ottobre 2, 2011 simone.oggionni
Quello che segue è il testo dell’appello che promuoviamo come Alternativa Ribelle (e quindi come Giovani Comunisti e Fgci) in vista del 15 ottobre e che è stato pubblicato quest’oggi sul manifesto. Come ho già scritto, il nostro ruolo diventa determinante. Non è presunzione, ma la consapevolezza che Berlusconi non se ne andrà mai senza la lotta, il protagonismo dei movimenti, della sinistra politica e sociale. E lo stesso discorso vale per la crisi economica e per tutte le classi dirigenti che con le loro politiche neo-liberiste la crisi l’hanno prodotta e la crisi inevitabilmente la riprodurranno se saranno di nuovo messe nelle condizioni di governare. Va fermata la crisi e vanno fermate queste classi dirigenti. Con l’unico strumento che abbiamo: la lotta. Certo è – e questo è il contributo che stiamo dando, concretamente, in tutti i luoghi del movimento – che non basta declamare questi obiettivi o sparlarla grossa, perché non è detto che più grossa la spari e più sei ascoltato. Bisogna costruire, pazientemente, una massa critica in grado di incidere e vincere, con un lavoro egemonico e di costruzione del consenso che ha tempi lunghi ma non per questo è meno urgente. In questo sta il valore assoluto dell’unità, da perseguire tanto a livello sociale quanto a livello politico, riconnettendo tra loro le tante espressioni e soggettività di questa sinistra così divisa e debole. Il 15 ottobre sarà utile se avrà queste caratteristiche, se si inserirà veramente dentro un contesto di lotta europea e internazionale e si trasformerà, nel nostro Paese, in un grande appuntamento di massa e unitario della sinistra anti-liberista. Possiamo farcela, dipende da tutti noi. (Simone Oggionni)
Il 15 ottobre anche noi saremo in piazza con gli “indignati” d’Europa:
indignati come chi subisce un torto e vuole giustizia, indignati come chi è stato derubato in modo sistematico da chi tiene i cordoni della Borsa, muove i fili invisibili della Banche e occupa le stanze dei bottoni.
Ci hanno cresciuto nel culto di un sistema economico che ci chiedeva flessibilità, “spirito d’impresa” e sacrifici promettendo ricchezza. Siamo diventati precari, apprendisti sfruttati, stagisti non pagati, studenti universitari vessati da tasse sempre più alte e finanziamenti sempre più bassi. Abbiamo comprato i loro prodotti, rinunciato a mutui e pensioni. Abbiamo perso diritti sul lavoro conquistati con anni di lotte dai nostri nonni e dai nostri padri. Non abbiamo rappresentanza nel Parlamento, complice una politica che si è ripiegata nel suo fortino, per rappresentare interessi ben precisi.
E ora che questo sistema improntato al “produci-consuma-crepa”crolla come un gigante dai piedi d’argilla per la sua incapacità di stare in piedi, nonostante le molte ingiustizie su cui negli anni si era puntellato, gli stessi che ci hanno condotti verso il baratro vogliono che paghiamo ancora.
Quando alzavamo la voce, dicendo che oltre che ingiusto questo sistema era sbagliato, iniquo e irrazionale, ci chiamavano cassandre. E come la Cassandra del mito classico avevamo ragione.
La nostra è una indignazione non autosufficiente, che parte da lontano, attraversa Genova dal 2001 al 2011, e non finisce.
La nostra indignazione percorre gli stessi sentieri di chi vuole costruire un’alternativa, di chi sa che questo non è il solo modo di far andare le cose. Noi ne conosciamo uno più giusto ed equo, abbiamo proposte e pretendiamo di essere ascoltati.
Scenderemo in piazza il 15 ottobre perché in Parlamento si discute di dove e come prendere i soldi ma nessuno contesta per cosa si devono usare. Noi pensiamo che “tranquillizzare i mercati” sia un tributo di sangue ad una divinità malevola, una ricetta impiegata troppe volte in passato e che non risolve il problema.
