di Franco Pinerolo - paneacqua -
Il lavoro precario, che ormai riguarda l’80% delle nuove assunzioni, e circa 7 milioni di persone (dati Isfol), rappresenta una vera emergenza nazionale. Ma nonostante ciò, la riduzione drastica delle 46 modalità contrattuali “atipiche” esistenti, assicurata inizialmente dal Ministro Fornero, è stata incredibilmente accantonata
Il lavoro precario, che ormai riguarda l’80% delle nuove assunzioni, e circa 7 milioni di persone (dati Isfol), rappresenta una vera e propria emergenza nazionale, una realtà contrattuale senza tutele e diritti. Ma nonostante ciò, la riduzione drastica delle 46 (!) modalità contrattuali “atipiche” esistenti, assicurata inizialmente dal Ministro Fornero, è stata poi incredibilmente accantonata, per intervenire solo su alcune specifiche tipologie contrattuali sia applicando nuove pratiche amministrative disincentivanti -anche se per certi aspetti carenti-, sia stabilendo nuovi oneri contributivi, che però rischiano di andare a detrimento anziché a vantaggio dei precari, come vedremo.
CONTRATTI A TERMINE (O A TEMPO DETERMINATO)
CONTRATTI A TERMINE (O A TEMPO DETERMINATO)
a) Si tenta lo scoraggiamento di questo tipo di contratti attraverso una penalizzazione, un contributo aggiuntivo dell’1,4%, ma c’è il rischio, per non dire la certezza, che molti (im)prenditori ne scarichino il costo sulle spalle dei lavoratori. Per evitare questo pericolo il governo avrebbe dovuto accompagnare il contributo con un tetto minimo salariale, in modo che i lavoratori non potessero percepire meno di una certa cifra. Nel documento finale della Ministra Fornero, invece, il tetto minimo non c’è.
b) il contributo aggiuntivo dell’1,4% potrebbe avere come conseguenza quella di far ingrossare le fila delle 4 milioni di partite Iva, che diventerebbero per gli imprenditori più convenienti.
c) il contributo aggiuntivo dell’1,4% non si applicherà né ai contratti stipulati per ragioni di carattere sostitutivo (ad es. a chi è assente per maternità) né ai contratti a termine stagionali, né agli apprendisti: in pratica non si applicherà alla stragrande maggioranza dei contratti a termine!
d) Suona come un paradosso beffardo il fatto che il contributo aggiuntivo dell’1,4% vada a finanziare proprio ASpI e mini-ASpI (una sorta di indennità di disoccupazione introdotte con questa riforma), da cui molte tipologie di lavoro precario sono invece tagliate fuori (ne sono esclusi co.co.pro., co.co.co, collaborazioni occasionali, a chiamata, finte partite IVA, associati in partecipazione, ecc..)
e) è grave che al primo contratto a termine di durata non superiore a sei mesi sia stata tolta la causale, che era stata finora il deterrente per l’abuso di
questo tipo di contratto. Il lavoratore potrà così essere sciolto anche senza bisogno di indicare il motivo preciso del licenziamento (di carattere tecnico, produttivo, organizzativo). In questo modo la precarietà complessiva viene notevolmente aumentata e resa lecita, permettendo l’abuso del contratto a termine,reiterabile senza limiti per lo stesso lavoratore, in un’altra mansione o con un’altra impresa. La conseguenza potrà anche essere che un datore di lavoro potrà avere forza lavoro di basso livello anche tutta composta di contratti precari, purché ogni sei mesi li sostituisca previa una breve formazione che gli uscenti dovranno fornire agli entranti, usufruendo pure dei “50 giorni” di sforamento concessi per il passaggio delle consegne. L’assenza di causale per il primo contratto a termine è quindi antitetica alle finalità dell’attuale disegno di legge (art.1) che ribadisce essere il lavoro subordinato a tempo indeterminato la forma comune di rapporto di lavoro.
f) La Ministra Fornero illude che allungando l’intervallo tra la stesura di un contratto a termine e l’altro con lo stesso soggetto si possa evitare che centinaia di migliaia di lavoratori continuino a essere precari. Evidentemente alla Fornero sfugge che la vigente normativa consente ai datori di lavoro di reiterare il ricorso al tempo determinato – non necessariamente con gli stessi soggetti – grazie a “causali” di tipo generico. Inoltre allungando il periodo minimo che deve intercorrere fra la scadenza di un contratto ed il suo rinnovo, si costringe di fatto il lavoratore a rimanere disoccupato per un periodo temporale più lungo.
g) Per sanzionare l’utilizzo improprio di contratti a termine, si continua a privilegiare il canale dell’indennizzo giudiziario con un minimo di 2,5 mensilità, davvero modesto, anziché la forma più logica della conversione del contratto a tempo indeterminato
h) È ridotto il periodo entro il quale si deve depositare il ricorso in Tribunale
i) i contratti a termine vengono ulteriormente penalizzati a causa dell’introduzione del trattamento speciale riservato ai lavoratori «svantaggiati» affittati dalle agenzie interinali alle aziende con uno sconto del 20% sulle tabelle contrattuali.
l) Dopo 36 mesi di contratti a tempo determinato il governo consente di far scattare l’assunzione definitiva, ma questo avveniva anche ora (d. lgs. n. 368 del 2001).
m) per i contratti a termine manca una copertura contributiva nei periodi di non lavoro, cosicchè i precari si ritroveranno in pensione con quasi nulla.
