Una volta eravamo tutti indignados
di Monica Bedana (Salamanca)
Ieri sera, mentre seguivo col fiato sospeso la diretta di Marco Nurra da Madrid per “Pubblico”, c’è stato un momento in cui ho provato la solita vergogna italiana; solo che invece di provarla all’estero era una prima, inedita vergogna in patria.
Mi stavo rendendo conto che sui media italiani ci stavamo guardando l’ombelico fiorito da una settimana, indifferenti alle manganellate che piovevano sugli spagnoli “a casa loro”.
Casa loro intesa come Parlamento e come posto che sta al di là delle Alpi e non ci tange. “Tanto noi non siamo messi cosí male”, “abbiamo Monti che va da Obama, ci dà credibilità”. E sulla patina della credibilità, un concetto molto liquido, la realtà scivola e ci sentiamo al riparo dal sibilo delle palle di gomma sui precari e sui pensionati. Questi sconosciuti. E facinorosi.
Mentre in Spagna Il Governo nega l’evidenza dei brutali attacchi della polizia e le fa i complimenti per la performance, qui la (minima) differenza punti di spread genera indifferenza verso i punti di sutura degli altri. Secondo Rajoy la gentaccia che ieri ha cercato di accerchiare il Parlamento chiedendo le dimissioni in blocco di chi ci sta dentro e ci tiene in ostaggio la sovranità popolare, avrebbe approntato un manuale su “come provocare i poliziotti e sembrare vittime”.
Qui, al massimo, riusciremmo a scrivere una carta d’intenti sull’argomento. E visto che il sembrare ci piace sempre più dell’essere, forse ci siamo già appropriati del ruolo di “sembrare vittime”: più comodo che esserlo davvero, perché ci esime da ogni sforzo per recuperare l’etica democratica che vada più in là dall’indignarsi davanti alla tivù per sperperi di ostriche.
Ostici invece i diritti ingollati dalla protezione ad oltranza della finanza: il diritto al lavoro, all’educazione, alla sanità, alla dignità ed il diritto stesso a manifestare per reclamare i precedenti.
Alle 19.00 di stasera, a Madrid, un’altra concentrazione pacifica. E sabato un’altra ancora davanti al Parlamento. Gli organizzatori chiedono alla gente di andare a viso scoperto per arginare l’azione di gruppi violenti, mentre si parla di agenti di polizia infiltrati nella manifestazione di ieri. Questo, a noi, dovrebbe ricordare qualcosa per cui nemmeno allora ci indignammo abbastanza: Genova 2001, per esempio.
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Risultato: Passos Coelho convoca tutte le parti sociali, ma proprio tutte (sindacati, confindustria, opposizione, associazioni civili) per studiare un’alternativa all’ultima tassa destinata ad aumentare ulteriormente il carico fiscale sui lavoratori e ad alleggerirlo alle aziende. Non piaceva nemmeno agli impresari perché avrebbe indebolito ulteriormente il consumo interno, già agonizzante.
Una grande lezione di coesione nazionale in faccia all’Europa delle divisioni, le incertezze, il tutto contro tutti, la mancanza di solidarietà ed equità in ogni sua espressione.
Ieri sera, mentre seguivo col fiato sospeso la diretta di Marco Nurra da Madrid per “Pubblico”, c’è stato un momento in cui ho provato la solita vergogna italiana; solo che invece di provarla all’estero era una prima, inedita vergogna in patria.
Mi stavo rendendo conto che sui media italiani ci stavamo guardando l’ombelico fiorito da una settimana, indifferenti alle manganellate che piovevano sugli spagnoli “a casa loro”.
Casa loro intesa come Parlamento e come posto che sta al di là delle Alpi e non ci tange. “Tanto noi non siamo messi cosí male”, “abbiamo Monti che va da Obama, ci dà credibilità”. E sulla patina della credibilità, un concetto molto liquido, la realtà scivola e ci sentiamo al riparo dal sibilo delle palle di gomma sui precari e sui pensionati. Questi sconosciuti. E facinorosi.
Mentre in Spagna Il Governo nega l’evidenza dei brutali attacchi della polizia e le fa i complimenti per la performance, qui la (minima) differenza punti di spread genera indifferenza verso i punti di sutura degli altri. Secondo Rajoy la gentaccia che ieri ha cercato di accerchiare il Parlamento chiedendo le dimissioni in blocco di chi ci sta dentro e ci tiene in ostaggio la sovranità popolare, avrebbe approntato un manuale su “come provocare i poliziotti e sembrare vittime”.
Qui, al massimo, riusciremmo a scrivere una carta d’intenti sull’argomento. E visto che il sembrare ci piace sempre più dell’essere, forse ci siamo già appropriati del ruolo di “sembrare vittime”: più comodo che esserlo davvero, perché ci esime da ogni sforzo per recuperare l’etica democratica che vada più in là dall’indignarsi davanti alla tivù per sperperi di ostriche.
Ostici invece i diritti ingollati dalla protezione ad oltranza della finanza: il diritto al lavoro, all’educazione, alla sanità, alla dignità ed il diritto stesso a manifestare per reclamare i precedenti.
Alle 19.00 di stasera, a Madrid, un’altra concentrazione pacifica. E sabato un’altra ancora davanti al Parlamento. Gli organizzatori chiedono alla gente di andare a viso scoperto per arginare l’azione di gruppi violenti, mentre si parla di agenti di polizia infiltrati nella manifestazione di ieri. Questo, a noi, dovrebbe ricordare qualcosa per cui nemmeno allora ci indignammo abbastanza: Genova 2001, per esempio.
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Lisbona insegna
di Monica Bedana
Il Portogallo, commissariato dalla troika da maggio del 2011, rilancia a sorpresa la propria sovranità nazionale: non c’è imposizione di barriera di contenimento del debito che tenga davanti all’esasperazione dei cittadini, che per due settimane consecutive son stati in piazza in massa a ricordare al Governo (conservatore) che il lavoro dipendente non è carne da macello.Risultato: Passos Coelho convoca tutte le parti sociali, ma proprio tutte (sindacati, confindustria, opposizione, associazioni civili) per studiare un’alternativa all’ultima tassa destinata ad aumentare ulteriormente il carico fiscale sui lavoratori e ad alleggerirlo alle aziende. Non piaceva nemmeno agli impresari perché avrebbe indebolito ulteriormente il consumo interno, già agonizzante.
Una grande lezione di coesione nazionale in faccia all’Europa delle divisioni, le incertezze, il tutto contro tutti, la mancanza di solidarietà ed equità in ogni sua espressione.
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