Noi crediamo che i soldi vadano presi dove ce ne sono, da chi finora ha pagato poco o nulla. Con l’istituzione della patrimoniale, una lotta vera all’evasione fiscale nelle sue diverse forme, con la tassazione delle rendite finanziarie. Noi crediamo che i soldi vadano tolti, per esempio, alle scuole private, alla Chiesa Cattolica, alle spese militari, al finanziamento sistematico alla cultura del profitto, dell’impresa, della religione, della guerra e della morte.
Dobbiamo investire su una società dei saperi, sulla ricerca, sull’istruzione, e non regredire in un regime dello sfruttamento, di un capitalismo “straccione”, dell’Europa delle banche e della finanza.
Il 15 ottobre manifesteremo perché il destino dello stato sociale e della qualità della vita nel nostro Paese nei prossimi anni sta per essere determinato da organismi sovranazionali e lobby economiche che nessuno ha eletto.
Siamo un paese commissariato e sull’orlo del baratro, e vogliamo riprenderci la democrazia che ci è stata espropriata da questa destra antirepubblicana, clericale ed eversiva.
Il 15 ottobre manifesteremo perché dietro alla manovra Sacconi c’è la cancellazione di fatto di ogni garanzia sui contratti di lavoro nel nostro Paese e lo smantellamento dello Statuto dei Lavoratori (compreso l’articolo 18 che gli italiani hanno già difeso in passato) e quindi la Costituzione. Questo è un golpe e noi non lo accetteremo.
Ci stanno rubando il futuro, ed il 15 ottobre saremo in piazza perché non siamo ancora rassegnati: chi tiene in mano le redini del Paese lo sta distruggendo e spetta a noi salvarlo.
Al fianco della FIOM, della CGIL, di tutto il mondo del lavoro, dei precari, delle associazioni, degli studenti, insieme al Coordinamento 15 ottobre chiederemo il blocco della manovra e le dimissioni di un governo incapace e classista che ruba ai poveri per dare ai ricchi, che sta conducendo una generazione sull’orlo del baratro.
Ci riprendiamo la piazza in una grande giornata di mobilitazione dell’opposizione sociale che sia il battesimo del fuoco di un fronte compatto, unitario e aperto a chiunque abbia in mente un’altra manovra, un’altra idea di società, un altro mondo possibile.
Siamo un esercito di sognatori, e per questo siamo invincibili.
Quello che segue è il testo dell’appello che promuoviamo come Alternativa Ribelle (e quindi come Giovani Comunisti e Fgci) in vista del 15 ottobre e che è stato pubblicato quest’oggi sul manifesto. Come ho già scritto, il nostro ruolo diventa determinante. Non è presunzione, ma la consapevolezza che Berlusconi non se ne andrà mai senza la lotta, il protagonismo dei movimenti, della sinistra politica e sociale. E lo stesso discorso vale per la crisi economica e per tutte le classi dirigenti che con le loro politiche neo-liberiste la crisi l’hanno prodotta e la crisi inevitabilmente la riprodurranno se saranno di nuovo messe nelle condizioni di governare. Va fermata la crisi e vanno fermate queste classi dirigenti. Con l’unico strumento che abbiamo: la lotta. Certo è – e questo è il contributo che stiamo dando, concretamente, in tutti i luoghi del movimento – che non basta declamare questi obiettivi o sparlarla grossa, perché non è detto che più grossa la spari e più sei ascoltato. Bisogna costruire, pazientemente, una massa critica in grado di incidere e vincere, con un lavoro egemonico e di costruzione del consenso che ha tempi lunghi ma non per questo è meno urgente. In questo sta il valore assoluto dell’unità, da perseguire tanto a livello sociale quanto a livello politico, riconnettendo tra loro le tante espressioni e soggettività di questa sinistra così divisa e debole. Il 15 ottobre sarà utile se avrà queste caratteristiche, se si inserirà veramente dentro un contesto di lotta europea e internazionale e si trasformerà, nel nostro Paese, in un grande appuntamento di massa e unitario della sinistra anti-liberista. Possiamo farcela, dipende da tutti noi. (Simone Oggionni)
Il 15 ottobre anche noi saremo in piazza con gli “indignati” d’Europa:
indignati come chi subisce un torto e vuole giustizia, indignati come chi è stato derubato in modo sistematico da chi tiene i cordoni della Borsa, muove i fili invisibili della Banche e occupa le stanze dei bottoni.