I CONTRATTI A PROGETTO (GIÀ CO.CO.CO)
Questa forma contrattuale non viene abolita, come promesso inizialmente dal Ministro Fornero
a) Occorre prevedere che i compensi non possano mai essere inferiori a quanto previsto, per professionalità analoghe dai CCNL applicati dal committente; questo per scongiurare una concorrenza sleale fra forme di lavoro
b) Per questo tipo di contratto c’è una limitazione a mansioni non solo esecutive o ripetitive. Il progetto non potrà limitarsi a riproporre, come spesso avviene, l’oggetto sociale dell’azienda. Se il progetto manca, il contratto diventa a tempo indeterminato. Se l’attività del lavoratore a progetto finisce per essere sostanzialmente simile, per orario o per compiti svolti, a quella del dipendente, scatta la presunzione del carattere subordinato della prestazione. Viene eliminata la facoltà di introdurre clausole individuali che consentano il recesso del datore di lavoro prima della scadenza del termine o comunque del completamento del progetto, anche in mancanza di una giusta causa, fermo l’obbligo di dare comunque il preavviso al collaboratore
c) Per i collaboratori l’aliquota contributiva previdenziale aumenta di un punto l’anno fino a raggiungere nel 2018 il 33%: dunque anche per i contratti a progetto, come per quelli a termine, l’aumento del carico contributivo rischia di rappresentare una beffa, poiché non e’ prevista nessuna salvaguardia sui salari minimi di compenso. Così sarà facile per certi (im)prenditori caricare sui lavoratori l’aumento di costo riducendo il compenso netto in busta paga, come già purtroppo avviene con le clausole inserite in alcuni nuovi contratti dei collaboratori.
d) gli aumenti di contributi sociali a favore della gestione separata dell’Inps da parte dei collaboratori a progetto avvengono a fronte di nessuna estensione degli ammortizzatori sociali, poiché i collaboratori sono esclusi dall’ASPI.
e) i sindacati confederali avanzavano la necessità di individuare da parte della contrattazione collettiva una soglia di reddito al di sotto della quale non sia possibile accendere a rapporti di lavoro autonomo.
f) per distinguere il vero dal falso lavoro autonomo, non è stata nemmeno oggetto di discussione la possibilità di indicare come criterio identificativo del lavoro dipendente la cosiddetta “doppia alienità”: dei mezzi di produzione e del risultato utile della prestazione. Dunque queste tipologie di lavoro continueranno ad essere utilizzate per coprire la realtà di rapporti di lavoro subordinato
g) manca una copertura contributiva per i periodi di non lavoro di questa tipologia di lavoro, così si andrà in pensione con quasi nulla.
h) grazie ai sindacati c’è un impegno a rendere strutturale l’una tantum riservata ai co. co. pro, un paracadute per il disoccupato che ha bisogno di un sostegno al reddito. Oggi l’una tantum è pari al 30% del reddito dell’anno precedente, con un tetto di 4 mila euro. Ma i requisiti sono più restrittivi di prima, quando di fatto già l’83% dei fondi stanziati per il triennio 2009-2011 non è stato utilizzato (35 milioni su 200), con il 69% di domande respinte (28.674 su 42.550). Senza una revisione, questa salvaguardia continuerà ad essere inutile, oltre che limitato.
COLLABORAZIONI O CONSULENZE CON PARTITA IVA
Solo nel 2011 ne sono state aperte ben 535 mila, di cui quasi la metà da parte di giovani, e spesso nascondono veri e propri abusi. Chi è costretto ad aprire una partita Iva, si deve accollare totalmente il costo dei contributi, che altrimenti sarebbe ripartito con la committenza. È dunque un sistema per le imprese per risparmiare sul costo del lavoro, dal momento che si guadagna in media la miseria di 8mila euro l’anno.
a) Le partite IVA smascherate non vengono riconosciute come lavoro subordinato ma c’è la loro trasformazione a rapporto di collaborazione coordinato e continuativo e solo poi, eventualmente, in subordinato se ricorrono 2 di questi 3 requisiti: una collaborazione che dura più di sei mesi nell’arco dell’anno, che determina più del 75% dei ricavi del lavoratore, e che ha la postazione del lavoro presso una delle sedi del committente. Ma nessun datore di lavoro è così stupido, se utilizza una falsa partita Iva, da fargli un incarico continuativo di più di 6 mesi o da dargli addirittura una scrivania ed un computer, quindi il 90% delle casistiche di false partite Iva non saranno per niente coinvolte. Inoltre questa norma si applicherà non subito, ma dopo un anno dall’entrata in vigore della legge
b) la stretta dei requisiti sopra descritta non vale per i professionisti che hanno un albo e un ordine professionale, quindi per giornalisti, ingegneri, architetti, avvocati, che sono quelli per i quali abitualmente ci si avvale delle false partire Iva.
c) i pesanti aumenti dei contributi sociali nei confronti delle partite IVA avvengono a fronte di nessuna estensione degli ammortizzatori sociali (ASpI e mini-AspI, una sorta di indennità di disoccupazione), da cui essi sono tagliati fuori.
d) manca una copertura contributiva per i periodi di non lavoro, quindi andranno in pensione con quasi nulla.
