Grande è il disordine sotto i cieli della finanza. Se esistessero soggetti e strategie per il cambiamento, forse la situazione potrebbe essere «eccellente». Ma non se ne vede traccia all’orizzonte…
Così le difficoltà delle diverse aree continentali in competizione si trasformano, per il momento, in «guerra delle monete». Al centro del sommovimento – come sempre – il dollaro Usa.
Così le difficoltà delle diverse aree continentali in competizione si trasformano, per il momento, in «guerra delle monete». Al centro del sommovimento – come sempre – il dollaro Usa.
L’economia reale statunitense segna il passo e il presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, ha deciso quindici giorni fa di «iniettare» (ricorrendo a ben tre diversi strumenti) quasi 85 miliardi di dollari al mese sui mercati. Senza peraltro indicare alcuna scadenza temporale.
Il risultato ovvio, e voluto, consiste in un deciso indebolimento del dollaro – meno 4%, tra la fine luglio e oggi – che dovrebbe aiutare la competitività delle merci Usa.
In realtà la svalutazione è probabilmente inferiore a quella desiderata, perché la divisa Usa è «strutturalmente» forte; è infatti l’unità di misura e di scambio di tutte le materie prime, nonché delle transazioni finanziarie.
La Bce ha scelto una strategia un po’ diversa (annunciando l’acquisto di titoli di stato a breve termine dei paesi in difficoltà), ma dai risultati simili. Solo che non ha ancora effettuato alcun acquisto sul mercato. Nessun paese ha chiesto un simile «aiuto» per raffreddare lo spread sui propri titoli. E quindi i mercati hanno ripreso ad esercitare pressione sui più deboli (Spagna e Italia, soprattutto), riportando per esempio lo spread sui Btp decennali a 370 punti.
Nonostante tutti i suoi problemi interni, l’euro si è perciò rivalutato. Peggiorando le condizioni dell’export per l’intera area. Stranamente, i più forti esportatori dell’eurozona – i tedeschi – non si mostrano particolarmente preoccupati.
Una ragione è stata individuata da alcuni osservatori. È noto che si sta formando il fondo Esm, il nuovo «salva-stati», che però potrebbe essere usato anche per salvare le banche. L’incertezza è tale che questo fondo, per ora, non farà prestiti a nessuno. Ma, per non svalutarsi – l’inflazione galoppa a un ritmo superiore al 3% annuo – deve essere investito in titoli sicuri. Quali? Beh, in Europa c’è poco da scegliere. Olanda, Germania e Finlandia, i tre paesi a «tripla A». I quali, però, sono anche quelli che hanno rimesso in discussione le funzioni del fondo. Risultato ai limiti dell’assurdo: la messa in sicurezza del fondo Esm (acquistando titoli a «tripla A») farà aumentare lo spread dei paesi che avrebbe dovuto «salvare». Geniale, no?
Nemmeno le mosse cinesi – la Banca centrale ha «pompato» a sua volta 53 miliardi di dollari nell’ultima settimana – hanno ottenuto il risultato sperato: lo yuan si è rivalutato dell’1% in solo giorno, segnado un nuovo record nei confronti del dollaro.
Dove correranno, allora, i capitali finanziari in cerca di un certo margine di guadagno senza fatica? Qui gli analisti si sbizzarriscono. C’è chi vede bene le valute di paesi «emergenti», ma Brasile, Cina, India e Russi tutto possono sopportare tranne che un’eccessiva rivalutazione mentre anche le loro economie stanno frenando seccamente.
Ecco dunque apparire all’orizzonte paesi al limite della solvibilità come il Messico. Mentre anche Singapore e Russia sembran pronti a sparare quantitative easing pur di mantenere l’oscillazione con il dollaro entro determinati limiti.
Chi si indigna soltanto per i quattro soldi rubati da un sottobosco politico al di sotto di qualsiasi soglia dovrebbe un attimo riflettere sulle dimensioni della ricchezza spesa nella «guerra delle monete» e che finisce nelle banche. Non c’è proprio partita.
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