Gli invasori se ne devono andare subito!", ha gridato un manifestante dal suo megafono.
"In questi dieci anni di occupazione il nostro Paese ha vissuto solo sofferenza, povertà e insicurezza", ha dichiarato uno degli organizzatori della protesta, Hafizullah Rasekh.
Il Partito Afgano della Solidarietà, ideatore della manifestazione, è nato nel 2004 su una piattaforma politica democratica, laica e progressista, fautrice di una 'terza via' afgana (né con gli occupanti stranieri né con i fondamentalsiti) che affonda le radici nella tradizione degli Shòlai: i maoisti afgani che negli anni '80 combatterono sia i sovietici che gli integralisti, e che ancora oggi sono attivi in clandestinità.
Hambastaghì – che intrattiene contatti con Sel e Rifondazione in Italia, con Die Linke in Germania e con altri partiti della sinistra radicale europea – è l'unico partito afgano a non essere legato ai signori della guerra del passato, a non essere espressione di minoranze etniche, a riconoscere pari dignità a uomini e donne al suo interno e soprattutto l'unico a essere composto da soli giovani. A partire dal segretario Daud Razmak, 35 anni, ex studente di Medicina originario di Farah. Lo abbiamo incontrato poche settimane fa nella sede nazionale del partito, un piccolo e anonimo edificio alla periferia di Kabul, frequentato da giovani militanti: uno di loro, incrociato all'ingresso, indossava una maglietta di Che Guevara.
"Il Partito della Solidarietà - ci aveva detto Razmak - ha oltre trentamila iscritti, in continua crescita. Non facciamo politica in parlamento: abbiamo deciso di boicottare le farse elettorali messe in scena dal regime di Karzai e di lavorare tra la gente. Lo facciamo nei villaggi, con attività di alfabetizzazione e sensibilizzazione politica, e nelle città, organizzando grandi manifestazioni di piazza. Negli ultimi due anni le strade di Kabul, Jalalabad, Mazar, Herat sono state attraversate da cortei di protesta sempre più numerosi e con una crescente partecipazione delle donne".
"Manifestiamo contro le stragi di civili commesse dalla Nato, contro le basi permanenti che gli Stati Uniti vogliono mantenere nel Paese dopo il 2014, contro il terrorismo dei talebani e le ingerenze del Pakistan e dell'Iran, contro il regime mafioso di Karzai e contro il fondamentalismo religioso. Sono nemici molto potenti che possiamo sconfiggere non certo attraverso le elezioni, ma solo con una spinta al cambiamento dal basso, una sorta di pacifica insurrezione generale del nostro popolo".
Enrico Piovesana
Manifestazioni di piazza a Kabul contro gli Stati Uniti e la Nato e contro il “governo fantoccio” di Karzai. A organizzare la protesta il movimento extraparlamentare di sinistra Partito Afgano della Solidarietà (Hambastaghì)
Centinaia di manifestanti, uomini e donne, sono scesi in strada a Kabul per protestare contro l'occupazione militare straniera dell'Afghanistan nel decennale dell'invasione del Paese.
I dimostranti, sostenitori del movimento extraparlamentare di sinistra Partito Afgano della Solidarietà (Hambastaghì), hanno bruciato bandiere stelle e strisce, scandito slogan antiamericani e mostrato striscioni e cartelli che accusavano gli Stati Uniti e la Nato di massacri contro i civili e denunciavano il presidente Hamid Karzai come un fantoccio asservito a Washington.
"Occupazione=atrocità e brutalità" e "Occupazione=morte e distruzione" si leggeva su cartelli con le immagini di donne e bambini uccisi dai bombardamenti alleati. "No all'occupazione", recitava un altro. Uno striscione recava una caricatura di Karzai come un burattino con in mano una penna mentre firma un documento intitolato "Prometto agli Stati Uniti".
Un altro mostrava il simbolo della Nato con un teschio al centro e la scritta "Nato fuori dall'Afghanistan". Un cartello riproduceva la foto del soldato americano Andrew Holmes in posa sorridente accanto al cadavere di un adolescente afgano che aveva appena ucciso, e la scritta "Il vero volto dell'occupazione".
"Lo spargimento di sangue, il sangue dei civili vittime della Nato ma anche di quelli uccisi dai talebani, è il risultato dell'invasione statunitense dell'Afghanistan. Gli invasori se ne devono andare subito!", ha gridato un manifestante dal suo megafono.
"In questi dieci anni di occupazione il nostro Paese ha vissuto solo sofferenza, povertà e insicurezza", ha dichiarato uno degli organizzatori della protesta, Hafizullah Rasekh.
Il Partito Afgano della Solidarietà, ideatore della manifestazione, è nato nel 2004 su una piattaforma politica democratica, laica e progressista, fautrice di una 'terza via' afgana (né con gli occupanti stranieri né con i fondamentalsiti) che affonda le radici nella tradizione degli Shòlai: i maoisti afgani che negli anni '80 combatterono sia i sovietici che gli integralisti, e che ancora oggi sono attivi in clandestinità.
Hambastaghì – che intrattiene contatti con Sel e Rifondazione in Italia, con Die Linke in Germania e con altri partiti della sinistra radicale europea – è l'unico partito afgano a non essere legato ai signori della guerra del passato, a non essere espressione di minoranze etniche, a riconoscere pari dignità a uomini e donne al suo interno e soprattutto l'unico a essere composto da soli giovani. A partire dal segretario Daud Razmak, 35 anni, ex studente di Medicina originario di Farah. Lo abbiamo incontrato poche settimane fa nella sede nazionale del partito, un piccolo e anonimo edificio alla periferia di Kabul, frequentato da giovani militanti: uno di loro, incrociato all'ingresso, indossava una maglietta di Che Guevara.
"Il Partito della Solidarietà - ci aveva detto Razmak - ha oltre trentamila iscritti, in continua crescita. Non facciamo politica in parlamento: abbiamo deciso di boicottare le farse elettorali messe in scena dal regime di Karzai e di lavorare tra la gente. Lo facciamo nei villaggi, con attività di alfabetizzazione e sensibilizzazione politica, e nelle città, organizzando grandi manifestazioni di piazza. Negli ultimi due anni le strade di Kabul, Jalalabad, Mazar, Herat sono state attraversate da cortei di protesta sempre più numerosi e con una crescente partecipazione delle donne".
"Manifestiamo contro le stragi di civili commesse dalla Nato, contro le basi permanenti che gli Stati Uniti vogliono mantenere nel Paese dopo il 2014, contro il terrorismo dei talebani e le ingerenze del Pakistan e dell'Iran, contro il regime mafioso di Karzai e contro il fondamentalismo religioso. Sono nemici molto potenti che possiamo sconfiggere non certo attraverso le elezioni, ma solo con una spinta al cambiamento dal basso, una sorta di pacifica insurrezione generale del nostro popolo".
Enrico Piovesana
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