di Giulietto Chiesa - «La Voce delle Voci», ottobre 2011. Fonte: megachip
Scrivo mentre la Assemblea dell’Onu discute il riconoscimento formale dello Stato Palestinese. Sarà un grande ed inedito passo avanti verso il soddisfacimento dei diritti di quel popolo, conculcati, vilmente, cinicamente, dalla cosiddetta comunità internazionale, cioè dai grandi e cinici padroni del mondo, per sessanta interminabili anni. Ma io guardo la cartina geografica e vedo come stanno le cose oggi. Vedo cos’era la Palestina nel 1946, cosa ne fu nel 1947, cosa ne restò nel 1967. E vedo adesso un puzzle di micro territori staccati gli uni dagli altri, un quinto, un decimo, forse meno, di quel territorio originario, fatto di misere nicchie isolate, impoverite, senz’acqua, senza diritti, vessate, martoriate.
E penso: può questa ragnatela sottile di vite e di terre ancora costituire uno Stato per il popolo palestinese, per i 15 milioni di palestinesi cha hanno dovuto fuggire, o ritirarsi, o rinunciare perfino alle loro case? Penso di no. Penso che sia ormai tardi per l’idea di due stati, due popoli. Semplicemente perché uno dei due popoli ha sopraffatto l’altro, con la forza, con l’inganno, con la protezione degli Stati Uniti d’America e dell’Arabia Saudita, con la connivenza dell’Europa e in generale dell’Occidente.
Davide è stato il popolo palestinese, e non ha avuto nessuna fionda per abbattere un Golia armato fino ai denti. Bene, anzi male. Per loro e per noi, temo. Ma io sono andato lo stesso a dare la mia solidarietà a Davide.
L’ho fatto per semplice senso di giustizia e anche perché penso che questa è davvero l’ultima occasione per aiutare a rinsavire il popolo di Israele e i suoi governanti. Poi comincerà per loro la discesa agl’inferi alla quale hanno costretto i palestinesi in questo oltre mezzo secolo di torture. Perché potranno forse impadronirsi anche di quelle ultime ragnatele di terre rimaste in mano ai palestinesi, ma non potranno reggere di fronte alla vendetta della storia, della demografia, della lenta e inesorabile agonia del loro protettore di Washington e di Wall Street. Penso che non rinsaviranno, i dirigenti di Israele. Anzi diverranno sempre più cattivi, intransigenti, padroni.
Sono stati abili: hanno fatto credere, a coloro che fingevano di credere, che fossero disposti a trattare.
E anno dopo anno, mentre dicevano di trattare, hanno portato via altre terre, hanno creato altri insediamenti, hanno esteso il loro potere. Appoggiati dal mainstream mondiale hanno fatto passare l’idea che a non voler trattare fossero gli “estremisti” palestinesi. Neanche ora tratteranno. Spero che la mia previsione si riveli errata. Lo spero vivamente. Ma temo che sarà un errore, come lo è sempre stato in passato, quello di applicare allo Stato di Israele le categorie del politically correct.
Il fatto è che il sionismo fanatico degli attuali dirigenti di Israele non può essere, per definizione, politically correct.
Se l’idea fondante della politica di questo Stato confessionale è che la terra di Palestina è stata data da Dio al popolo eletto, allora non può esserci nessun ragionamento politically correct, capace di convincere quella gente. Poiché non ci può essere alcun negoziato con Dio. L’idea stessa equivale a una bestemmia. Ecco: siamo già fuori da ogni politica, da ogni diplomazia.
Ne consegue che ci sarà un solo modo perché il centonovantaquattresimo stato delle Nazioni Unite possa vivere: costringere Israele a cedere quello che ha rubato.
Non potrà farlo Davide. Dovranno farlo, prima che il peggio precipiti, coloro che, fino a oggi, hanno consentito a Golia di diventare un aguzzino. Cioè Stati Uniti e Europa. Se qualcuno vede segni di saggezza a Washington e a Bruxelles, mi faccia un fischio.
