di Angela Vitaliano. Fonte: linkiesta
Sul ponte di Brooklyn ai poliziotti gridavano «Shame!», vergogna. Su Twitter, chi è riuscito a sfuggire alla cella, riordina le idee. In molti nel movimento degli indignados americani, ricordano che a Seattle, nel 1999, dopo giorni di scontri durissimi, con un morto e centinaia di feriti, gli arresti furono circa 600. Qui, invece, per difendere la grande finanza di Wall Street, la polizia ha portato in galera, in poche ore, oltre 700 persone che stavano manifestando pacificamente (ma avevano occupato le corsie destinate alle auto).
Esteri
2 ottobre 2011 - 19:10
Settecento arresti non sono cosa da tutti i giorni, nemmeno in una città dai “grandi numeri” come New York. Soprattutto se si pensa che sono il frutto di una manifestazione che ha bloccato per ore il traffico su uno dei ponti simbolo che collega Manhattan al resto della città: il Brooklyn Bridge. Le immagini della marea umana che, lentamente, a partire dal primo pomeriggio, ha invaso la carreggiata pedonale del ponte, hanno richiamato alla mente scene che non si vedevano da un po’ ed erano, generalmente, circoscritte ai campus universitari e a battaglie per la pace. New York, invece, in queste settimane, è diventata, a suo modo, la “gemella” delle città spagnole, con i suoi indignados a mettere in ginocchio, in barba alla pioggia battente, una delle arterie di circolazione più importanti della città. Il loro credo, infatti, è ispirato dai movimenti egiziani e spagnoli, «giuriamo di mettere fine alla corruzione del denaro nella nostra democrazia».
Occupy Wall Street aveva già fatto parlare di sé, nei giorni dell’Assemblea delle Nazioni Unite, per aver manifestato proprio nei pressi del Palazzo di Vetro, diventando oggetto di una dura reazione della polizia newyorchese, culminata con l’arresto di decine di persone e di grandi polemiche sulla stampa accusata, fra l’altro, dagli organizzatori, di aver, fino ad allora, taciuto completamente a proposito del movimento. Occupy Wall Street, infatti, non era alla sua prima uscita pubblica, dal momento che, da un paio di settimane, circa duecento dimostranti hanno letteralmente occupato un’area nei pressi del Distretto Finanziario, proprio per protestare contro ciò che è considerato il vero cancro che sta distruggendo l’economia mondiale. Il movimento, infatti, nasce sostanzialmente dal rifiuto “senza se e senza ma” delle logiche dell’alta finanza di Wall Street, quella che, per intenderci, ha causato il crac del 2009 e che, ancora oggi, è al centro della profonda crisi economica dalla quale gli Stati Uniti, come l’Europa, sembrano non essere in grado uscire. Le corporazioni non sono le persone, questo dunque il punto di partenza del movimento che si oppone, ovviamente, anche alle politiche del governo in qualche modo “complice” degli insaziabili affaristi di downtown. Nelle scorse settimane, la polizia ha assistito abbastanza tranquillamente all’occupazione pacifica dell’area di Wall Street, dove i manifestanti dormono avvolti in sacchi a pelo, foraggiati da altri supporter provenienti da tutto il Paese, usando il bagno del vicino McDonald o di qualche Starbucks. Gli arresti sono scattati quando, senza permesso, i manifestanti hanno abbandonato la carreggiata pedonale del ponte di Brooklyn e hanno invaso le corsie del traffico automobilistico, mandando in tilt la circolazione e costringendo le autorità alla chiusura del ponte. Diverse le posizioni, ovviamente, dei manifestanti e del New York Police Department. La polizia si giustifica dicendo di aver ripetutamente invitato a non invadere le corsie di traffico. Dall’altra parte, si sottolinea che era impossibile sentire visto che il corteo era molto lungo e rumoroso. Fatto sta che la situazione è sfuggita al controllo e sono cominciate a volare parole grosse da un lato e dall’altro e le manette hanno fatto il resto.
Il movimento, fra l’altro, è cresciuto moltissimo negli ultimi giorni e la sua eco, ormai, si è allargata a macchia d’olio. Mentre “occupanti” provenienti da Stati diversi (ma anche nazioni diverse, dal momento che molti stranieri hanno preso parte alla marcia), hanno dato vita alla marea umana di ieri, in molte altre città, da Boston a Los Angeles, ci sono state manifestazioni di sostegno al movimento di cui, ormai, si parla in tutte le prime pagine dei giornali.
Inizialmente, a fare da cassa di risonanza, c’era solo Twitter che resta lo strumento prediletto dei manifestanti per comunicare fra loro, postare foto e video di scontri e dare informazioni di vario genere. A volte, purtroppo, destinate a creare confusione, come quando, nella giornata di venerdi, qualcuno aveva diffuso la notizia che i Radiohead, in città per un concerto, si sarebbero fermati a Wall Street per suonare a sostegno del movimento. L’area, ovviamente, è stata presa d’assalto, ma dei Radiohead nemmeno l’ombra fino alle scuse ufficiali, sempre via Twitter, da parte degli organizzatori del movimento. A sottolineare l’effetto dirompente di Occupa Wall Street ci pensa Van Jones, ex collaboratore della Casa Bianca e fondatore del movimento “Rebuild your dream” che, nato la scorsa estate, sta raccogliendo sempre più adesioni in tutto il Paese. «C’è una generazione di americani – ha detto Van Jones – che si guarda intorno e dice “come sarà il mio Sogno Americano”? E per questo si stanno schierando. Presto vedrete un Autunno americano, proprio come abbiamo visto una Primavera Araba. Avremo un’offensiva autunnale per riprenderci il sogno americano e riscattare la classe media del nostro Paese».
Nessun commento:
Posta un commento