Ci hanno cresciuto nel culto di un sistema economico che ci chiedeva flessibilità, “spirito d’impresa” e sacrifici promettendo ricchezza. Siamo diventati precari, apprendisti sfruttati, stagisti non pagati, studenti universitari vessati da tasse sempre più alte e finanziamenti sempre più bassi. Abbiamo comprato i loro prodotti, rinunciato a mutui e pensioni. Abbiamo perso diritti sul lavoro conquistati con anni di lotte dai nostri nonni e dai nostri padri. Non abbiamo rappresentanza nel Parlamento, complice una politica che si è ripiegata nel suo fortino, per rappresentare interessi ben precisi.
E ora che questo sistema improntato al “produci-consuma-crepa”crolla come un gigante dai piedi d’argilla per la sua incapacità di stare in piedi, nonostante le molte ingiustizie su cui negli anni si era puntellato, gli stessi che ci hanno condotti verso il baratro vogliono che paghiamo ancora.
Quando alzavamo la voce, dicendo che oltre che ingiusto questo sistema era sbagliato, iniquo e irrazionale, ci chiamavano cassandre. E come la Cassandra del mito classico avevamo ragione.
La nostra è una indignazione non autosufficiente, che parte da lontano, attraversa Genova dal 2001 al 2011, e non finisce.
La nostra indignazione percorre gli stessi sentieri di chi vuole costruire un’alternativa, di chi sa che questo non è il solo modo di far andare le cose. Noi ne conosciamo uno più giusto ed equo, abbiamo proposte e pretendiamo di essere ascoltati.
Scenderemo in piazza il 15 ottobre perché in Parlamento si discute di dove e come prendere i soldi ma nessuno contesta per cosa si devono usare. Noi pensiamo che “tranquillizzare i mercati” sia un tributo di sangue ad una divinità malevola, una ricetta impiegata troppe volte in passato e che non risolve il problema.
Noi crediamo che i soldi vadano presi dove ce ne sono, da chi finora ha pagato poco o nulla. Con l’istituzione della patrimoniale, una lotta vera all’evasione fiscale nelle sue diverse forme, con la tassazione delle rendite finanziarie. Noi crediamo che i soldi vadano tolti, per esempio, alle scuole private, alla Chiesa Cattolica, alle spese militari, al finanziamento sistematico alla cultura del profitto, dell’impresa, della religione, della guerra e della morte.
Dobbiamo investire su una società dei saperi, sulla ricerca, sull’istruzione, e non regredire in un regime dello sfruttamento, di un capitalismo “straccione”, dell’Europa delle banche e della finanza.
Il 15 ottobre manifesteremo perché il destino dello stato sociale e della qualità della vita nel nostro Paese nei prossimi anni sta per essere determinato da organismi sovranazionali e lobby economiche che nessuno ha eletto.
Siamo un paese commissariato e sull’orlo del baratro, e vogliamo riprenderci la democrazia che ci è stata espropriata da questa destra antirepubblicana, clericale ed eversiva.
Il 15 ottobre manifesteremo perché dietro alla manovra Sacconi c’è la cancellazione di fatto di ogni garanzia sui contratti di lavoro nel nostro Paese e lo smantellamento dello Statuto dei Lavoratori (compreso l’articolo 18 che gli italiani hanno già difeso in passato) e quindi la Costituzione. Questo è un golpe e noi non lo accetteremo.
Ci stanno rubando il futuro, ed il 15 ottobre saremo in piazza perché non siamo ancora rassegnati: chi tiene in mano le redini del Paese lo sta distruggendo e spetta a noi salvarlo.
Al fianco della FIOM, della CGIL, di tutto il mondo del lavoro, dei precari, delle associazioni, degli studenti, insieme al Coordinamento 15 ottobre chiederemo il blocco della manovra e le dimissioni di un governo incapace e classista che ruba ai poveri per dare ai ricchi, che sta conducendo una generazione sull’orlo del baratro.
Ci riprendiamo la piazza in una grande giornata di mobilitazione dell’opposizione sociale che sia il battesimo del fuoco di un fronte compatto, unitario e aperto a chiunque abbia in mente un’altra manovra, un’altra idea di società, un altro mondo possibile.
Siamo un esercito di sognatori, e per questo siamo invincibili.
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