CONTRATO DI APPRENDISTATO
Nelle intenzioni del governo l’apprendistato deve diventare il canale privilegiato di accesso dei giovani -ma fino ai 29 anni- al mondo del lavoro, e può durare al massimo fino ai 34 anni, mentre ben più elevata e sopra i 40 anni è l’età che possono raggiungere i lavoratori precari. In realtà questa forma di contratto è senza alcuna garanzia dell’assunzione a tempo indeterminato alla fine del triennio di apprendistato e assomiglia ai tanti altri lavori precari già esistenti.
a) l’apprendistato in realtà ha come unico obiettivo quello di abbassare il costo del lavoro, di diminuire le tutele, di poter licenziare senza copertura dell’art. 18 solo con un modesto rimborso economico. Sono dunque 3 anni di apprendistato nel corso del quale il giovane lavoratore senza ammalarsi, fare figli, scioperare o avanzare rivendicazioni di sorta, è perennemente sotto ricatto occupazionale. I vantaggi per gli imprenditori saranno un’aliquota contributiva ridotta al 10%, o addirittura pari a zero per i primi 3 anni di contratto di apprendistato, come previsto in base alle nuove norme per le imprese fino a 9 dipendenti; rispetto al contratto a tempo determinato le aziende risparmieranno fino al 25% del costo del lavoro, e, rispetto al lavoro somministrato, anche il 10-15% di ricarico per le agenzie intermediarie; e poi c’è la possibilità di “sotto-nquadramento”, con 2 livelli in meno rispetto ai lavoratori ordinari che svolgono le stesse mansioni, come afferma il Sole 24 ore; infine c’è la riduzione dei contributi previdenziali che porterà alla riduzione dell’ammontare futuro delle pensioni.
b) la percentuale di apprendisti stabilizzati per poter procedere a nuove assunzioni, e’ stata ridotta per il primo triennio al 30 per cento ed e’ una percentuale troppo bassa che, combinata con la possibilità per le imprese di assumere 3 apprendisti ogni 2 lavoratori regolari (mentre prima era 1 ogni 1), può portare ad un utilizzo prevalente di queste forme di lavoro, che è a costi più bassi. Aspetto dunque totalmente contraddittorio con gli obiettivi della presente riforma, che all’art. 1 ribadisce essere il lavoro subordinato a tempo indeterminato la forma comune di rapporto di lavoro.
c) Nel testo presentato alle Camere è stata inserita arbitrariamente dal governo la possibilità di utilizzo della somministrazione a tempo determinato per gli apprendisti, che va soppressa.
d) va evitato il rischio di svuotamento del ruolo di contratto formativo dell’apprendistato attraverso lasuccessione di più contratti, con la totale deresponsabilizzazione dell’utilizzatore in ordine al percorso di apprendistato.
e) c’è un allungamento spropositato e del tutto ingiustificato da un punto di vista professionale dei tempi di prova: 3 anni sono un periodo insensatamente lungo, dato che l’80% dei lavori ha un contenuto professionale molto limitato, che nella maggior parte dei casi si impara in qualche settimana.
f) se il lavoratore fosse licenziato e trovasse occupazione presso un’altra azienda, il suo apprendistato precedente verrebbe azzerato, e questo meccanismo potrebbe protrarsi per sempre.
g) è una tipologia di lavoro che ha il difetto di poter servire a diminuire progressivamente il numero dei lavoratori a tempo indeterminato provvisti di tutele.
h) la durata minima è di 6 mesi ma resta purtroppo la scappatoia di poter essere licenziati poco prima dei 3 anni
IL LAVORO INTERMITTENTE O A CHIAMATA
Negli ultimi tempi ha fatto registrare una forte crescita, ma anche molti abusi, diventando un surrogato del contratto subordinato. CGIL-CISL-UIL avevano segnalato la necessità di sopprimere questo istituto, ma è stato inutile.
a) non c’è la volontà di contrastare realmente gli abusi, perché, per evitare che il contratto a chiamata possa coprire forme di utilizzo in nero, nel disegno di legge viene previsto l’obbligo di effettuare una comunicazione amministrativa, che è una prassi troppo snella e inefficace dal momento che basterebbe una semplice telefonata in occasione di ogni chiamata del lavoro. E poi chi volesse utilizzare il lavoro a chiamata per coprire forme illegali di utilizzo di manodopera, se ne guarderà bene dall’obbligo di fare la comunicazione amministrativa.
b) manca una copertura contributiva per i periodi di non lavoro di questa tipologia di lavoro precario, così i lavoratori andranno in pensione con quasi nulla.
