Il 1° Maggio 1886, a Chicago una grande manifestazione operaia per la riduzione dell’orario di lavoro, venne repressa nel sangue. Da allora, in tutto il mondo, il Primo Maggio è diventato, a livello internazionale, la data simbolica delle lotte dei lavoratori per la riduzione della giornata lavorativa, grazie alle quali, per più di un secolo, i lavoratori e le classi subalterne hanno costantemente migliorato le loro condizioni materiali.
La storia del Primo Maggio testimonia
il carattere internazionale della classe operaia, una natura che mescola
lingue, tradizioni, movimenti migratori e connette uomini e donne e il loro
agire sociale alla loro condizione di classe. La riduzione della giornata
lavorativa è stato il risultato dell’azione dei lavoratori in tutto il mondo,
al di là di ogni divisione nazionale, etnica o religiosa. La contemporaneità
delle manifestazioni del 1° Maggio in tutto il mondo e l’aggiungersi nel tempo
di nuovi paesi ne sono la prova.
Ciò che oggi divide i lavoratori e le
lavoratrici, non sono le oltre seimila lingue e neppure le tante diversità
ideologiche e religiose. A rendere le differenze rilevanti, e spesso
devastanti, sono i circa duecento Stati che ancora si contendono i confini e
che quasi mai corrispondono a delle nazioni.
L’internazionalismo è oggi più che mai
la risposta necessaria contro una borghesia che internazionalizza l’economia ma
non riesce a superare lo Stato-nazione che è intrinsecamente connesso alla sua
affermazione come classe. Né l’Unione Europea di padroni, finanzieri e
speculatori ha dato risposte differenti in questo senso, estendendone gli
effetti negativi.
Ogni anno, milioni di nuovi lavoratori
salariati entrano sulla scena sociale mondiale, trasformando, insieme ai
rapporti tra le potenze, l’equilibrio tra le classi. Coloro che hanno
teorizzato la nascita della società postindustriale, con una struttura liquida
dalla storia finita e suggellata dal neoliberismo trionfante e una classe
operaia vecchia, residuale e in via di estinzione, oggi balbettano di fronte
all’enorme processo di proletarizzazione che avviene principalmente in Asia e nel
sud del mondo e che determina in Occidente l’impoverimento generalizzato del
“ceto medio” e l’arrivo inarrestabile di un nuovo e giovane proletariato
immigrato.
La crisi “finanziaria” è solo il
sintomo più evidente della decadenza profonda del Capitalismo che, lontano dal
riuscire a risolverla, non riesce neanche ad arginarla con i consueti e
collaudati strumenti del welfare e/o con riconversioni della produzione in
chiave “ecologica”. Crisi economica partita dagli USA e passata in Europa, dove
ha accelerato il processo d’impoverimento delle classi subalterne che era già
in atto, si è allargata ai paesi della sponda sud del mediterraneo e ad altri
paesi poveri del mondo, dai quali, è facile aspettarsi che continueranno a
giungere nuove e massicce ondate migratorie.
Oggi è esigenza indispensabile che i
lavoratori e i giovani costruiscano una concreta unità di lotta, con i
lavoratori immigrati. Solo sul terreno della lotta, dell’azione diretta,
indipendente e di massa i lavoratori possono difendersi dagli effetti “sociali”
della crisi.
La riduzione dell’orario di lavoro a
parità di salario, insieme al salario sociale (casa, sanità, istruzione e
trasporti gratuiti) possono essere la barriera difensiva all’uso padronale
della crisi. La riduzione dell’orario, con il miglioramento dei livelli
salariali, presuppone, la sottrazione del tempo di vita allo sfruttamento e una
redistribuzione delle ricchezze che, già di per se, minano le fondamenta stesse
del Capitalismo.
La diminuzione dell’orario lavorativo,
l’accoglienza di tutti i lavoratori stranieri, il salario sociale, non possono
essere solo rivendicazioni da fare a qualche governo, bensì necessitano della
crescita di percorsi collettivi di lotta, ispirati alla massima solidarietà
internazionalista, con la diffusione dell’azione diretta e lo sviluppo di
pratiche di autorganizzazione sociale.
SVILUPPIAMO E RAFFORZIAMO LA SOLIDARIETA’
INTERNAZIONALE!
Zag(c)
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