Scrivo mentre la Assemblea dell’Onu discute il riconoscimento formale dello Stato Palestinese. Sarà un grande ed inedito passo avanti verso il soddisfacimento dei diritti di quel popolo, conculcati, vilmente, cinicamente, dalla cosiddetta comunità internazionale, cioè dai grandi e cinici padroni del mondo, per sessanta interminabili anni. Ma io guardo la cartina geografica e vedo come stanno le cose oggi. Vedo cos’era la Palestina nel 1946, cosa ne fu nel 1947, cosa ne restò nel 1967. E vedo adesso un puzzle di micro territori staccati gli uni dagli altri, un quinto, un decimo, forse meno, di quel territorio originario, fatto di misere nicchie isolate, impoverite, senz’acqua, senza diritti, vessate, martoriate.
E penso: può questa ragnatela sottile di vite e di terre ancora costituire uno Stato per il popolo palestinese, per i 15 milioni di palestinesi cha hanno dovuto fuggire, o ritirarsi, o rinunciare perfino alle loro case? Penso di no. Penso che sia ormai tardi per l’idea di due stati, due popoli. Semplicemente perché uno dei due popoli ha sopraffatto l’altro, con la forza, con l’inganno, con la protezione degli Stati Uniti d’America e dell’Arabia Saudita, con la connivenza dell’Europa e in generale dell’Occidente.
Davide è stato il popolo palestinese, e non ha avuto nessuna fionda per abbattere un Golia armato fino ai denti. Bene, anzi male. Per loro e per noi, temo. Ma io sono andato lo stesso a dare la mia solidarietà a Davide.
L’ho fatto per semplice senso di giustizia e anche perché penso che questa è davvero l’ultima occasione per aiutare a rinsavire il popolo di Israele e i suoi governanti. Poi comincerà per loro la discesa agl’inferi alla quale hanno costretto i palestinesi in questo oltre mezzo secolo di torture. Perché potranno forse impadronirsi anche di quelle ultime ragnatele di terre rimaste in mano ai palestinesi, ma non potranno reggere di fronte alla vendetta della storia, della demografia, della lenta e inesorabile agonia del loro protettore di Washington e di Wall Street. Penso che non rinsaviranno, i dirigenti di Israele. Anzi diverranno sempre più cattivi, intransigenti, padroni.
Sono stati abili: hanno fatto credere, a coloro che fingevano di credere, che fossero disposti a trattare.
E anno dopo anno, mentre dicevano di trattare, hanno portato via altre terre, hanno creato altri insediamenti, hanno esteso il loro potere. Appoggiati dal mainstream mondiale hanno fatto passare l’idea che a non voler trattare fossero gli “estremisti” palestinesi. Neanche ora tratteranno. Spero che la mia previsione si riveli errata. Lo spero vivamente. Ma temo che sarà un errore, come lo è sempre stato in passato, quello di applicare allo Stato di Israele le categorie del politically correct.
Il fatto è che il sionismo fanatico degli attuali dirigenti di Israele non può essere, per definizione, politically correct.
Se l’idea fondante della politica di questo Stato confessionale è che la terra di Palestina è stata data da Dio al popolo eletto, allora non può esserci nessun ragionamento politically correct, capace di convincere quella gente. Poiché non ci può essere alcun negoziato con Dio. L’idea stessa equivale a una bestemmia. Ecco: siamo già fuori da ogni politica, da ogni diplomazia.
Ne consegue che ci sarà un solo modo perché il centonovantaquattresimo stato delle Nazioni Unite possa vivere: costringere Israele a cedere quello che ha rubato.
Non potrà farlo Davide. Dovranno farlo, prima che il peggio precipiti, coloro che, fino a oggi, hanno consentito a Golia di diventare un aguzzino. Cioè Stati Uniti e Europa. Se qualcuno vede segni di saggezza a Washington e a Bruxelles, mi faccia un fischio.
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