CONTRATTI A TEMPO PARZIALE
a) Per evitare che il contratto a tempo parziale possa coprire forme elusive di utilizzo in nero della manodopera, si prevede un inefficace obbligo di comunicazione amministrativa da parte del datore di lavoro, da dare in caso di modifica dell’orario di lavoro. Ovviamente chi volesse utilizzare tali strumenti per coprire forme illegali di utilizzo di manodopera, se ne guarderà dall’adempiere all’obbligo di fare la comunicazione amministrativa, e questo testimonia come non vi sia, da parte del governo, la volontà di contrastare realmente gli abusi commessi dai datori di lavoro.
b) è necessario che, come vorrebbero i sindacati, alla luce della riforma previdenziale, venga rafforzata la possibilità di utilizzare il part-time in uscita negli ultimi 5 anni di attività lavorativa, prevedendo il riconoscimento della contribuzione figurativa per le ore settimanali non lavorate.
c) Nel part time, a certe condizioni, il lavoratore potrà chiedere l’eliminazione delle clausole elastiche sull’orario d’impiego
LAVORO IN SOMMINISTRAZIONE (EX INTERINALE)
a) sono accendibili in assenza di qualsivoglia “esigenza di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo” purché di durata non superiore a “sei mesi” (che però, in assenza di proroga, possono proseguire per altri 50 giorni senza dar luogo a conversione). Ciò significa che un datore di lavoro potrà avere anche tutta la propria forza lavoro con contratti precari, purché ogni sei mesi li sostituisca, utilizzando anche i 50 giorni di sforamento concessi per il passaggio delle consegne e una breve formazione che gli uscenti dovranno fornire agli entranti. Tutto questo in contrasto con le finalità del disegno di legge (art.1) che ribadisce essere il lavoro subordinato a tempo indeterminato la forma comune di rapporto di lavoro
b) in tutti i casi in cui vengano assunti con contratto di somministrazione una platea amplissima di soggetti (lavoratori cosiddetti svantaggi, ultracinquantenni, i privi di diploma superiore, adulti soli con una o più persone a carico ecc), vengono eliminati sia l’obbligo di fornire i motivi del ricorso al lavoro interinale (causali) sia i tetti quantitativi previsti dai contratti, facendolo diventare così l’alternativa o lo sbocco dei contratti a termine e lo sbocco per gli espulsi dai processi produttivi.
c) Non c’è nessuna norma simile a quella prevista per l’apprendistato, che all’art. 5 impone che l’assunzione di nuovi precari dallo stesso datore di lavoro sia possibile solo se almeno il 50 per cento di essi prosegue il rapporto di lavoro al termine del periodo. Mancando dunque una norma di salvaguardia di questo tipo, i lavoratori assunti con questa tipologia di contratto saranno continuamente “usa e getta”.
d) manca una copertura contributiva per i periodi di non lavoro dei precari, così chi usufruisce di questo tipo di lavoro andrà in pensione con quasi nulla.
ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE:
a) Il testo presentato alle Camere contraddice il contenuto del confronto svolto con le organizzazioni sindacali, che limitava l’attivazione dei rapporti di associazione in partecipazione ai soli familiari entro il 1° grado o coniugi. Ora l’associazione in partecipazione viene nuovamente estesa a tre associati, più coloro che sono legati da rapporto coniugale, di parentela entro il terzo grado e affinità entro il secondo. Questo consente di utilizzare questa tipologia al posto del lavoro dipendente ad esempio in esercizi commerciali anche di una certa dimensione, come già avviene: i 52mila associati guadagnano in media la miseria di 9mila euro l’anno e alle commesse viene chiesto di sottoscrivere questa modalità contrattuale per condividere i frutti dell’impresa, con la conseguenza che in alcuni casi hanno dovuto pagare pure le perdite.
b) gli associati in partecipazione non usufruiscono di ASpI e mini-ASpI (una sorta di indennità di disoccupazione introdotte con questa riforma).
STAGE E TIROCINI
Sono rinviati a una delega. Nella delega deve essere confermata la possibilità di svolgimento unicamente nel percorso formativo.
LAVORO ACCESSORIO
a) Nel testo presentato alle Camere va ripristinato il riferimento al valore orario del voucher, previsto nel confronto svolto con le parti sociali (Documento varato dal CdM del 23 marzo).
b) si assiste ad un’estensione della possibilità di utilizzo del voucher all’intera attività agricola stagionale: questo significa portare tutti i lavoratori agricoli nella soglia dei
senza diritti, destrutturare il lavoro agricolo, renderlo più illegale, accessorio, eliminando i vincoli contrattuali per le imprese nel nome della semplificazione. Ricordiamo che in questo campo siamo in presenza di forme diffuse di lavoro nero, anche fra i lavoratori iscritti negli elenchi regolari, in prevalenza immigrati, molti dei quali sono senza diritti, quindi senza pensioni, malattia edisoccupazione.
CONCLUSIONE LAVORO PRECARIO ED ATIPICO
Come si può notare, dunque, il disegno di legge presenta numerose carenze anche per quanto riguarda la parte del lavoro atipico e precario. Sarebbe opportuno quindi che in sede parlamentare se ne prendesse atto, decidendo di intervenire per porvi rimedio. Ci si sarebbe aspettato molto di più da un governo che si proclama “di tecnici” ma che, del resto, ci ha già sorpreso in negativo per le semplicistiche quanto crudeli -verso i meno abbienti- decisioni adottate nella prima manovra economica di dicembre 2011 su Irpef, ICI, benzina e IVA, usando le pensioni come Bancomat pur essendo il sistema in equilibrio fino al 2050, provocando centinaia di migliaia di esodati rimasti senza lavoro e senza pensione e producendo come risultato la perdita di 800mila nuovi posti di lavoro per i giovani a causa dell’allungamento dell’età pensionabile. E oggi che 3 nuovi “consulenti” tecnici vengono chiamati di fatto a sostituire nelle competenze il governo, vediamo con chiarezza la conferma della manifesta incapacità di questa compagine governativa, che si mostra in grado più di raccontarla che di fare.
Riguardo alla “riforma” del lavoro precario, si può constatare come non solo non aumenti i posti di lavoro, ma lasci anche del tutto inevasa la necessaria riduzione delle numerose, infernali tipologie contrattuali precarie ed atipiche esistenti: uno strano modo davvero di rispondere alla crisi! Monti e Fonero non hanno voluto puntare sulla valorizzazione del lavoro proseguendo e peggiorando una tendenza sbagliata che fa leva sulla riduzione dei costi fondata sul lavoro “usa e getta”, anziché adoperarsi per incentivare la ricerca, l’innovazione tecnologica e di prodotto. Ma, come ha detto giustamente Monsignor Bregantini, “il lavoratore non è una merce, non lo si può trattare come un prodotto da dimettere”, e dunque la bussola dovrebbe tornare ad essere un neo-umanesimo laburista, che restituisca serenità e dignità alla persona che lavora.
b) il contributo aggiuntivo dell’1,4% potrebbe avere come conseguenza quella di far ingrossare le fila delle 4 milioni di partite Iva, che diventerebbero per gli imprenditori più convenienti.
c) il contributo aggiuntivo dell’1,4% non si applicherà né ai contratti stipulati per ragioni di carattere sostitutivo (ad es. a chi è assente per maternità) né ai contratti a termine stagionali, né agli apprendisti: in pratica non si applicherà alla stragrande maggioranza dei contratti a termine!
d) Suona come un paradosso beffardo il fatto che il contributo aggiuntivo dell’1,4% vada a finanziare proprio ASpI e mini-ASpI (una sorta di indennità di disoccupazione introdotte con questa riforma), da cui molte tipologie di lavoro precario sono invece tagliate fuori (ne sono esclusi co.co.pro., co.co.co, collaborazioni occasionali, a chiamata, finte partite IVA, associati in partecipazione, ecc..)
e) è grave che al primo contratto a termine di durata non superiore a sei mesi sia stata tolta la causale, che era stata finora il deterrente per l’abuso di
questo tipo di contratto. Il lavoratore potrà così essere sciolto anche senza bisogno di indicare il motivo preciso del licenziamento (di carattere tecnico, produttivo, organizzativo). In questo modo la precarietà complessiva viene notevolmente aumentata e resa lecita, permettendo l’abuso del contratto a termine,reiterabile senza limiti per lo stesso lavoratore, in un’altra mansione o con un’altra impresa. La conseguenza potrà anche essere che un datore di lavoro potrà avere forza lavoro di basso livello anche tutta composta di contratti precari, purché ogni sei mesi li sostituisca previa una breve formazione che gli uscenti dovranno fornire agli entranti, usufruendo pure dei “50 giorni” di sforamento concessi per il passaggio delle consegne. L’assenza di causale per il primo contratto a termine è quindi antitetica alle finalità dell’attuale disegno di legge (art.1) che ribadisce essere il lavoro subordinato a tempo indeterminato la forma comune di rapporto di lavoro.
f) La Ministra Fornero illude che allungando l’intervallo tra la stesura di un contratto a termine e l’altro con lo stesso soggetto si possa evitare che centinaia di migliaia di lavoratori continuino a essere precari. Evidentemente alla Fornero sfugge che la vigente normativa consente ai datori di lavoro di reiterare il ricorso al tempo determinato – non necessariamente con gli stessi soggetti – grazie a “causali” di tipo generico. Inoltre allungando il periodo minimo che deve intercorrere fra la scadenza di un contratto ed il suo rinnovo, si costringe di fatto il lavoratore a rimanere disoccupato per un periodo temporale più lungo.
g) Per sanzionare l’utilizzo improprio di contratti a termine, si continua a privilegiare il canale dell’indennizzo giudiziario con un minimo di 2,5 mensilità, davvero modesto, anziché la forma più logica della conversione del contratto a tempo indeterminato
h) È ridotto il periodo entro il quale si deve depositare il ricorso in Tribunale
i) i contratti a termine vengono ulteriormente penalizzati a causa dell’introduzione del trattamento speciale riservato ai lavoratori «svantaggiati» affittati dalle agenzie interinali alle aziende con uno sconto del 20% sulle tabelle contrattuali.
l) Dopo 36 mesi di contratti a tempo determinato il governo consente di far scattare l’assunzione definitiva, ma questo avveniva anche ora (d. lgs. n. 368 del 2001).
m) per i contratti a termine manca una copertura contributiva nei periodi di non lavoro, cosicchè i precari si ritroveranno in pensione con quasi nulla.
I CONTRATTI A PROGETTO (GIÀ CO.CO.CO)
Questa forma contrattuale non viene abolita, come promesso inizialmente dal Ministro Fornero
a) Occorre prevedere che i compensi non possano mai essere inferiori a quanto previsto, per professionalità analoghe dai CCNL applicati dal committente; questo per scongiurare una concorrenza sleale fra forme di lavoro
b) Per questo tipo di contratto c’è una limitazione a mansioni non solo esecutive o ripetitive. Il progetto non potrà limitarsi a riproporre, come spesso avviene, l’oggetto sociale dell’azienda. Se il progetto manca, il contratto diventa a tempo indeterminato. Se l’attività del lavoratore a progetto finisce per essere sostanzialmente simile, per orario o per compiti svolti, a quella del dipendente, scatta la presunzione del carattere subordinato della prestazione. Viene eliminata la facoltà di introdurre clausole individuali che consentano il recesso del datore di lavoro prima della scadenza del termine o comunque del completamento del progetto, anche in mancanza di una giusta causa, fermo l’obbligo di dare comunque il preavviso al collaboratore
c) Per i collaboratori l’aliquota contributiva previdenziale aumenta di un punto l’anno fino a raggiungere nel 2018 il 33%: dunque anche per i contratti a progetto, come per quelli a termine, l’aumento del carico contributivo rischia di rappresentare una beffa, poiché non e’ prevista nessuna salvaguardia sui salari minimi di compenso. Così sarà facile per certi (im)prenditori caricare sui lavoratori l’aumento di costo riducendo il compenso netto in busta paga, come già purtroppo avviene con le clausole inserite in alcuni nuovi contratti dei collaboratori.
d) gli aumenti di contributi sociali a favore della gestione separata dell’Inps da parte dei collaboratori a progetto avvengono a fronte di nessuna estensione degli ammortizzatori sociali, poiché i collaboratori sono esclusi dall’ASPI.
e) i sindacati confederali avanzavano la necessità di individuare da parte della contrattazione collettiva una soglia di reddito al di sotto della quale non sia possibile accendere a rapporti di lavoro autonomo.
f) per distinguere il vero dal falso lavoro autonomo, non è stata nemmeno oggetto di discussione la possibilità di indicare come criterio identificativo del lavoro dipendente la cosiddetta “doppia alienità”: dei mezzi di produzione e del risultato utile della prestazione. Dunque queste tipologie di lavoro continueranno ad essere utilizzate per coprire la realtà di rapporti di lavoro subordinato
g) manca una copertura contributiva per i periodi di non lavoro di questa tipologia di lavoro, così si andrà in pensione con quasi nulla.
h) grazie ai sindacati c’è un impegno a rendere strutturale l’una tantum riservata ai co. co. pro, un paracadute per il disoccupato che ha bisogno di un sostegno al reddito. Oggi l’una tantum è pari al 30% del reddito dell’anno precedente, con un tetto di 4 mila euro. Ma i requisiti sono più restrittivi di prima, quando di fatto già l’83% dei fondi stanziati per il triennio 2009-2011 non è stato utilizzato (35 milioni su 200), con il 69% di domande respinte (28.674 su 42.550). Senza una revisione, questa salvaguardia continuerà ad essere inutile, oltre che limitato.
COLLABORAZIONI O CONSULENZE CON PARTITA IVA
Solo nel 2011 ne sono state aperte ben 535 mila, di cui quasi la metà da parte di giovani, e spesso nascondono veri e propri abusi. Chi è costretto ad aprire una partita Iva, si deve accollare totalmente il costo dei contributi, che altrimenti sarebbe ripartito con la committenza. È dunque un sistema per le imprese per risparmiare sul costo del lavoro, dal momento che si guadagna in media la miseria di 8mila euro l’anno.
a) Le partite IVA smascherate non vengono riconosciute come lavoro subordinato ma c’è la loro trasformazione a rapporto di collaborazione coordinato e continuativo e solo poi, eventualmente, in subordinato se ricorrono 2 di questi 3 requisiti: una collaborazione che dura più di sei mesi nell’arco dell’anno, che determina più del 75% dei ricavi del lavoratore, e che ha la postazione del lavoro presso una delle sedi del committente. Ma nessun datore di lavoro è così stupido, se utilizza una falsa partita Iva, da fargli un incarico continuativo di più di 6 mesi o da dargli addirittura una scrivania ed un computer, quindi il 90% delle casistiche di false partite Iva non saranno per niente coinvolte. Inoltre questa norma si applicherà non subito, ma dopo un anno dall’entrata in vigore della legge
b) la stretta dei requisiti sopra descritta non vale per i professionisti che hanno un albo e un ordine professionale, quindi per giornalisti, ingegneri, architetti, avvocati, che sono quelli per i quali abitualmente ci si avvale delle false partire Iva.
c) i pesanti aumenti dei contributi sociali nei confronti delle partite IVA avvengono a fronte di nessuna estensione degli ammortizzatori sociali (ASpI e mini-AspI, una sorta di indennità di disoccupazione), da cui essi sono tagliati fuori.
d) manca una copertura contributiva per i periodi di non lavoro, quindi andranno in pensione con quasi nulla.
CONTRATO DI APPRENDISTATO
Nelle intenzioni del governo l’apprendistato deve diventare il canale privilegiato di accesso dei giovani -ma fino ai 29 anni- al mondo del lavoro, e può durare al massimo fino ai 34 anni, mentre ben più elevata e sopra i 40 anni è l’età che possono raggiungere i lavoratori precari. In realtà questa forma di contratto è senza alcuna garanzia dell’assunzione a tempo indeterminato alla fine del triennio di apprendistato e assomiglia ai tanti altri lavori precari già esistenti.
a) l’apprendistato in realtà ha come unico obiettivo quello di abbassare il costo del lavoro, di diminuire le tutele, di poter licenziare senza copertura dell’art. 18 solo con un modesto rimborso economico. Sono dunque 3 anni di apprendistato nel corso del quale il giovane lavoratore senza ammalarsi, fare figli, scioperare o avanzare rivendicazioni di sorta, è perennemente sotto ricatto occupazionale. I vantaggi per gli imprenditori saranno un’aliquota contributiva ridotta al 10%, o addirittura pari a zero per i primi 3 anni di contratto di apprendistato, come previsto in base alle nuove norme per le imprese fino a 9 dipendenti; rispetto al contratto a tempo determinato le aziende risparmieranno fino al 25% del costo del lavoro, e, rispetto al lavoro somministrato, anche il 10-15% di ricarico per le agenzie intermediarie; e poi c’è la possibilità di “sotto-nquadramento”, con 2 livelli in meno rispetto ai lavoratori ordinari che svolgono le stesse mansioni, come afferma il Sole 24 ore; infine c’è la riduzione dei contributi previdenziali che porterà alla riduzione dell’ammontare futuro delle pensioni.
b) la percentuale di apprendisti stabilizzati per poter procedere a nuove assunzioni, e’ stata ridotta per il primo triennio al 30 per cento ed e’ una percentuale troppo bassa che, combinata con la possibilità per le imprese di assumere 3 apprendisti ogni 2 lavoratori regolari (mentre prima era 1 ogni 1), può portare ad un utilizzo prevalente di queste forme di lavoro, che è a costi più bassi. Aspetto dunque totalmente contraddittorio con gli obiettivi della presente riforma, che all’art. 1 ribadisce essere il lavoro subordinato a tempo indeterminato la forma comune di rapporto di lavoro.
c) Nel testo presentato alle Camere è stata inserita arbitrariamente dal governo la possibilità di utilizzo della somministrazione a tempo determinato per gli apprendisti, che va soppressa.
d) va evitato il rischio di svuotamento del ruolo di contratto formativo dell’apprendistato attraverso lasuccessione di più contratti, con la totale deresponsabilizzazione dell’utilizzatore in ordine al percorso di apprendistato.
e) c’è un allungamento spropositato e del tutto ingiustificato da un punto di vista professionale dei tempi di prova: 3 anni sono un periodo insensatamente lungo, dato che l’80% dei lavori ha un contenuto professionale molto limitato, che nella maggior parte dei casi si impara in qualche settimana.
f) se il lavoratore fosse licenziato e trovasse occupazione presso un’altra azienda, il suo apprendistato precedente verrebbe azzerato, e questo meccanismo potrebbe protrarsi per sempre.
g) è una tipologia di lavoro che ha il difetto di poter servire a diminuire progressivamente il numero dei lavoratori a tempo indeterminato provvisti di tutele.
h) la durata minima è di 6 mesi ma resta purtroppo la scappatoia di poter essere licenziati poco prima dei 3 anni
IL LAVORO INTERMITTENTE O A CHIAMATA
Negli ultimi tempi ha fatto registrare una forte crescita, ma anche molti abusi, diventando un surrogato del contratto subordinato. CGIL-CISL-UIL avevano segnalato la necessità di sopprimere questo istituto, ma è stato inutile.
a) non c’è la volontà di contrastare realmente gli abusi, perché, per evitare che il contratto a chiamata possa coprire forme di utilizzo in nero, nel disegno di legge viene previsto l’obbligo di effettuare una comunicazione amministrativa, che è una prassi troppo snella e inefficace dal momento che basterebbe una semplice telefonata in occasione di ogni chiamata del lavoro. E poi chi volesse utilizzare il lavoro a chiamata per coprire forme illegali di utilizzo di manodopera, se ne guarderà bene dall’obbligo di fare la comunicazione amministrativa.
b) manca una copertura contributiva per i periodi di non lavoro di questa tipologia di lavoro precario, così i lavoratori andranno in pensione con quasi nulla.
CONTRATTI A TEMPO PARZIALE
a) Per evitare che il contratto a tempo parziale possa coprire forme elusive di utilizzo in nero della manodopera, si prevede un inefficace obbligo di comunicazione amministrativa da parte del datore di lavoro, da dare in caso di modifica dell’orario di lavoro. Ovviamente chi volesse utilizzare tali strumenti per coprire forme illegali di utilizzo di manodopera, se ne guarderà dall’adempiere all’obbligo di fare la comunicazione amministrativa, e questo testimonia come non vi sia, da parte del governo, la volontà di contrastare realmente gli abusi commessi dai datori di lavoro.
b) è necessario che, come vorrebbero i sindacati, alla luce della riforma previdenziale, venga rafforzata la possibilità di utilizzare il part-time in uscita negli ultimi 5 anni di attività lavorativa, prevedendo il riconoscimento della contribuzione figurativa per le ore settimanali non lavorate.
c) Nel part time, a certe condizioni, il lavoratore potrà chiedere l’eliminazione delle clausole elastiche sull’orario d’impiego
LAVORO IN SOMMINISTRAZIONE (EX INTERINALE)
a) sono accendibili in assenza di qualsivoglia “esigenza di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo” purché di durata non superiore a “sei mesi” (che però, in assenza di proroga, possono proseguire per altri 50 giorni senza dar luogo a conversione). Ciò significa che un datore di lavoro potrà avere anche tutta la propria forza lavoro con contratti precari, purché ogni sei mesi li sostituisca, utilizzando anche i 50 giorni di sforamento concessi per il passaggio delle consegne e una breve formazione che gli uscenti dovranno fornire agli entranti. Tutto questo in contrasto con le finalità del disegno di legge (art.1) che ribadisce essere il lavoro subordinato a tempo indeterminato la forma comune di rapporto di lavoro
b) in tutti i casi in cui vengano assunti con contratto di somministrazione una platea amplissima di soggetti (lavoratori cosiddetti svantaggi, ultracinquantenni, i privi di diploma superiore, adulti soli con una o più persone a carico ecc), vengono eliminati sia l’obbligo di fornire i motivi del ricorso al lavoro interinale (causali) sia i tetti quantitativi previsti dai contratti, facendolo diventare così l’alternativa o lo sbocco dei contratti a termine e lo sbocco per gli espulsi dai processi produttivi.
c) Non c’è nessuna norma simile a quella prevista per l’apprendistato, che all’art. 5 impone che l’assunzione di nuovi precari dallo stesso datore di lavoro sia possibile solo se almeno il 50 per cento di essi prosegue il rapporto di lavoro al termine del periodo. Mancando dunque una norma di salvaguardia di questo tipo, i lavoratori assunti con questa tipologia di contratto saranno continuamente “usa e getta”.
d) manca una copertura contributiva per i periodi di non lavoro dei precari, così chi usufruisce di questo tipo di lavoro andrà in pensione con quasi nulla.
ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE:
a) Il testo presentato alle Camere contraddice il contenuto del confronto svolto con le organizzazioni sindacali, che limitava l’attivazione dei rapporti di associazione in partecipazione ai soli familiari entro il 1° grado o coniugi. Ora l’associazione in partecipazione viene nuovamente estesa a tre associati, più coloro che sono legati da rapporto coniugale, di parentela entro il terzo grado e affinità entro il secondo. Questo consente di utilizzare questa tipologia al posto del lavoro dipendente ad esempio in esercizi commerciali anche di una certa dimensione, come già avviene: i 52mila associati guadagnano in media la miseria di 9mila euro l’anno e alle commesse viene chiesto di sottoscrivere questa modalità contrattuale per condividere i frutti dell’impresa, con la conseguenza che in alcuni casi hanno dovuto pagare pure le perdite.
b) gli associati in partecipazione non usufruiscono di ASpI e mini-ASpI (una sorta di indennità di disoccupazione introdotte con questa riforma).
STAGE E TIROCINI
Sono rinviati a una delega. Nella delega deve essere confermata la possibilità di svolgimento unicamente nel percorso formativo.
LAVORO ACCESSORIO
a) Nel testo presentato alle Camere va ripristinato il riferimento al valore orario del voucher, previsto nel confronto svolto con le parti sociali (Documento varato dal CdM del 23 marzo).
b) si assiste ad un’estensione della possibilità di utilizzo del voucher all’intera attività agricola stagionale: questo significa portare tutti i lavoratori agricoli nella soglia dei
senza diritti, destrutturare il lavoro agricolo, renderlo più illegale, accessorio, eliminando i vincoli contrattuali per le imprese nel nome della semplificazione. Ricordiamo che in questo campo siamo in presenza di forme diffuse di lavoro nero, anche fra i lavoratori iscritti negli elenchi regolari, in prevalenza immigrati, molti dei quali sono senza diritti, quindi senza pensioni, malattia edisoccupazione.
CONCLUSIONE LAVORO PRECARIO ED ATIPICO
Come si può notare, dunque, il disegno di legge presenta numerose carenze anche per quanto riguarda la parte del lavoro atipico e precario. Sarebbe opportuno quindi che in sede parlamentare se ne prendesse atto, decidendo di intervenire per porvi rimedio. Ci si sarebbe aspettato molto di più da un governo che si proclama “di tecnici” ma che, del resto, ci ha già sorpreso in negativo per le semplicistiche quanto crudeli -verso i meno abbienti- decisioni adottate nella prima manovra economica di dicembre 2011 su Irpef, ICI, benzina e IVA, usando le pensioni come Bancomat pur essendo il sistema in equilibrio fino al 2050, provocando centinaia di migliaia di esodati rimasti senza lavoro e senza pensione e producendo come risultato la perdita di 800mila nuovi posti di lavoro per i giovani a causa dell’allungamento dell’età pensionabile. E oggi che 3 nuovi “consulenti” tecnici vengono chiamati di fatto a sostituire nelle competenze il governo, vediamo con chiarezza la conferma della manifesta incapacità di questa compagine governativa, che si mostra in grado più di raccontarla che di fare.
Riguardo alla “riforma” del lavoro precario, si può constatare come non solo non aumenti i posti di lavoro, ma lasci anche del tutto inevasa la necessaria riduzione delle numerose, infernali tipologie contrattuali precarie ed atipiche esistenti: uno strano modo davvero di rispondere alla crisi! Monti e Fonero non hanno voluto puntare sulla valorizzazione del lavoro proseguendo e peggiorando una tendenza sbagliata che fa leva sulla riduzione dei costi fondata sul lavoro “usa e getta”, anziché adoperarsi per incentivare la ricerca, l’innovazione tecnologica e di prodotto. Ma, come ha detto giustamente Monsignor Bregantini, “il lavoratore non è una merce, non lo si può trattare come un prodotto da dimettere”, e dunque la bussola dovrebbe tornare ad essere un neo-umanesimo laburista, che restituisca serenità e dignità alla persona che lavora.
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